Signori,
cattolici ed ebrei, membri del
Comitato di collegamento fra la chiesa cattolica e l'ebraismo
mondiale, avete deciso, poco più di un anno fa, nella vostra
riunione di Anversa, di tenere a Roma la vostra quarta riunione
annuale. Ci rallegriamo di questa decisione di riunirvi per questa
volta nella città che è il centro della chiesa cattolica: ciò ha
reso possibile l' incontro fraterno di questa mattina.
La vostra sessione si tiene
poco tempo dopo la costituzione, avvenuta nel mese d'ottobre scorso,
di una Commissione della chiesa cattolica per le relazioni
religiose con l'ebraismo, il cui primo atto importante è stato
quello di pubblicare, pochi giorni or sono, degli Orientamenti
e suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione
conciliare Nostra Aetate
nel campo delle relazioni ebreo-cristiane.
Non torniamo qui sui
particolari di questo documento che è indirizzato ai fedeli della
chiesa cattolica dalla sua autorità centrale e che senza dubbio ha
costituito, insieme alla questione dei diritti dell'uomo e ad altri
problemi, uno degli argomenti di studio e di comune riflessione che
hanno occupato la vostra sessione .
Tale testo evoca le
difficoltà e le contrapposizioni, con tutto ciò che essi hanno
potuto avere di spiacevole, che hanno segnato le relazioni fra ebrei
e cristiani nel corso di questi duemila anni. Se un tale richiamo è
salutare e indispensabile, non bisognerebbe dimenticare che tra noi
ci sono stati, nel corso dei secoli, anche rapporti diversi e niente
affatto ostili. Sono ancora numerosi coloro che possono testimoniare
quanto ha fatto la chiesa cattolica durante l'ultima guerra, a Roma
stessa, sotto l'energico impulso di papa Pio XII - ne siamo
personalmente testimoni -, e da innumerevoli vescovi, preti e fedeli
di diversi paesi europei, per sottrarre, talvolta a rischio della
propria vita, degli ebrei innocenti alla persecuzione.
D'altra parte, guardando
all'insieme della storia, come non notare i rapporti, tanto spesso
troppo poco conosciuti, tra il pensiero ebraico e il pensiero
cristiano. Ricordiamo qui soltanto l'influenza esercitata in diverse
epoche negli ambienti più qualificati della riflessione cristiana
dal pensiero del grande Filone d'Alessandria, considerato da
Gerolamo come il me «Il più grande sapiente fra gli ebrei»,
giudizio ripreso, fra gli altri, dal dottore francescano Bonaventura
da Bagnoregio. Anzi, precisamente per il fatto che la chiesa
cattolica ha appena commemorato, contemporaneamente al settimo
centenario della morte di Bonaventura da Bagnoregio, quello del
famosissimo filosofo e teologo Tommaso d'Aquino, morto come
Bonaventura ne1 1274, ci vengono immediatamente allo spirito i
numerosi riferimenti del nostro Dottore Angelico all'opera del
sapiente rabbino di Cordoba morto in Egitto all'aurora del
tredicesimo secolo, Moshe ben Maimon, in particolare alle sue
spiegazioni della Legge mosaica e dei precetti dell'ebraismo.
Da parte sua, il pensiero di
Tommaso d' Aquino doveva diffondersi a il sua volta nella tradizione
scolastica dell'ebraismo medievale: come hanno per esempio mostrato
le ricerche del professori Charles Touati, dell' École des
Hautes Études di Parigi, e Joseph Sermoneta, dell' Università
ebraica di Gerusalemme, è esistita nell'occidente latino, alla
fine del tredicesimo e nel corso del quattordicesimo secolo, tutta
una scuola tomistica ebraica.
Questi non sono che alcuni
esempi fra molti possibili. Essi testimoniano che sono esistite, in
epoche diverse, ad un certo livello, una vera e profonda stima
reciproca e la convinzione che avevamo qualcosa da imparare gli uni
dagli altri.
Formuliamo ora, cari signori,
l'augurio sincero che, in una forma appropriata alla nostra epoca e
perciò in settori che superano in qualche modo il campo limitato
degli scambi puramente speculativi e razionali, si possa instaurare
un autentico dialogo fra l'ebraismo ed il cristianesimo.
La vostra presenza qui, come
rappresentanti fra i più autorizzati dell'ebraismo mondiale,
testimonia che questo mio augurio personale trova in voi una qualche
eco. I termini nei quali l'esprimiamo, l'assistenza dello zelante
cardinale presidente della Commissione per le relazioni religiose
con l'ebraismo, quella dei nostri confratelli nell'episcopato,
l'arcivescovo di Marsiglia e il vescovo di Brooklyn, vi dicono
abbastanza con quale lealtà e con quale decisione collegiale la
chiesa cattolica desidera che si sviluppi attualmente questo dialogo
con l'ebraismo, al quale ci ha invitato il concilio Vaticano II con
la Dichiarazione Nostra Aetate (n.
4).
Confidiamo che un tale
dialogo, condotto avanti in un grande rispetto reciproco, ci
aiuterà a conoscerci meglio e ci guiderà gli uni e gli altri anche
a conoscere meglio l'Onnipotente, l'Eterno, a seguire più
fedelmente il cammino che ci ha tracciato colui che, secondo le
parole del profeta Osea, è in mezzo a noi il santo, che non ama
distruggere (Os 11,9).
Osiamo pensare che la
recente riaffermazione solenne del ripudio da parte della chiesa
cattolica di ogni forma d'antisemitismo, e l'invito che abbiamo
rivolto a tutti i fedeli della chiesa cattolica di mettersi in
ascolto per «imparare a conoscere meglio attraverso quali
caratteristiche gli ebrei definiscono se stessi nella loro realtà
religiosa vissuta», pongono da parte cattolica le condizioni di
sviluppi benefici, e non dubitiamo che, da parte vostra,
corrisponderete, secondo le vostre particolari prospettive, al
nostro sforzo che non può avere senso e fecondità altro che nella
reciprocità.
Nella prospettiva di simpatia
e di amicizia che abbiamo evocata davanti al sacro Collegio il 23
dicembre u.s., formuliamo per voi qui presenti, per le vostre
famiglie, ma molto più largamente ancora per tutto il popolo
ebraico, i nostri migliori auguri di felicità e di pace.
10 gennaio 1975