La considerazione dei secolari
condizionamenti culturali non potrebbe tuttavia impedire di
riconoscere che gli atti di discriminazione, di ingiustificata
limitazione della libertà religiosa, di oppressione anche sul piano
della libertà civile, nei confronti degli Ebrei, sono stati
oggettivamente manifestazioni gravemente deplorevoli. Sì, ancora
una volta, per mezzo mio, la Chiesa, con le parole del ben noto
Decreto "Nostra aetate"
(n. 4), "deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le
manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni
tempo da chiunque"; ripeto: "da chiunque".
Una parola di
esecrazione vorrei una volta ancora esprimere per il genocidio
decretato durante l'ultima guerra contro il popolo ebreo e che ha
portato all'olocausto di milioni di vittime innocenti. Visitando il
7 giugno 1979 il lager di Auschwitz e raccogliendomi in preghiera
per le tante vittime di diverse nazioni, mi sono soffermato in
particolare davanti alla lapide con l'iscrizione in lingua ebraica,
manifestando così i sentimenti del mio animo: "Questa
iscrizione suscita il ricordo del Popolo, i cui figli e figlie erano
destinati allo sterminio totale. Questo Popolo ha la sua origine da
Abramo, che è padre della nostra fede, come si è espresso Paolo di
Tarso. Proprio questo Popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento
"non uccidere", ha provato su se stesso in misura
particolare che cosa significa l'uccidere. Davanti a questa lapide
non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza" (Insegnamenti
1979, p. 1484).
Anche la Comunità
ebraica di Roma pagò un alto prezzo di sangue. Ed è stato
certamente un gesto significativo che, negli anni bui della
persecuzione razziale, le porte dei nostri conventi, delle nostre
chiese, del Seminario Romano, di edifici della Santa Sede e della
stessa Città del Vaticano si siano spalancate per offrire rifugio e
salvezza a tanti Ebrei di Roma, braccati dai persecutori.
A nessuno sfugge che
la divergenza fondamentale fin dalle origini è l'adesione di noi
Cristiani alla persona e all'insegnamento di Gesù di Nazareth,
figlio del vostro popolo, dal quale sono nati anche Maria Vergine,
gli Apostoli, "fondamento e colonne della Chiesa", e la
maggioranza dei membri della prima comunità cristiana. Ma questa
adesione si pone nell'ordine della fede, cioè nell'assenso libero
dell'intelligenza e del cuore guidati dallo Spirito, e non può mai
essere oggetto di una pressione esteriore, in un senso o nell'altro;
è questo il motivo per il quale noi siamo disposti ad approfondire
il dialogo in lealtà e in amicizia, nel rispetto delle intime
convinzioni degli uni e degli altri, prendendo come base
fondamentale gli elementi della Rivelazione che abbiamo in comune,
come "grande patrimonio spirituale" (cfr. Nostra Aetate,
n. 4).
Siamo tutti
consapevoli che, tra le molte ricchezze di questo numero 4 della
"Nostra Aetate", tre punti sono specialmente
rilevanti. Vorrei sottolinearli qui, davanti a voi, in questa
circostanza veramente unica. Il primo è che la Chiesa di Cristo
scopre il suo "legame" con l'Ebraismo "scrutando il
suo proprio mistero" (cfr. Nostra Aetate, ib.). La
religione ebraica non ci è "estrinseca", ma in un certo
qual modo, è "intrinseca" alla nostra religione. Abbiamo
quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra
religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo,
si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.
Il secondo punto
rilevato dal Concilio è che agli Ebrei, come popolo, non può
essere imputata alcuna colpa atavica o collettiva, per ciò
"che è stato fatto nella passione di Gesù" (cfr. Nostra
Aetate, ib.). Non indistintamente agli Ebrei di quel tempo, non
a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. È quindi
inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure
discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà
ciascuno "secondo le proprie opere", gli Ebrei come i
Cristiani (cfr. Rm 2,6).
Il terzo punto che
vorrei sottolineare nella Dichiarazione conciliare è la conseguenza
del secondo; non è lecito a dire, nonostante la coscienza che la
Chiesa ha della propria identità, che gli Ebrei sono "reprobi
o maledetti", come se ciò fosse insegnato, o potesse venire
dedotto dalle Sacre Scritture (cfr. Nostra Aetate, ib.),
dell'Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il
Concilio, in questo stesso brano della "Nostra Aetate",
ma anche nella Costituzione dogmatica "Lumen Gentium "
(n. 6), citando San Paolo nella lettera ai Romani (11, 28 s),
che gli Ebrei "rimangono carissimi a Dio", che li ha
chiamati con una "vocazione irrevocabile"».
Dal
discorso del Santo Padre
in occasione della visita in Vaticano
del Rabbino Capo di Roma Elio Toaff
a 10 anni dall'incontro
di Giovanni Paolo II con la Comunità ebraica di Roma.
«Il nuovo spirito di
amicizia e di sollecitudine reciproca, che caratterizza le relazioni
cattoliche-ebraiche, può costituire il simbolo più importante che
ebrei e cattolici hanno da offrire ad un mondo inquieto, che non sa
risolversi a riconoscere il primato dell'amore sull'odio. Le domande
dell'Altissimo nel Libro della Genesi: "Dove sei?",
"Dov'è tuo fratello" (Gen 3, 9; 4, 9), continuano
a risuonare anche nel nostro mondo sollecitando gli uomini di oggi
ad incontrarsi, a conoscersi tra loro, ad imparare gli uni dagli
altri. Esse impongono loro di rispondere insieme alle comuni sfide
della storia, per elaborare soluzioni soddisfacenti ai problemi
incombenti».
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Un precedente da
ricordare: Papa Giovanni XXIII e la benedizione sul Lungotevere
Fu Papa Roncalli a dare il primo segnale
"rivoluzionario" verso gli Ebrei prima ancora che il
Concilio, già in marcia, varasse la Nostra
Aetate. Scrive l'ex Rabbino capo di Roma, Elio Toaf, nella sua
autobiografia: «Ricordo quando nel 1959 Giovanni XXIII fece fermare
sul Lungotevere il corteo pontificio per benedire gli ebrei che, di
sabato, uscivano dalla Sinagoga. Fu un gesto che gli valse
l'entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per
applaudirlo e salutarlo. Era la prima volta che un Papa benediceva
gli ebrei». Del resto fu proprio questo Papa a sopprimere
I'espressione *Perfidi Giudei* nella liturgia del Venerdì Santo e a
chiedere al cardinale Bea di preparare un testo sugli Ebrei da
sottoporre al concilio.
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