«Non
più accettare che gli ebrei siano disprezzati
o, peggio, maltrattati in quanto ebrei»
Discorso
pronunciato dal Papa Giovanni Paolo II davanti alla Pontificia Commissione
biblica
il 7 aprile 1997
1.
(...) Il tema che avete cominciato a studiare nel corso dell'attuale sessione
plenaria è di una importanza enorme: si tratta in effetti di un tema
fondamentale per la corretta comprensione del mistero del Cristo e
dell'identità cristiana .
Vorrei
innanzitutto sottolineare questa opportunità che potremmo chiamare ad intra.
Essa si riflette d'altronde immancabilmente in una opportunità per così dire ad
extra, perché la coscienza della propria identità determina la natura
delle relazioni con le altre persone. In questo caso, essa determina la natura
delle relazioni tra cristiani ed ebrei.
2.
Nel I Secolo dopo Cristo, la Chiesa si è trovata innanzi alla tentazione di
separare completamente il Nuovo Testamento dall'Antico, e di opporli l'uno
all'altro, attribuendo ad essi origini differenti. Secondo Marcione, l'Antico
testamento veniva da un D-o non degno di questo nome, perché vendicativo e
sanguinario, mentre il Nuovo Testamento rivelava il D-o riconciliatore e
generoso.
La
Chiesa ha respinto questo errore con fermezza, ricordando a tutti che la
tenerezza di D-o si è già manifestata nell'Antico Testamento.
Malauguratamente,
questa stessa tentazione marcionita si ripresenta anche nella nostra epoca.
Tuttavia ciò che si verifica più frequentemente è l'ignoranza dei profondi
rapporti che legano il Nuovo Testamento all'Antico, ignoranza dalla quale passa
presso alcuni l'impressione che i cristiani non hanno nulla in comune con gli
ebrei.
Secoli
di pregiudizi e di opposizione reciproca hanno scavato un profondo
fossato che la Chiesa si sforza orami di colmare, spinta in questo
senso dalla presa di posizione del Concilio Vaticano II.
I
nuovi Lezionari liturgici hanno dato maggiore spazio al testi
dell'Antico testamento e il Catechismo della Chiesa cattolica
si è preoccupato di attingere continuamente al tesoro delle Sacre
Scritture.
3.
In realtà, non si può esprimere pienamente ilo mistero del Cristo
senza ricorrere all'Antico Testamento, L'identità umana di Gesù si
definisce a partire dal suo legame con il popolo d'Israele, con la
dinastia di Davide e la discendenza da Abramo.
E
non si tratta soltanto di una appartenenza fisica. Partecipando alle
celebrazioni nella Sinagoga ove erano letti e commentati i testi
dell'Antico Testamento, Gesù prendeva coscienza anche
umanamente di questi testi, nutriva il suo spirito ed il suo
cuore di questi testi, servendosene poi nella sua preghiera ed
ispirandovisi nel suo comportamento.
Egli
è divenuto così un autentico figlio d'Israele, profondamente radicato nella
lunga storia del suo popolo. Quando ha cominciato a predicare e ad insegnare, egli ha attinto abbondantemente al tesoro delle Scritture, arricchendo questo
tesoro di nuove ispirazioni e di inattese iniziative. Queste, notiamolo,
non erano volte ad abolire l'antica rivelazione, ma, al contrario, a condurla al
suo perfetto compimento.
L'opposizione
sempre più consistente che Gesù ha dovuto affrontare fino al Calvario, è
stata compresa da parte sua alla luce dell'Antico Testamento, che gli rivelava
la sorte riservata ai profeti. Egli sapeva anche, a partire dall'Antico
testamento, che finalmente l'amore di D-o e sempre vincitore.
Privare
il Cristo del suo rapportarsi all'Antico Testamento, è dunque
distaccarlo dalle sue radici e svuotare di ogni significato il suo
mistero. In effetti, per essere significativa, l'incarnazione ha
avuto bisogno di radicarsi in secoli di preparazione. Altrimenti, il
Cristo sarebbe stato come una meteora caduta accidentalmente sulla
terra e priva di ogni legame con la storia degli uomini.
4.
La Chiesa ha ben compreso, fin dalle sue origini, il radicamento
dell'incarnazione nella storia e, di conseguenza, essa ha pienamente
accolto l'inserimento del Cristo nella storia del popolo d'Israele.
Essa ha visto le Scritture ebraiche come Parola di D-o eternamente
valida, indirizzata ad essa stessa come ai figli d'Israele.
È
estremamente importante conservare e rinnovare questa coscienza
ecclesiale dei rapporti essenziali con l'Antico Testamento. Sono
certo che i vostri lavori vi contribuiranno in maniera eccellente, e
me ne rallegro fin d'ora, ringraziandovi di tutto cuore.
Voi
siete chiamati ad aiutare i cristiani a ben comprendere la propria
identità. Una identità che si definisce innanzitutto attraverso la
fede in Cristo, figlio di D-o. Ma questa fede è inseparabile dal
rapporto con l'Antico Testamento, dal momento che è una fede nel
Cristo «morto per i nostri peccati, secondo le Scritture» (ICor
15,3-4).
Il
cristiano deve sapere che, attraverso la sua adesione al Cristo, è
divenuto «discendente di Abramo» (Gal 3,29) e che è stato
innestato sull'ulivo buono (cf; Rom 11,17). Se egli possiede questa
forte convinzione , non potrà più accettare che gli ebrei siano
disprezzati o, peggio, maltrattati in quanto ebrei.
5.
Dicendo queste cose non voglio ignorare che il Nuovo testamento
conserva le tracce ci evidenti tensioni, che sono esistite tra le
comunità cristiane primitive e certi gruppi di ebrei non cristiani.
San Paolo stesso testimonia, nelle sue lettere, che, come ebreo
non cristiano, egli aveva perseguitato ferocemente la Chiesa
di D-o. (cf. Gal 1,13; I Cor 15.9; Phil 3.6).
Questi
ricordi dolorosi devono essere superati
nella carità, secondo
il comandamento del Cristo. Il lavoro esegetico deve preoccuparsi di
progredire sempre in questa direzione e di contribuire inoltre a
diminuire le tensioni e a dissipare i fraintendimenti (...).
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