I. Dialogo
C'è da dire in verità, che le relazioni tra Ebrei e Cristiani, quando ce ne sono state, non hanno generalmente mai superato lo stadio di
monologo. Ciò che ora importa è stabilire un vero dialogo. Il dialogo presuppone
il desiderio di conoscersi reciprocamente, e di sviluppare e approfondire tale conoscenza.
Esso costituisce un mezzo privilegiato per favorire una più profonda conoscenza
reciproca e particolarmente per quanto riguarda il dialogo tra Ebrei e Cristiani,
un mezzo per approfondire la ricchezza della propria tradizione. Condizione
del dialogo è il rispetto dell'altro, così come esso è soprattutto rispetto
della sua fede e delle sue convinzioni religiose.
In
virtù della sua missione divina, la Chiesa per sua natura deve annunciare
Gesù Cristo al mondo (ad Gentes, 2). Per evitare che questa
testimonianza non appaia agli Ebrei come un'aggrssione, i Cattolici
abbiano la cura di vivere ed annunciare la loro fede nel più rigoroso
rispetto della libertà religiosa secondo gli insegnamenti del Concilio
Vaticano II (Dichiarazione Dignitatis Humanae). Essi si sforzino anche
di comprendere le difficoltà che l'anima ebraica, giustamente impregnata
d'una nozione molto alta e pura della trascendenza divina, prova davanti al
mistero del Verbo incarnato.
Se è vero che in questo
campo regna ed è ancora abbastanza diffuso un clima di sospetto dovuto all'influenza
di un passato da deplorare, i cristiani, da parte loro dovranno saper riconoscere
la loro parte di responsabilità e trarre le conseguenze pratiche per l'avvenire.
Oltre che i colloqui fraterni, dovranno essere incoraggiati anche gli incontri
di esperienza per studiare i molteplici problemi connessi alle convinzioni
fondamentali dell'ebraismo e del cristianesimo. Grande apertura spirituale,
differenza verso i propri pregiudizi, tatto, sono le qualità indispensabili
per non ferire, se pure involontariamente, l'interlocutore.
Nelle circostanze in cui sarà
possibile e reciprocamente augurabile, si potrà favorire un incontro comune
davanti al Signore, nella preghiera e nella meditazione silenziosa, così
efficace perché nasca quello spirito di umiltà, quell'apertura di spirito e
di cuore, necessarie per la conoscenza profonda di se stessi e degli altri. Lo
si farà, in particolare, a proposito di grandi cause come quelle della
giustizia della giustizia e della pace.
II. Liturgia
Ci si dovrà
ricordare
dei legami che esistono tra la liturgia cristiana e quella ebraica. La
comunità di vita nel servizio di Dio e dell'umanità per amore di Dio,
proprio come si realizza nella liturgia, caratterizza la liturgia ebraica come
quella cristiana. Per le relazioni ebraico-cristiane, è importante prendere
consapevolezza degli elementi comuni della vita liturgica (formule, feste,
riti, ecc.) nella quale alla Bibbia è assegnato un posto essenziale.
Ci si sforzerà
di comprendere meglio ciò che, nell'Antico Testamento, conserva un valore
proprio ed eterno (cf. Dei Verbum 14-15), che non è cancellato
dall'interpretazione ulteriore del Nuovo Testamento che gli conferisce il suo
pieno significato, allorché vi si trovano reciprocamente luce e spiegazione (cf.
ibid,, 16). Ciò è tanto importante nella misura in cui la riforma liturgica
mette in contatto sempre più frequentemente i cristiani con i testi
dell'Antico Testamento.
Nel commento
dei testi biblici, senza minimizzare gli elementi originali del Cristianesimo,
si metterà in luce la continuità della nostra fede con quella dell'antica
Alleanza, nella linea delle promesse. Noi crediamo che esse sono state
compiute al momento del primo avvento del Cristo; non è meno vero che siamo
ancora in attesa del loro perfetto compimento nel momento del suo ritorno
glorioso alla fine dei tempi.
Per
quanto riguarda le letture liturgiche, si avrà cura di darne, nell'omelia,
una giusta interpretazione, soprattutto per quanto concerne quei passaggi che
sembrano porre il popolo ebraico in quanto tale in una situazione sfavorevole.
Ci si sforzerà di istruire il popolo cristiano in modo che esso giunga a
comprendere ogni testo nel senso autentico, nel suo significato per il
credente di oggi.
Le
commissioni incaricate di traduzioni liturgiche saranno particolarmente attente
nel rendere le espressioni ed i passaggi che possono essere interpretati in
senso tendenzioso da parte di Cristiani insufficientemente acculturati. È di
tutta evidenza che non si può cambiare il testo biblico, pur avendo la cura,
in una versione destinata all'uso liturgico, di rendere esplicito il
significato di un testo tenendo conto degli studi esegetici.
III. Insegnamento ed educazione
Sebbene vi sia ancora un vasto lavoro da
svolgere, negli anni appena trascorsi si è giunti ad una migliore comprensione
dell'ebraismo in sé e della sua relazione col cristianesimo, grazie agli insegnamenti
della chiesa, agli studi e alle ricerche degli esperti e al dialogo che si
è potuto instaurare. A tale proposito meritano di essere ricordati i seguenti
punti:
- È lo stesso Dio "il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro
Testamento" (Dei
Verbum, n. 16), che parla nell'antica e nella nuova alleanza.
- Il giudaismo del tempo di Cristo e degli apostoli era una realtà complessa
che assorbiva in sé tutto un mondo di tendenze, di valori spirituali, religiosi,
sociali e culturali.
- L'Antico Testamento e la tradizione ebraica su di esso fondata non debbono
essere considerati in opposizione al Nuovo Testamento, come se essi costituissero
una religione della sola giustizia, del timore e del legalismo senza appello
all'amore di Dio e del prossimo (Cf. Dt 6,5; Lv 19, 18; Mt 22,34-40).
- Gesù, come i suoi apostoli e un gran numero dei suoi primi discepoli, è
nato dal popolo ebraico. Egli stesso, rivelandosi come Messia e Figlio di
Dio (Cf. Mt 16,16), portatore di un nuovo messaggio, quello del Vangelo, si
è presentato come il compimento e il perfezionamento della precedente rivelazione.
E benché l'insegnamento di Cristo abbia un carattere profondamente nuovo,
esso tuttavia si fonda a più riprese, sull'insegnamento dell'Antico Testamento.
Il Nuovo Testamento è intimamente contrassegnato dalla sua relazione all'Antico.
Come ha dichiarato il concilio Vaticano II: "Dio, il quale ha ispirato i libri
dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto
che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio diventasse chiaro nel
Nuovo" (Dei Verbum, n. 16). E inoltre Gesù fa uso di metodi di insegnamento
analoghi a quelli usati dai rabbini del suo tempo.
- Per quanto riguarda il processo e la morte di Gesù, il concilio ha ricordato
che la passione, non può essere imputata né indistintamente a tutti gli ebrei
allora viventi, né agli Ebrei nel nostro tempo" (Nostra Aetate, n.4).
- La storia dell'ebraismo non si è conclusa con la distruzione di Gerusalemme.
Questa storia ha continuato a svolgersi sviluppando una tradizione religiosa
la cui portata, pur assumendo - crediamo noi - un significato profondamente
diverso dopo Cristo, resta tuttavia ricca di valori religiosi.
- Con i profeti e con l'apostolo Paolo "la chiesa attende il giorno, che
solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola
voce e lo "serviranno appoggiandosi spalla spalla" (Sof 3,9)" (Nostra Aetate,
n.4). L'informazione su queste questioni deve riguardare tutti i livelli d'insegnamento
e di educazione del cristiano. Tra i mezzi di informazione, una particolare
importanza rivestono quelli qui di seguito elencati:
- manuali di catechesi;
- libri di storia;
- mezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, cinema, televisione).
L'uso efficace di tali mezzi presuppone una specifica formazione degli insegnanti
e degli educatori nelle scuole, come pure nei seminari e nelle università.
Si stimolerà la ricerca degli specialisti sui problemi relativi all'ebraismo
e alle relazioni ebreo - cristiane, specialmente nei campi dell'esegesi, della
teologia, della storia e della sociologia. Gli istituti superiori cattolici
di ricerca, possibilmente in collaborazione con altri istituti cristiani ad
essi analoghi, come pure gli specialisti, sono invitati a dare il loro contributo
per la soluzione di tali problemi. Si istituiranno poi - dove ciò sia possibile
- delle cattedre per studi ebraici, e si incoraggerà una collaborazione con
studiosi ebraici.
IV. Azione sociale e comune
La tradizione ebraica e cristiana fondata sulla
parola di Dio, è cosciente del valore della persona umana, immagine di Dio.
L'amore per un medesimo Dio deve tradursi in una concreta azione in favore
dell'uomo. In accordo con lo spirito dei profeti, Ebrei e Cristiani collaboreranno
di buon grado nelle ricerca della giustizia sociale e della pace, a livello
locale, nazionale e internazionale. Questa azione comune può allo stesso tempo
favorire largamente una stima e una conoscenza reciproche.
Conclusione
Il
concilio Vaticano II ha indicato la via da seguire per promuovere una profonda
fraternità tra Ebrei e Cristiani. Ma un lungo cammino resta ancora da percorrere.
Il problema dei rapporti tra Ebrei e Cristiani riguarda la Chiesa come tale,
poiché è "scrutando il suo proprio mistero" che essa fronteggia il mistero
di Israele. Questo problema conserva dunque tutta la sua importanza anche
in quelle regioni dove non esistono comunità ebraiche. Esso ha inoltre una
implicazione ecumenica: il ritorno dei Cristiani alle sorgenti e alle origini
della loro fede, innestata sull'antica alleanza, contribuisce alla ricerca
dell'unità in Cristo, pietra angolare. A questo proposito, nel quadro della
disciplina generale della chiesa e dell'insegnamento comunemente professato
per mezzo del suo magistero, i vescovi sapranno prendere le opportune iniziative
pastorali. Essi istituiranno, ad esempio, a livello nazionale o regionale,
delle commissioni o segretariati appositi, o nomineranno persone competenti
con l'incarico di promuovere la messa in atto delle direttive conciliari e
dei suggerimenti qui esposti.
Commissione per le relazioni con l'ebraismo, il 1° dicembre 1974