Dedicata al tema delle
Feste e tradizioni ebraiche, si celebrerà il
prossimo 6 settembre 2009 in 28 Paesi
Europei e in 59 località italiane, con Trani
città capofila; il che rappresenta una sfida
notevole poiché per la prima volta
l’ebraismo italiano propone per l’evento una
città e una regione in cui non ci sono
Comunità ebraiche, nonostante Trani ospitò
un’imponente comunità ebraica dal IX al XVI
secolo.
La manifestazione, che festeggia
il suo primo decennale, è stata accolta nelle
precedenti edizioni con crescente consenso – molte
più di 50mila le presenze registrate lo scorso anno
in Italia – è promossa dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane con l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica e il Patrocinio dei
Ministeri per i Beni e le Attività Culturali,
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, e
delle Politiche Europee.
In ogni località sinagoghe,
luoghi di culto e di incontro, quartieri che hanno
vissuto la presenza di comunità ebraiche saranno
aperti alla visita. In molti casi saranno gli stessi
componenti delle Comunità ebraiche a fungere da
guida. Ma a creare un clima di festa e di
accoglienza concorreranno anche le iniziative che
ciascuna località ha messo in cantiere: spettacoli,
concerti, mostre, incontri, conferenze, proposte
gastronomiche, il tutto, naturalmente, nel rigoroso
rispetto della grande tradizione ebraica. Una
tradizione che presenta molte sfaccettature, visto
che attraversando l’Europa e il Mediterraneo, la
cultura ebraica si è confrontata con popoli e
tradizioni diverse, mutuando specificità pur
all’interno della grande, unica tradizione. Basti
pensare alla ricchezza dei generi musicali
conosciuti oggi come musica klezmer, sefardita,
sinagogale, yiddish e chassidica, ciascuno
influenzato da paesi e consuetudini diverse.
Inseriamo una panoramica delle Feste, tema della
Giornata
a cura
di Sira Fatucci
SHABBAT
Il Sabato
Nella Bibbia troviamo scritto: "E furono compiuti i
cieli, la terra e tutte le loro creature. E terminò
il Signore nel giorno settimo l'opera Sua e si
riposò, il settimo giorno, da tutta l'opera che
aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo
santificò, perché in esso cessò (shavàth) tutta
l'opera Sua che aveva compiuto" (Bereshìth, Genesi
31).
Il termine Shabbat deriva dalla radice
ebraica Shevat, cessare, il sabato ebraico
infatti implica la cessazione di qualsiasi attività
lavorativa. Tra i numerosi precetti che l'ebraismo
prescrive lo Shabbat ha sempre occupato un
posto fondamentale nel cuore dell'ebreo osservante.
E' la più importante delle ricorrenze del calendario
ebraico e si sussegue di settimana in settimana
scandendo il ritmo dell'anno nella vita individuale,
famigliare e in quella della comunità.
In questo giorno tutti hanno diritto al riposo: non
deve lavorare né il padrone né il servo, né l'uomo,
né la donna, non il cittadino né lo straniero,
perfino gli animali da lavoro in questo giorno tutti
devono essere esentati dal lavoro e hanno diritto al
riposo. Lo Shabbat rende ogni uomo uguale
all'altro: nessuno può avvalersi dell'opera di un
suo simile. Il riposo settimanale è un concetto dato
per acquisito nella nostra epoca, ma assolutamente
rivoluzionario nei tempi in cui fu proposto. Anche
in epoca romana infatti, una delle accuse che
venivano mosse agli ebrei riguardava proprio la loro
pigrizia di schiavi che si rifiutarono di lavorare
di sabato.
L'osservanza dello Shabbat comporta
l'esecuzione di due categorie di precetti: quelli
positivi, che implicano un'azione da compiere e che
rientrano nel precetto "ricorda il giorno del sabato
per santificarlo", (Esodo 20, I dieci comandamenti),
e quelli negativi, che impongono l'astensione da una
serie di lavori ed opere che rientrano nel precetto
"osserva il giorno del sabato per santificarlo".
I Maestri, forse per sanare l'incongruenza fra i due
testi, affermano che "quando furono promulgati i
comandamenti riguardanti il sabato, "Ricorda"e
"Osserva"furono pronunciate con una sola emissione
di voce", come a dire che lo Shabbat è
completo solo se si osservano entrambi i precetti.
I Maestri affermano che sarebbe sufficiente che
tutto il popolo ebraico rispettasse due sabati
consecutivi perché il Messia facesse la sua
apparizione sulla terra. Ma, poiché conoscevano bene
le difficoltà connesse con un'osservanza completa
dello Shabbat, dicono che più di quanto gli
ebrei abbiano osservato il Sabato, il Sabato ha
conservato gli ebrei.
Tra i "fini"dell'osservanza dello Shabbat c'è
quello di stabilire un limite al dominio dell'uomo
sulla natura. In particolare l'osservanza dello
Shabbat implica l'astensione da qualsiasi atto
"creativo", da qualsiasi atto che in qualche modo
modifichi la natura. E' questa la motivazione per
cui è proibito, ad esempio, accendere il fuoco o
utilizzare una macchina, atti entrambi che
turberebbero il naturale svolgimento della natura.
Lo spirito dello Shabbat però non prevede
solo proibizioni, questo giorno deve essere riempito
di significato con alcuni azioni, come ad esempio la
recitazione del Kiddush (la santificazione
della festa attraverso il vino) l'accensione della
lampada sabbatica, l'indossare gli abiti migliori e
così via.
L'uomo per sei giorni lavora e si dedica soltanto a
cose "materiali", in questo giorno, invece senza
l'ossessione dell'attività produttiva deve dedicarsi
a se stesso, alla comunità, alla società, per stare
con i propri familiari e gli amici, a studiare e
riposare. Se durante i giorni lavorativi l'uomo
tende a vivere secondo le modalità dell'avere, in un
certo senso "l'uomo è solo ciò che ha", il Sabato
prevale la modalità dell'essere e "l'uomo è ciò che
è".
La costruzione del Santuario viene interpretata dai
Maestri come l'atto creativo di maggiore importanza
per l'ebraismo. Eppure le melakhot, le azioni
che secondo la Torà non possono essere
compiute di sabato, vengono dedotte proprio da
quelle necessarie ai fini della costruzione. Così
perfino la costruzione del Santuario, simbolo della
presenza divina in mezzo al popolo, è esplicitamente
proibita di sabato; la santità del tempo - il sabato
- nella tradizione ebraica è superiore a quella
dello spazio, sia pure il più sacro tra gli spazi.
La tavola sabbatica, intorno alla quale si riunisce
la famiglia - e gli ospiti che non dovrebbero mai
mancare - non risplende solo perché preparata in
maniera diversa dagli altri giorni (con una tovaglia
pulita, un tovagliolo speciale per coprire le
challoth - i pani del Sabato -, il bicchiere
contenente il vino che serve per la santificazione,
le candele del Sabato, i cibi prelibati, diversi da
quelli che vengono messi a tavola nei giorni
feriali), ma anche perché lo spirito che pervade
questa giornata dovrebbe riempire l'uomo di una
spiritualità sufficiente per l'intera settimana.
Midrash
Le parole : "Il settimo giorno Dio terminò
la sua opera"(Genesi 2:2) sembrano un enigma. Non è
forse scritto: "Egli si riposò il settimo giorno"e
"In sei giorni il Signore creò il cielo e la
terra"(Esodo, 20:11)? Ci saremmo aspettati che la
Bibbia dicesse che Dio terminò la sua opera il sesto
giorno. Gli antichi rabbini conclusero che
ovviamente vi fu un atto di creazione al settimo
giorno: il cielo e la terra furono creati in sei
giorni, la menuchà (il riposo) fu creata il
sabato.
Abraham J. Heschel
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ROSH HA-SHANA'
Il Capodanno
Rosh Ha-Shanà cade i primi due giorni del mese
di Tishrì ed è il capo d'anno per la
numerazione degli anni, per il computo dei giubilei
e per la validità dei documenti. Ha un carattere e
un'atmosfera assai diversi da quella normalmente
vigente nel capo d'anno "civile" in Italia. Infatti
è considerato giorno di riflessione, di
introspezione, di auto esame e di rinnovamento
spirituale. E' il giorno in cui, secondo la
tradizione, il Signore esamina tutti gli uomini e
tiene conto delle azioni buone o malvagie che hanno
compiuto nel corso dell'anno precedente. Nel Talmud
infatti è scritto "A Rosh Ha-Shanà tutte le
creature sono esaminate davanti al Signore". Non a
caso tale giorno nella tradizione ebraica è chiamato
anche "Yom Ha Din", il giorno del giudizio.
Il giudizio divino verrà sigillato nel giorno di
Kippur, il giorno dell'espiazione. Tra queste
due date corrono sette giorni che sommati ai due di
Rosh Ha-Shanà e a quello di Kippur
vengono detti i "dieci giorni penitenziali".
Rosh Ha-Shanà riguarda il singolo individuo,
il rapporto che ha con il suo prossimo e con Dio, le
sue intenzioni di miglioramento.
Nella Torà, (Levitico 23:23,24) il primo
giorno del mese di Tishrì è designato come
"giorno di astensione dal lavoro, ricordo del suono,
sacra convocazione", e nuovamente in Numeri (29:1,6)
è ripetuto che è "un giorno di suono strepitoso": un
altro dei nomi di questa festa è "Yom Teru'a",
giorno del suono dello Shofar, il grande
corno. In ottemperanza al comando biblico in questo
giorno viene suonato lo Shofar, simbolo del
richiamo all'uomo verso il Signore. Questo suono
serve a suscitare una rinascita spirituale e a
portare verso la teshuvà, il pentimento, il
ritorno verso la giusta via. Lo Shofar, oltre
a chiamare a raduno, ricorda l'episodio biblico del
"sacrificio" di Isacco, sacrificio in realtà mai
avvenuto in quanto fu sacrificato un montone al
posto del ragazzo. Il corno deve essere di un
animale ovino o caprino in ricordo di questo
episodio. Inoltre lo shofar ricorda il dono
della Torà nel Sinai che era accompagnato da
questo suono e allude anche al Grande Shofar
citato in Isaia (27:13) "E in quel giorno suonerà un
grande shofar", annunciatore dei tempi
messianici.
I suoni che vengono emessi da questo strumento sono
di diverso tipo: note brevi, lunghe e interrotte;
secondo una interpretazione esse sono emesse in
onore dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.
Rosh Ha-Shanà è chiamato anche Giorno del
Ricordo, infatti la tradizione vuole che Dio proprio
in questa data abbia finito la Sua opera di
creazione e sarebbe stato creato Adamo, il primo
uomo.
Un uso legato a questa giornata vede l'ebreo recarsi
verso un corso d'acqua o verso il mare e lì recitare
delle preghiere e svuotarsi le tasche, atto che
rappresenta simbolicamente il disfarsi delle colpe
commesse e un impegno simbolico a rigettare ogni
cattivo comportamento, come scritto nel libro
biblico di Michà : "Getterai i nostri peccati nelle
profondità del mare".
Gli ebrei azkenaziti in questo giorno vestono di
bianco, simbolo di purezza e rinnovamento
spirituale. Anche i rotoli della Torà e l'Arca
vengono vestiti di questo colore. Quest'usanza può
essere ricondotta al verso di Isaia (1:18) in cui è
scritto: "quand'anche i vostri peccati fossero come
lo scarlatto, diverranno bianchi come la neve".
A Rosh Ha-Shanà si usa mangiare cibi il cui nome o
la cui dolcezza possa essere ben augurante per
l'anno a venire. Il pane tipico della festa assume
una forma rotonda, a simbolo della corona di Dio e
anche della ciclicità dell'anno. Con l'augurio che
l'anno nuovo sia dolce, si usa mangiare uno spicchio
di mela intinta nel miele. Si usa anche piantare dei
semini di grano e di granturco che germoglieranno in
questo periodo, in segno di prosperità.
Midrash
Si sono chiesti i nostri Maestri: "Perchè all'inizio
il Signore ha creato un solo uomo?"
Hanno risposto: "Perché i suoi discendenti
comprendano che da un uomo nasce un'intera umanità:
perciò chi uccide un uomo è come se uccidesse il
mondo intero, e chi salva un uomo è come se salvasse
il mondo intero."
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KIPPUR
Il giorno dell'espiazione
Il dieci del mese di Tishrì cade lo Yom
Kippur, giorno considerato come il più sacro e
solenne del calendario ebraico.
E' un giorno totalmente dedicato alla preghiera e
alla penitenza e vuole l'ebreo consapevole dei
propri peccati, chiedere perdono al Signore. E' il
giorno in cui secondo la tradizione Dio suggella il
suo giudizio verso il singolo. Se tutti i primi
dieci giorni di questo mese sono caratterizzati
dall'introspezione e dalla preghiera, questo è un
giorno di afflizione, infatti in Levitico 23:32 è
scritto "voi affliggerete le vostre persone". E' un
giorno di digiuno totale, in cui ci si astiene dal
mangiare, dal bere e da qualsiasi lavoro o
divertimento e ci si dedica solo al raccoglimento e
alla preghiera; il digiuno che affligge il corpo ha
lo scopo di rendere la mente libera da pensieri e di
indicare la strada della meditazione e della
preghiera.
Prima di Kippur si devono essere saldati i
debiti morali e materiali che si hanno verso gli
altri uomini. Si deve chiedere personalmente perdono
a coloro che si è offesi: a Dio per le trasgressioni
compiute verso di Lui, mentre quelle compiute verso
gli altri uomini vanno personalmente risarcite e
sanate.
Ci si deve avvicinare a questo giorno con animo
sereno e fiduciosi che la richiesta di essere
iscritti da Dio nel "Libro della vita", sarà
esaudita. La purezza con cui ci si avvicina a questa
giornata da alcuni è sottolineata dall'uso di
vestire di bianco.
E' chiamato anche "Sabato dei sabati", ed è l'unico
tra i digiuni a non essere posticipato se cade di
sabato.
Kippur è forse la più sentita tra le
ricorrenze e anche gli ebrei meno osservanti in
questo giorno sentono con più forza il loro legame
con l'ebraismo. Un tempo, gli ebrei più lontani
venivano detti "ebrei del Kippur" perché si
avvicinavano all'ebraismo solo in questo giorno.
L'assunzione della responsabilità collettiva è un
altra delle caratteristiche di questo giorno: in uno
dei passi più importanti della liturgia si chiede
perdono dicendo "abbiamo peccato, abbiamo
trasgredito....". La liturgia è molto particolare e
inizia con la commovente preghiera di Kol Nidrè,
nella quale si chiede che vengano sciolti tutti i
voti e le promesse che non possono essere state
mantenute durante l'anno.
Questa lunga giornata di 25 ore viene conclusa dal
suono dello Shofàr, il corno di montone, che
invita di nuovo al raccoglimento, e subito dopo
dalla cerimonia di "separazione" dalla giornata con
cui si inizia il giorno comune.
Midrash
Ogni anno nei giorni del Capodanno e del
Perdono nella sinagoga del Baalshem, pregava un
paesano che aveva un figlio tardo di mente, che non
poteva nemmeno ricordare la forma delle lettere, e
tanto meno comprendere il senso delle parole delle
preghiere. Quando non aveva ancora raggiunto la
maggiore età, nei giorni del Capodanno e del Perdono
il padre non lo conduceva con sé in città, perché
non sapeva nulla. Ma quando ebbe tredici anni e,
secondo le leggi di Dio, aveva raggiunto la maggiore
età, il padre lo prese con sé nel giorno del
Perdono, perché per ignoranza non mangiasse nel
giorno del digiuno.
Il ragazzo possedeva uno zufolo nel quale fischiava
sempre quando scendeva nei campi a pascolare le
pecore e i vitelli. Se l'era portato con sé senza
che il padre se ne accorgesse.
Il ragazzo passò ore e ore nella sinagoga senza
sapere che dire. Ma quando, verso mezzogiorno, si
cominciò a recitare la preghiera di Mussaf, disse:
"Padre, ho con me il mio zufolo e vorrei suonarlo".
Il padre sgomento lo rimproverò e il ragazzo si
trattenne. Ma quando, al pomeriggio, iniziò la
preghiera di Minhà, egli ripeté: "Padre, permettimi
di prendere il mio zufolo". Il padre si adirò e
chiese: "Dove l'hai?" e mise subito la mano sulla
tasca e ve la tenne. Ma ora risuonava la preghiera
finale. Il ragazzo strappò la tasca di mano al
padre, tirò fuori lo zufolo e mandò un potentissimo
fischio. Tutti ne furono spaventati e confusi. Ma il
Baalshem continuò a recitare la preghiera, ancora
più rapidamente e agevolmente del solito. Alla fine
della giornata disse " E' stato il giovane pastore,
con il grido spontaneo del suo cuore, ad aprire le
porte del cielo e a permettere che tutte le
preghiere dei presenti vi entrassero, infatti le sue
ragioni erano le più pure: voleva chiedere perdono a
Dio personalmente".
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SUKKOTH
La festa delle capanne
La festa di Sukkoth inizia il 15 del mese di
Tishrì. Sukkoth in ebraico significa
"capanne" e sono appunto le capanne a caratterizzare
questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli
ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla
schiavitù dall'Egitto: quaranta anni in cui
abitarono in dimore precarie, accompagnati però,
secondo la tradizione, da "nubi di gloria".
Nella Torà (Levitico, 23, 41-43) infatti
troviamo scritto: "E celebrerete questa ricorrenza
come festa in onore del Signore per sette giorni
all'anno; legge per tutti i tempi, per tutte le
vostre generazioni: la festeggerete nel settimo
mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni;
ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne,
affinché sappiano le vostre generazioni che in
capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li
ho tratti dalla terra d'Egitto".
La festa delle capanne è una delle tre feste di
pellegrinaggio prescritte nella Torà, feste
durante le quali gli ebrei dovevano recarsi al
Santuario a Gerusalemme, fino a quando esso non fu
distrutto dalle armate di Tito nel II secolo e.v.
Altri nomi della festa sono "Festa del raccolto" e
anche "Festa della nostra gioia", poiché cade
proprio in coincidenza con la fine del raccolto
quando si svolgevano grandi manifestazioni di gioia.
Questa festa è detta anche "festa dei tabernacoli" e
il precetto che la caratterizza è proprio quello di
abitare in capanne durante tutti i giorni della
festa. Se a causa del clima o di altri motivi non si
può dimorare nelle capanne, vi si devono almeno
consumare i pasti principali. Altri nomi della festa
sono "Festa del raccolto" e anche "Festa della
nostra gioia", poiché cade proprio in coincidenza
con la fine del raccolto quando si svolgevano grandi
manifestazioni di gioia.
La capanna deve avere delle dimensioni particolari e
deve avere come tetto del fogliame piuttosto rado,
in modo che ci sia più ombra che luce, ma dal quale
si possano comunque vedere le stelle. E' uso
adornare la sukkà, la capanna, con frutta,
fiori, disegni e così via.
La sukkà non è valida se non è sotto il
cielo: l'uomo deve avere la mente e lo spirito
rivolti verso l'alto.
Un altro precetto fondamentale della festa è il
lulàv: un fascio di vegetali composto da un ramo
di palma, due di salice, tre di mirto e da un cedro
che va agitato durante le preghiere. Forte è il
significato simbolico del lulàv: la palma è
senza profumo, ma il suo frutto è saporito; il
salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha
profumo, ma non sapore ed infine il cedro ha sapore
e profumo. Sono simbolicamente rappresentati tutti i
tipi di uomo: tutti insieme sotto la sukkà.
Secondo un'altra interpretazione simbolica la palma
sarebbe la colonna vertebrale dell'uomo, il salice
la bocca, il mirto l'occhio ed infine il cedro il
cuore. L'uomo rende grazie a Dio con tutte le parti
del suo essere.
L'uomo è disposto a mettersi al servizio di Dio
anche nel momento in cui sente che massima è la
potenza che ha raggiunto: ha appena raccolto i
frutti del suo raccolto, ma confida nella
provvidenza divina e abbandona, anche se solo per
pochi giorni, la sua dimora abituale per abitare in
una capanna. Capanna che è insieme simbolo di
protezione, ma anche di pace fra gli uomini. "E poni
su di noi una sukkà di pace" riecheggiano
infatti i testi di numerose preghiere; ci sono
dettagliate regole che stabiliscono l'altezza
massima e minima che deve avere una sukkà, ma per
quanto concerne la larghezza viene stabilita solo la
dimensione minima: nei tempi messianici infatti la
tradizione vuole che verrà costruita una enorme
unica sukkà nella quale possa risiedere tutta
l'umanità intera.
Midrash
La struttura della sukkà, simbolo della protezione
del Signore, e le regole che descrivono come debbano
essere le sue pareti, sono già contenute nella
parola stessa: La sukkà è valida infatti se ha
quattro pareti complete, secondo la forma della
lettera Samech, se ha tre pareti, secondo la forma
della lettera Kaf ; se ha due pareti complete e una
porzione della terza, secondo la forma della lettera
He.
Gaon di Vilna
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SIMCHAT TORA'
La gioia della Torà
L'ultimo giorno della festa di Sukkoth si chiama
Oshanà rabbà (grande invocazione di salvezza dal
significato letterale: Deh, salvaci). Il periodo di
pentimento si conclude definitivamente con questo
giorno. Il perdono che ci verrà accordato viene
invocato battendo i rami di salice durante una
suggestiva cerimonia, cerimonia durante la quale si
compie anche per sette volte un giro intorno alla
Torà, con in mano il lulav. Secondo alcuni lo
scuotimento dei rametti di salice rappresenta la
pioggia, simbolo di prosperità. Il segnale è la fine
del male, come premessa dell'era messianica. Alcuni
conservano i rametti del salice per la cerimonia che
si tiene subito prima di Pesach, la Pasqua ebraica,
durante la quale si bruciano le rimanenze dei cibi
lievitati.
Sheminì 'Azzeret (il significato di queste parole è
"ottavo giorno di radunanza") è l'ultimo giorno in
cui si usa andare nella capanna, tuttavia senza
recitare le benedizioni. Nel passo della Bibbia in
cui si parla di Sukkoth (Levitico 23) la durata
della ricorrenza è fissata in sette giorni. Si parla
poi di un "ottavo giorno di radunanza": Sheminì
Azzaret. Quasi un prolungamento della festa.
In questo giorno durante il servizio di Mussaf viene
introdotta la formula "che fai soffiare il vento e
scendere la pioggia". Tale formula verrà mantenuta
nell'Amidà (preghiera che si recita a voce bassa)
fino alla festa di Pesach, la Pasqua ebraica.
Il giorno successivo è Simchàt Torà, giorno
particolarmente lieto, come indicato dal nome
stesso: la "gioia della Torà". La lettura della
Torà, da cui vengono pubblicamente letti e recitati
dei brani ogni settimana durante tutto il corso
dell'anno, in questo giorno trova insieme
conclusione e principio del ciclo: viene infatti
letto l'ultimo brano e si ricomincia con il primo
brano. In questo modo la lettura della Torà mantiene
la sua continuità nel tempo. Le persone che in
questo giorno sono chiamate alla lettura, sono
considerate come "sposi" della Torà e di
Bereshith
(la parola con cui inizia la Torà) e come sposi
vengono festeggiati da parenti e amici. In alcune
comunità gli "sposi" offrono confetti a parenti e
amici.
Durante i sette giri che si compiono nella sinagoga,
con i rotoli della Torà sulle braccia, spesso la
gioia che si manifesta stride con l'austerità del
luogo: le donne gettano caramelle verso la folla
festante che spesso danza intorno alla Torà.
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CHANUKKA'
La festa delle luci
Chanukkà nel calendario autunnale è preceduta da
circa due mesi in cui non c'è alcuna ricorrenza, a
parte il sabato e i capomese. Probabilmente anche
per questo l'atmosfera è particolarmente allegra e i
bambini la aspettano con ansia.
La festa di Chanukkà, tra tutte le antiche
ricorrenze ebraiche, è l'unica che non affondi in
qualche modo le sue radici nella Bibbia e nei suoi
racconti; è una festa stabilita dai Maestri del
Talmud e ricorda un avvenimento accaduto in terra di
Israele, nel 168 a.e.v.
Antioco Epifane di Siria - ottavo re della dinastia
seleucide, erede di una piccola parte dell'Impero
appartenuto ad Alessandro Magno - voleva imporre la
religione greca alla Giudea. Le mire di
ellenizzazione furono contrastate e impedite da
Mattatià, un sacerdote di Modiin della famiglia
degli Asmonei che insieme ai suoi sette figli,
diedero avvio alla rivolta.
Chanukkà è conosciuta anche come la festa del
miracolo dell'olio: quando dopo una strenua
battaglia, il 25 di Kislev di tre anni dopo (165
a.e.v.), il Tempio fu riconquistato, si doveva
procedere alla riconsacrazione. Nel Tempio però fu
trovata una sola ampolla di olio puro recante il
sigillo del Sommo Sacerdote. Per la preparazione di
olio puro (viene considerato olio puro quello
raccolto dalle prime gocce della spremitura delle
olive) occorrevano otto giorni. Nel trattato
talmudico di Shabbat (21b) leggiamo del grande
miracolo che occorse: l'olio che poteva bastare per
un solo giorno, fu sufficiente per otto giorni,
dando così la possibilità ai Sacerdoti di prepararne
dell'altro nuovo. In ricordo di quel miracolo, i
Saggi del Talmud istituirono una festa di lode e di
ringraziamento al Signore che dura appunto 8 giorni:
Chanukkà che letteralmente, significa
"inaugurazione".
La prima sera della festa si accende un lume su un
candelabro speciale a nove bracci, e ogni sera, per
otto giorni, se ne aggiunge uno in più, fino a che
l'ottava sera si accendono 8 lumi. Questo candelabro
si chiama Chanukkià e può avere diverse forme.
L'indicazione è che gli otto contenitori per le
candele siano tutti allineati alla stessa altezza e
che il nono - lo shammash, il servitore, quello che
serve per accendere gli altri lumi - sia in una
posizione diversa.
I bambini ricevono regali e in particolare delle
trottoline su cui compaiono le iniziali delle parole
"Un grande miracolo è avvenuto lì".
Uno dei precetti relativi alla festa è quello di
"rendere pubblico il miracolo", per questo si usa
accendere i lumi al tramonto o più tardi, quando c'è
ancora gente nelle vie, vicino alla finestra che si
affaccia sulla strada, al fine di rendere pubblico
il miracolo che avvenne a quel tempo. Negli ultimi
anni nelle grandi piazze di alcune città italiane,
si issa un'enorme Chanukkià i cui lumi vengono
accesi in presenza di numerosi intervenuti.
Midrash
"Una volta mentre camminavo in una buia notte vidi
un cieco che aveva in mano una torcia. Gli chiesi: "
Perché hai in mano questa torcia?" Rispose: "Finchè
ho la torcia in mano la gente può vedermi e
aiutarmi"
(Rabbi Josè, Meghillà 24b)
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TU BI-SHEVAT
Il capodanno degli alberi
Molte fra le ricorrenze ebraiche servono a ricordare
i cicli naturali. Una festività particolare,
totalmente dedicata agli alberi è il Capodanno degli
alberi, Rosh Ha-Shanà Lailanot, conosciuta anche con
la data ebraica in cui cade: Tu bi-Shevat, cioè
quindici del mese di Shevat. In ebraico ogni lettera
ha anche un valore numerico e Tet e Vav che formano
la parola "Tu" equivalgono numericamente a 15.
Tu bi-Shevat cade in giorni in cui il clima è
particolarmente freddo; in Israele, dove in genere
il clima è meno freddo, questo giorno viene indicato
come il giorno in cui cominciano a fiorire i
mandorli, e si può cominciare a sperare in un
prossimo arrivo della primavera.
Questa festa è menzionata nel Talmud, e dà adito a
una delle innumerevoli dispute tra Maestri. Sulla
data in cui festeggiare Tu bi-Shevat si confrontano
le due grandi scuole dei due grandi Maestri: Shammai
e Hillel. Secondo l'opinione del primo il Capodanno
degli alberi doveva essere festeggiato il primo
giorno del mese di Shevat, mentre nell'opinione di
Hillel doveva essere festeggiata il 15. Come noto in
questa e in molte altre controversie si segue
l'opinione di Bet Hillel. Interessante sottolineare
come i due punti di vista, comunque, siano specchio
di una diversa e contrapposta concezione tra potenza
e atto: la scuola di Shammai ritiene che vadano
prese in considerazione le cose già in "potenza",
mentre quella di Hillel considera solo ciò che è in
"atto". Nello specifico il problema è se considerare
già germoglio ciò che ancora non è visibile, ma
esiste solo in potenza. Un po' come in certe culture
si contano gli anni fino dal momento del
concepimento e non da quello della nascita. Sempre a
proposito di nascite ed alberi, nella tradizione
ebraica quando nasce un bambino si usa piantare un
albero. A tempo debito, i rami di quello stesso
albero serviranno per costruire la chuppà, cioè il
baldacchino nuziale.
In passato la ricorrenza serviva a determinare quali
decime dovessero essere presentate al Santuario in
un anno: i frutti maturati prima del 15 di Shevat si
considerano appartenenti ad un anno, quelli maturati
dopo questa data, si considerano appartenenti
all'anno seguente. Inoltre questa festività serviva
a stabilire quando erano trascorsi i primi tre anni
di vita dell'albero, nel corso dei quali era
proibito goderne i frutti.
Questa festività è molto amata dai bambini ed in
Israele si vedono intere scolaresche armate di
picconi in miniatura che eccitati mettono a dimora
nella terra ciascuno il suo alberello. Ma si usa
anche mangiare un frutto "nuovo" e si fa il
Seder Tu Bi-Shevat, una sorta di pasto a base di frutta,
durante il cui svolgimento, così come si fa nel più
noto Seder di Pesach, si leggono brani della
tradizione e si recitano particolari preghiere.
Midrash
Se stai piantando un albero e ti dicono che è
arrivato il Messia, prima finisci di piantare
l'albero e poi vai ad accogliere il messia.
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PURIM
La festa delle sorti
Purim, la più gioiosa tra le festività
ebraiche, è la festa più amata dai bambini. Cade a
metà del mese ebraico di Adar e ricorda il
sovvertimento delle sorti e il conseguente scampato
pericolo per il popolo ebraico.
La storia di Purìm (in ebraico Purim
significa "sorti") accaduta circa 2500 anni fa, ci
viene raccontata nella Meghillàth Estèr, il
Libro di Ester, libro che fa parte del canone
biblico e che in questa occasione si legge
pubblicamente.
La storia che viene narrata in breve è la seguente:
Assuero, re di Persia e di Media, regnava su 127
province, era un sovrano molto potente ed aveva
accanto a sé una moglie che però (essendosi
rifiutata di partecipare ad un banchetto fatto
preparare dal re e a cui erano stati invitati le
persone più importanti del regno) venne ripudiata.
Vennero quindi convocate le più belle ragazze del
paese e fra queste fu scelta una ragazza ebrea,
Estèr che andò così in sposa ad Assuero. Ester
divenne la nuova regina e nella storia avrà un
importante ruolo: difatti Hamàn, primo Ministro del
re Assuero, chiese ed ottenne dal re che tutti gli
ebrei del regno fossero uccisi, in un giorno che
sarebbe stato tirato a sorte (pur). Fu così tirato a
sorte il 13 di Adar. Quando Mordekhài, zio della
regina lo seppe, si rivolse ad Ester perché
intercedesse. Ester informò il re sulle malvagie
macchinazioni e supplicò di salvare il suo popolo e
lei stessa, in quanto ebrea. Per merito della regina
gli ebrei, con l'aiuto del Signore, riuscirono a
salvarsi.
Assistere alla lettura del Libro di Ester è uno dei
precetti della festa. In questo giorno si devono
anche fare doni ai bisognosi, inviare dei cibi a due
persone diverse, partecipare ad un banchetto
festivo.
Negli anni embolismici (con un mese in più) Purìm
viene festeggiato in Adàr Shenì perché
l'intervallo, fra questa festa e Pésach, deve
essere di circa trenta giorni.
Il giorno 13 è giorno di digiuno in ricordo del
digiuno fatto da Estèr per invocare l'aiuto del
Signore.
Midrash
"Se anche dovessero essere cancellate tutte
le feste dal nostro ricordo, la festa di Purim
sarà sempre ricordata."
Un approfondimento: " Meghillat Ester: lo
svelamento del nascosto."
di rav Roberto Della Rocca
" ... Questi giorni di Purim non cadranno in
disuso tra gli ebrei ed il loro ricordo non cessi in
mezzo alla loro discendenza..." (Libro di Ester, 9;
28).
Nella sua grande opera di giurisprudenza ebraica, il
Mishnèh Torà, Maimonide (1135-1204) sostiene
che nell'era messianica tutti i libri della Bibbia
cadranno in disuso tranne il Rotolo di Estèr essendo
questo duraturo come i cinque libri della Torà,
l'esistenza della quale è eterna e, continua, "...anche
se dovesse scomparire il ricordo di tutte le nostre
sofferenze, quello di Purim non sarà mai
cancellato".
Ma perché proprio il Libro di Estèr e con esso il
ricordo di Purim dovrebbero sopravvivere a
tutti gli altri? La Meghillàh (termine che
deriva dalla g-l-l, che significa arrotolare,
avvolgere, e che indica la lettura su un rotolo di
pergamena come il Sefer Torà) è un libro che
narra di una comunità completamente assimilata,
sradicata dalla sua terra d'origine, lontana,
materialmente e spiritualmente, dalla Terra di
Israele, di cui, in tutto il racconto, non si fa
alcun cenno, né come ricordo né, tanto meno, come
mèta di aspirazione. Siamo nel pieno della golàh,
dell' esilio, quindi, al punto che gli ebrei temono
addirittura di rivelare la loro identità.
Un altro segno sorprendente è che, contrariamente a
quanto si fà durante la festa di Chanukkàh, a
Purim non si legge l' Hallel (lett.
lode; è il nome dato ai Salmi 113-118), riservato
solo ai miracoli avvenuti in Terra di Israele.
Ciononostante, Estèr ottiene quello che ai valorosi
fratelli Maccabei non è stato concesso: non solo il
suo libro viene incluso nel canone biblico, ma
questo ha dato anche il nome ad un trattato
talmudico, chiamato appunto "Meghillàh".
Ciò che però più sorprende, nel libro di Estèr, è
che in tutto il testo non viene mai citato il Nome
di Dio, né alcuno dei Suoi attributi. Questa
peculiarità della Meghillàh, cioè di essere
l'unico libro della Bibbia non solo privo della
parola e dell'azione di Dio, ma anche di qualsiasi
riferimento a Lui, ha fatto discutere molto i
Maestri, prima che si arrivasse alla decisione di
inserire anche questo testo nel canone biblico.
La stessa storia di Estèr, sembra essere un
concatenarsi di eventi del tutto casuali: ad
esempio, il grande banchetto del re Assuero, la
decisione di chiamare la regina Vashtì, il rifiuto
di questa di presentarsi, la scelta di Estèr, il
tentativo del colpo di Stato scoperto casualmente da
Mordekhài, l'insonnia del re, l'arrivo di Hamàn e di
Assuero proprio in quella notte. Il destino del
popolo ebraico sembra completamente abbandonato al
caso e alla fatalità.
Il termine Purim, dal persiano pur, designa
le sorti che si gettano per fissare una data o per
regolare il destino altrui secondo il decreto del
solo caso. L'esistenza degli ebrei sembra legata a
una partita a dadi e il popolo stesso appare
impotente in un mondo mosso dalla sorte, abbandonato
a un destino cieco, in un mondo da cui Dio sembra
assente o, quantomeno, così ben nascosto che tutto
accade come se Egli non esistesse.
I Maestri del Talmùd, ricorrendo ai più
originali espedienti interpretativi, si domandano
"...dove si parla di Estèr nella Torà..." (Talmùd
babilonese; Haghigàh 5, b). I Maestri fingono
di non sapere che tra la Torà ed Estèr
trascorrono almeno sette, otto secoli.
Per capire il senso della loro domanda bisogna
interpretare il testo come segue: in quale punto
della Torà si trova un'allusione alla storia di
Estèr? Nella Torà, dove è compresa la storia
passata, presente e futura del popolo ebraico, deve
pur esserci un qualche riferimento al tipo di
miracolo che caratterizza Purim e molta parte della
storia ebraica. I Maestri leggono quindi nel verso
del Deuteronomio 31; 18: "...ed Io continuerò a
nascondere il Mio volto in quel giorno...", un
preciso riferimento a Estèr e a Purim.
Il Talmùd, quindi, scorge uno stretto rapporto tra
il tema del Dio nascosto, che si eclissa, e
l'etimologia del nome Estèr, che significa appunto
nascosta.
La salvezza del popolo di Estèr e di Mordekhài
avviene in modo nascosto e discreto, diversamente da
quanto accade per altri miracoli, nei quali Dio si
manifesta e opera in forma palese, come, ad esempio,
nella liberazione degli Ebrei dall'Egitto.
Ecco perché qualche commentatore ha tentato di
trovare un'allusione al Nome di Dio nel verso in cui
Mordekhài, spazientito dalle esitazioni di Estèr a
presentarsi al re ed intercedere per la salvezza del
popolo, dichiara: "... se tu in questo momento taci,
liberazione e salvezza sorgeranno da un altro
luogo.." ( Ester 4; 14).
Il termine Maqom, Luogo, designerebbe la
stessa residenza divina, conformemente a quanto
sostiene la letteratura rabbinica: "Egli è il Luogo
del Suo mondo, ma il Suo mondo non è il Suo Luogo",
nel senso che Dio è onnipresente anche quando Egli è
nascosto.
La parola ebraica che indica il mondo è olam
e deriva dalla radice alum, nascosto, forse
per significare che l'esistenza di Dio in questo
mondo è nascosta e lo scopo dell' olam, cioè
del mondo nascosto, è la ricerca di quella verità,
emèt, che secondo il Midràsh al
momento della creazione Dio ha gettato a terra,
affinché l'uomo la facesse germogliare con i suoi
propri strumenti.
Compito dell'uomo quindi, è quello di cogliere
l'intervento di Dio non tanto nelle dieci piaghe o
nell'aprirsi del mare, quanto piuttosto negli eventi
di ogni giorno, poiché un'eccessiva enfasi
sull'attività miracolosa di Dio può farci
dimenticare che la Sua presenza è in ogni luogo.
Benché altri quattro libri biblici portino il nome
di Meghillàh, quello di Estèr è considerato
il Rotolo per antonomasia.
Durante il suo srotolamento ci viene gradatamente
rivelato ciò che è avvolto e nascosto. Dio si rivela
una guida così silenziosa e invisibile, che la Sua
reale partecipazione agli eventi dell'uomo può anche
essere messa in discussione.
L'abilità, la forza di Israele consiste nel saper
srotolare il rotolo, dipanare la matassa: potremmo
dire nel saper "meghillare estèr", cioè svelare il
nascosto, sollevare il velo dell'ascondimento, saper
leggere dietro la maschera dell'apparenza e
restituire un significato autentico al volto della
maschera, che di umano ha solo la parvenza.
è detto nel Talmùd che nel pasto del giorno di Purim
è consuetudine bere tanto vino fino al punto di non
saper più distinguere la destra dalla sinistra, di
non saper più riconoscere la differenza tra
"maledetto Hamàn e benedetto Mordekhài".
(è notevole tra l'altro che le due espressioni, arur
Hamàn e baruch Mordekhài, abbiano lo stesso valore
numerico secondo la Ghematrià, regola interpretativa
che si basa sul valore numerico delle lettere).
In un universo, quindi, dominato dalla confusione,
dove non si discerne il giusto dall'ingiusto, dove
la fatalità sembra reggere i due estremi della
catena della storia e il mondo rischia di
trasformarsi in una gigantesca mascherata, e in una
sbornia generale, i Maestri invitano a mantenere
quel discernimento che permette di decifrare il
senso del trucco universale.
In ebraico la differenza tra golàh, esilio, e
gheullàh, redenzione, è data da una sola lettera la
a Alef, la prima lettera dell'alfabeto ebraico, la
lettera con cui iniziano fra l'altro diversi nomi di
Dio, la parola Adàm, uomo, i Dieci Comandamenti, la
lettera con cui doveva avere inizio la Torà, ma che
ha dovuto lasciare il posto alla b Bet, la seconda
lettera dell'alfabeto, forse per insegnare al mondo,
simboleggiato dalla dualità della Bet, di tendere
alla ricerca dell'Uno.
Se la gheullàh è la condizione ideale a cui deve
aspirare il popolo ebraico, ed essa sarà raggiunta
con la celebrazione di quel Seder, quell'ordine di
tutta l'umanità, la golàh del libro di Estèr, è la
condizione reale del mondo, dove tutto è confuso,
distorto, disordinato.
Tuttavia la golàh e la gheullàh non sono così
distanti fra loro come potrebbe sembrare; infatti
negli anni embolismici, quando si aggiunge un
tredicesimo mese, Adar , si celebra Purim
nel
secondo Adar, per avvicinare il più possibile questa
ricorrenza alla festa di Pesach. Purim, infatti è la
preparazione a Pesach, una preparazione per la
completa gheullàh.
Purim, le sorti del popolo ebraico, sono legate alla
ricerca e alla riconquista dell'Alef, dell'unicità,
dell'identità individuale e collettiva, di quella
particella dell' Unico che è in ognuno di noi e in
virtù della quale Gli somigliamo.
è proprio l'assenza dell' Alef che consente agli
Hamàn di ogni tempo di giocare a dadi le sorti del
popolo ebraico. La disunione e le scissioni
all'interno del popolo ebraico scatenano le forze di
Amalek, antenato di Hamàn, prototipo
dell'antigiudaismo irrazionale e gratuito di tutte
le generazioni destinato a minacciare l'esistenza di
Israele in tutti i tempi della storia.
La salvezza nella storia di Purim, giunge viceversa
solo quando Estèr rivela ciò che ha tenuto celato:
la sua identità, la sua Alef, adempiendo così
all'imperativo della Torà
" ...Ricorda ciò che fece a te Amalek..!" (Deuteronomio,
25; 17).
Il digiuno istituito da Estèr per invocare l'aiuto
divino contro il decreto di Hamàn diventa, quindi,
una premessa a un radicale capovolgimento della
situazione. La Teshuvàh, il pentimento, il ritorno,
attraverso il digiuno rappresenta l'occasione per
scrutare dentro di sé, per riprendere in mano le
sorti del proprio destino e per liberarsi da un
esilio che non ha una valenza esclusivamente
geografica.
La condizione necessaria per passare oltre la golàh
e raggiungere la gheullàh è, dunque, l'esperienza
della Teshuvàh, così come è detto nel Talmùd "...grande
è la Teshuvàh perché avvicina la gheullà...." (
Jomà
86, b). Forse questo è il senso di ciò che è
sostenuto dalla letteratura rabbinica: la parola
Purim, sorti, è contenuta dalla parola Kippurim,
espiazioni. Le sorti sono dentro le espiazioni, nel
senso letterale dell'affermazione, ma si può anche
leggere: le sorti sono nella Teshuvàh.
Solo con la Teshuvàh l'ebreo riprende quindi in
mano, responsabilmente e coscientemente, le proprie
sorti, non consentendo più che il caso decida per
lui.
Purim-Kippurim, (in questo caso la k Kaf iniziale
potrebbe avere la funzione di "come") Purim come il
giorno del grande digiuno! La vita dell'uomo oscilla
tra queste due dimensioni, così diverse, ma al
contempo così legate tra loro. Il mascherarsi e lo
smascherarsi completamente!
Il digiuno, in fondo, è la necessaria conseguenza di
un grande banchetto, e l'introspezione è
l'inevitabile reazione a una rumorosa baldoria;
talvolta è proprio una sbornia e il travalicamento
dei limiti a stimolare un sincero esame di
coscienza.
Nella concezione ebraica, il corpo non è scisso
dall'anima: la nostra esistenza fisica nel mondo,
messa in pericolo a Purim e, quindi, esaltata
attraverso un banchetto, è inscindibile dalla nostra
esistenza spirituale celebrata nello Jom Ha-Kippurim.
Non c'è un Kippurim senza un Purim che lo determini
e lo motivi, e non c'è un Purim senza un Kippurim
che lo contenga e gli dia senso.
La prima volta che figura la parola estèr nella Torà
è in Genesi 4; 14:
" ... Sarò rimosso dal tuo cospetto...". è Caino che
parla: egli teme di essere abbandonato da Dio e non
essere considerato più come uomo. Caino, uccidendo
suo fratello, tende a restaurare il caos originario
dell'universo. Eppure la sua condanna non è la pena
capitale, ma l'esilio: il primo assassino gode di
una strana immunità, nessuno ha il diritto di
imitarlo, grazie a un marchio che Dio incide su di
lui. Il primo segno che il Signore pone nel mondo.
Secondo un midràsh Adamo incontrando Caino rimane
stupito nel trovarlo vivo, tanto da chiedergli:" non
hai forse ucciso tuo fratello Abele?" Caino gli
risponde: " Io ho fatto Teshuvàh padre e sono stato
perdonato!" nascondendo il volto fra le mani, Adamo,
allora, esclama: "tanto grande è il potere della
Teshuvàh? ... non lo sapevo!".
Caino, l'uomo del crimine brutale, rappresenta la
prova vivente che il perdono è possibile e che la
forza della Teshuvàh può far risplendere la luce
velata dall'oscurarsi del volto di Dio: la Hastaràt
Panim.
"... Se si legge la Meghillat Estèr a ritroso non si
è compiuto il proprio obbligo..." (Mishnàh,
Meghillàh, 2; 1)
Quale è il senso di questa norma? Chi legge la
Meghillat Estèr pensando che gli eventi in essa
narrati appartengano solo al passato, "a ritroso", e
il miracolo non è rilevante per il presente, non ha
compiuto il suo obbligo.
Molti eventi della storia ebraica, anche quelli più
recenti sembrano farci rivivere la storia del libro
di Estèr, dove Dio sembra essere completamente
assente. Per questo motivo i Maestri hanno visto
nella storia di Purim, la condizione paradigmatica
del popolo ebraico, indicando che sta all'uomo
cercare la presenza divina nella storia, anche
quando l'oscurità dell'esilio è divenuta più fitta,
o quando la disumanità della maschera rischia di
trasfigurare il volto umano.
Non dimentichiamoci, infatti, che nella lingua
ebraica, l'etimo g-l-h significa "esiliare" e
"rivelare" nello stesso tempo.
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PESACH
La festa delle azzime
Pesach, la pasqua, è la prima delle tre grandi
ricorrenze liete della tradizione ebraica. La festa
commemora la liberazione dalla schiavitù d'Egitto,
evento che diede origine alla vita indipendente del
popolo d'Israele e che fu il primo passo verso la
promulgazione della Legge divina.
Inizia il 15 del mese ebraico di Nissàn, nella
stagione nella quale, in terra d'Israele, maturano i
primi cereali; segna quindi l'inizio del raccolto
dei principali prodotti agricoli. è anche nota col
nome Hag hamatzot, festa delle azzime. In terra
d'Israele Pesach dura sette giorni dei quali il
primo e l'ultimo di festa solenne, gli altri di
mezza festa. Fuori d'Israele - nella Diaspora - la
durata di Pesach è di otto giorni, dei quali i primi
e gli ultimi due sono di festa solenne. In ricordo
del fatto che quando furono liberati dalla schiavitù
gli Ebrei lasciarono l'Egitto tanto in fretta da non
avere il tempo di far lievitare il pane, per tutta
la durata della ricorrenza è assolutamente vietato
cibarsi di qualsiasi alimento lievitato o anche solo
di possederlo. Si deve invece far uso di matzà, il
pane azzimo, un pane non lievitato e scondito, che è
anche un simbolo della durezza della schiavitù.
I giorni precedenti la festa di Pesach sono dedicati
a una scrupolosa e radicale pulizia di ogni più
riposto angolo della casa per eliminare anche i
piccoli residui di sostanze lievitate. Usanza
mutuata anche dalla lingua italiana nella quale
ricorre spesso l'espressione "pulizie di Pasqua" -
sinonimo anche delle "pulizie di primavera".
La prima sera viene celebrato il Seder, in ebraico
"ordine", suggestiva cena nel corso della quale
vengono rievocate e discusse secondo un ordine
prestabilito le fasi dell'Esodo, rileggendo l'antico
testo della Haggadah. Si consumano vino, azzime ed
erba amara in ricordo dei dolori e delle gioie degli
Ebrei liberati dalla schiavitù. Si inizia con
l'invito ai bisognosi ad entrare e a partecipare
alla cena e si prosegue con le tradizionali domande
rivolte al padre di famiglia dal più piccolo dei
commensali; la prima di queste è volta a sapere "in
che cosa si distingue questa notte dalle altre?".
Tali quesiti consentono a tutti i presenti di
spiegare, commentare, analizzare i significati
dell'esodo e della miracolosa liberazione
dall'Egitto, le implicazioni di ogni schiavitù e di
ogni redenzione.
I simboli della festa, la scrupolosa pulizia che la
precede, il pane azzimo vale a dire il "misero pane
che i nostri padri mangiarono" - il Seder, la
lettura della Haggadah, fanno sì che ben pochi
bambini arrivino all'adolescenza senza conoscere la
storia dell'uscita dell'Egitto e senza avvertire che
questa è una parte essenziale della loro storia.
La matzà, il duro alimento che sostituisce il
morbido e saporito pane di tutti i giorni, sta anche
ad indicare il contrasto tra l'opulenza dell'antico
Egitto, l'oppressore, e le miserie di chi, schiavo,
si accinge a ritrovare appieno la propria identità.
Può anche ricordare che la libertà è un duro pane,
così come l'eliminazione dei lieviti può
rappresentare la necessità di liberarsi dalla
corruzione della vita servile e anche dalle passioni
che covano nell'intimo dell'animo umano.
Midrash
Un uomo pio ogni anno inviava al rabbino quattro
denari, uno per ogni tipo di figlio che compare
nella Haggadà di Pesach.
Un anno il rabbino ne ricevette solo tre e
incontrato in strada il pio uomo, gliene chiese il
motivo. Al che l'uomo rispose: "Quest'anno il figlio
saggio non ha voluto dare...."
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LAG BA-OMER
Il 33° giorno dell'Omer
La seconda sera di Pesach, la pasqua ebraica,
secondo il dettato della Torà, si doveva fare
un'offerta delle primizie del raccolto; offerta che
doveva essere ripetuta sette settimane dopo, in
relazione alla festa di Shavuot. I grani di orzo del
nuovo raccolto, fino a che esisteva il Santuario,
non potevano essere consumati se non dopo l'offerta;
dopo la distruzione del Santuario è rimasto il
precetto di contare i giorni che separano Pesach da
Shavuot. Tale periodo si chiama "periodo dell'Omer".
E' un periodo che viene considerato di lutto,
durante il quale non si celebrano matrimoni. In
origine la parola Omer indicava un covone, ma viene
inteso come unità di misura.
Il trentatreesimo giorno del periodo viene
festeggiato Lag Ba-Omer, una festa allegra, che
spezza il lutto. Secondo un'interpretazione segna
l'inizio in cui la manna iniziò a cadere nel
deserto, secondo altri la fine di una epidemia che
aveva colpito i discepoli di Rabbì Akiva o un
successo durante la rivolta in epoca romana. A Lag
Ba-Omer viene venerata la tomba di Shimon Bar Yochai,
a cui fu attribuito lo Zohar, il più importante
testo di mistica ebraica.
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YOM HA HATZMAUT
Il giorno dell'indipendenza
Il 5 del mese di Iyar, durante il periodo dell'Omer,
si celebra la ricorrenza della fondazione dello
Stato di Israele, in ebraico Yom Ha hazmaut. In
questo giorno nel 1948 fu firmata la dichiarazione
d'Indipendenza. Dopo duemila anni di esilio, si è
realizzata l'aspirazione degli ebrei di avere uno
Stato proprio. E' giorno di festa sia in Israele che
nella Diaspora.
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SHAVUOT
La festa delle settimane
Shavuot cade il 6 e il 7 di Sivan, esattamente sette
settimane dopo Pesach. Fino a quando non fu
stabilita la durata precisa dei mesi la ricorrenza
poteva cadere il 5, il 6 o il 7 del mese, fatto
unico per le ricorrenze comandate nella Torà.
Shavuot è chiamata anche "Tempo del dono della
nostra Torà". La Torà è per gli ebrei il dono più
grande fatto da Dio all'uomo, il legame con essa è
fortissimo e ha un valore di sacralità. Questo
spiega anche perché la data precisa non avesse
troppa importanza: la cosa fondamentale è la
rivelazione della Torà, il legame con una data
storica riveste una importanza secondaria.
Gli ebrei dopo essere rimasti schiavi in Egitto,
finalmente liberi, trascorsero 40 anni nel deserto;
quando furono ai piedi del Monte Sinai Mosè, loro
capo, salì sul monte dove ricevette in dono da Dio
la Torà da consegnare al popolo d'Israele. Le Leggi
contenute nella Torà sono ancora oggi la base e il
cemento del popolo ebraico. Così come Pesach
rappresenta il raggiungimento della libertà
materiale; questa festa rappresenta il
raggiungimento della libertà spirituale, la libertà
di scegliere di accettare la legge morale, di
accettare il giogo divino.
Shavuot è una delle tre feste di pellegrinaggio,
cioè una festa durante la quale ci si doveva recare
al Santuario a Gerusalemme (ai tempi in cui ancora
esisteva) e portare un'offerta, secondo il dettato
che si trova in Esodo XXIII, 16: "Conterete
cinquanta giorni fino all'indomani della settima
settimana ed allora presenterete al Signore
un'offerta farinacea nuova (di frumento nuovo)".
A Shavuot ci si reca alla Sinagoga, dove vengono
utilizzati degli addobbi particolarmente sontuosi e
il profumo dei fiori che vengono portati per
l'occasione rende particolarmente gradevole la
atmosfera. Le piante e i fiori che si usano per
addobbare le case e le sinagoghe probabilmente
rimandano al luoghi lussureggiante nel deserto in
cui fu ricevuta la Torà.
In Italia a Shavuot molte bambine celebrano il loro
bat Mizwa, cerimonia attraverso la quale diventano
"adulte" e in grado di adempiere ai precetti che
riguardano le donne.
Il pasto di Shavuoth è a base di latte. (Le regole
alimentari ebraiche, in osservanza al divieto
biblico "non mangerai il pretto nel latte di sua
madre" vietano di mangiare nello stesso pasto carne
di qualsiasi genere e di cibi derivati da latte). Le
origini di questa usanza possono essere diverse, le
più accreditate sono due: il sapore della Torà viene
paragonato a quello del latte e del miele. La
seconda ipotesi è che gli ebrei non avendo ancora
ricevuto la Legge, non erano in grado di procedere
alla macellazione rituale degli animali, per cui si
astenevano dal mangiare la carne.
Dopo la cena della vigilia, molti usano studiare la
Torà per tutta la notte. Il secondo giorno di
Shavuot si legge il libro di Ruth, libro facente
parte del canone biblico, nel quale viene narrata la
storia di Ruth la moabita, della sua conversione
all'ebraismo, conversione alla quale arrivò
attraverso tappe spirituali paragonabili a quelle
del popolo ebraico. Ruth è un'antenata del re David,
e in quanto tale il Messia nascerà dalla sua
progenie.
Midrash
Prima della creazione del mondo esisteva già
l'alfabeto ebraico. L'Alef , la prima lettera, era
molto orgogliosa, mentre la Beth, la seconda
lettera, si sentiva trascurata. Allora il Signore,
per consolare la Beth, creò il mondo, cominciando
con la parola Bereshìth (In principio). La Alef si
sentì molto offesa e si lamentò col Signore, ma poi
si pentì del suo orgoglio. Allora che cosa fece il
Signore? Pensò di appoggiare su Alef la Sua Legge;
la Legge del pentimento e del perdono. E dal Monte
Sinai, in mezzo ai tuoni e le fiamme, promulgò il
primo Comandamento iniziando con la lettera Alef
della parola Anokhì che significa Io.
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TISHA' BE-AV
Digiuno del 9 di Av
Il 9 del mese di Av per gli ebrei è giorno di lutto
e di digiuno. In questa data a distanza di molti
secoli furono distrutti sia il primo che il secondo
Santuario. Il primo Santuario fu distrutto nel 586
prima dell'era volgare ad opera dei babilonesi e il
secondo ad opera dei romani nel 70 e.V. Il Santuario
di Gerusalemme era il luogo dove si svolgevano le
cerimonie rituali prescritte nella Torà;era il
centro spirituale e anche politico e religioso
dell'ebraismo; la perdita del Santuario segnò anche
la perdita di questo centro, oltre che l'inizio
della diaspora. La distruzione del Santuario è
presente nel cuore degli ebrei anche dopo venti
secoli: nelle preghiere, in qualsiasi parte del
mondo ci si trovi, ci si rivolge sempre fisicamente
e idealmente verso le vestigia del Muro occidentale.
Tishà Be-Av significa 9 del mese di Av. Questa data,
divenuta simbolo di disgrazia per il popolo ebraico
segna anche altri momenti tragici: proprio il nove
di Av gli ebrei furono cacciati dalla Spagna nel
1492.
Nelle sinagoghe parate a lutto e in un'atmosfera di
grande tristezza, spesso seduti in terra e a lume di
candela, si recitano preghiere ed elegie ispirate
alla rovina del Tempio di Gerusalemme e all'esilio
del popolo ebraico.
Secondo la tradizione ebraica nella distruzione già
ci sono i semi della redenzione e proprio in questa
data, simbolo di distruzione, verrà al mondo il
Messia: in questa giornata si usano dei libri
liturgici particolari che molti usano gettar via
alla fine della ricorrenza, come segno di cieca
fiducia nell'avvento messianico. Avranno la gioia di
vedere Gerusalemme ricostruite solo coloro che
abbiano partecipato alle manifestazioni di lutto che
si tengono a Tishà Be-Av.
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TU BE-AV
Il 15 di Av, festa agricola
Tu be-Av - festa agricola e dell'amore - affonda le
sue radici ancora prima dei tempi del Talmud e cade
il 15 (in ebraico le lettere Tet e Vav che formano
la parola "Tu" equivalgono numericamente a 15) del
mese di Av, il penultimo mese del calendario
ebraico. Tu be-Av è l'ultima festività dell'anno
ebraico.
Era questa l'ultima data utile per tagliare la legna
che sarebbe poi servita per cucinare, per costruire
case, per riscaldare e per i sacrifici; da quel
momento in poi si doveva dare agli alberi e alla
natura un periodo di riposo, fino all'inizio del
mese di Nissan, il mese della primavera. Da notare
anche che Tu be-Av cade esattamente sei mesi prima
di Tu bi-Shevat (il capodanno degli alberi, giorno
in cui si usa piantare alberi e che si celebra il 15
del mese di Shevat).
Anticamente era fissata in questo giorno la festa
della fine della vendemmia. Ancora oggi molti
Kibbutzim in questa data festeggiano nelle vigne
questa suggestiva ricorrenza e si organizzano feste
e giochi.
Sempre in questa data venne stabilito che le figlie
di una tribù avrebbero potuto sposare i ragazzi
appartenenti a una tribù diversa. Questo giorno
venne scelto - secondo quanto ci racconta il Talmud
- per riconciliare le famiglie che erano in lite. Al
Cairo si usa offrire la dote e far sposare in questo
giorno 5 fanciulle, estratte a sorte tra le ragazze
ebree meno abbienti.
Tanto è antica questa festività, che nessun Maestro
poté stabilirne con esattezza le motivazioni. E'
comunque nel Talmud che troviamo vivaci descrizioni
del modo di festeggiare: in questo giorno le ragazze
scendevano nelle vigne e danzavano. Indossavano
tutte un vestito bianco, prestato da un'altra
ragazza. La figlia del re prestava il suo vestito
alla figlia del Sacerdote, la figlia del Sacerdote
alla figlia dell'aiutante, e così via, affinché "non
provasse vergogna chi non lo possedeva" (Talmud Bavlì. Taanit, 31a). Tutte insieme illuminate dal
bagliore della luna, danzavano nelle vigne, fuori
dalle mura di Gerusalemme, risplendenti grazia e
giovinezza nei loro vestiti bianchi, e invitavano i
giovani che non avevano già impegnato il loro cuore
a alzare gli occhi per guardarle. Le più belle
invitavano a ammirare la loro bellezza, quelle
provenienti da nobili famiglie invitavano a
considerare la loro nobiltà e così via, fino alle
meno belle e di famiglie umili, che ricordavano come
la bellezza sia fugace, come una buona fama possa
andare perduta e che solo una donna che teme Dio è
degna di lode.
I giovani le seguivano, con la speranza di trovare
una sposa, e così si innamoravano e si celebravano i
fidanzamenti. In perfetta armonia con il clima
d'amore e di poesia del Cantico dei Cantici.
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I DIGIUNI MINORI
Il 10 di Tevet
Il 10 di Tevet ricorda l'inizio dell'assedio di
Gerusalemme da parte dei Babilonesi. Dopo la Shoà è
un giorno che il rabbinato ha dedicato alla memoria
dei deportati. E' digiuno dall'alba al tramonto.
Il 17 di Tammùz
A questa data si associano diverse sciagure:
secondo l'esegesi in questa data Mosè vedendo gli
ebrei danzare intorno al vitello d'oro spezzò le
tavole della Legge. Inoltre Nabucodonosor nel 586
a.e.V. distrusse le mura di Gerusalemme. Un episodio
analogo si verificò nel 70 e.V., durante l'assedio
dell'esercito di Tito. Sempre in questa data in
epoca romana dovettero essere sospesi i sacrifici
che si tenevano nel Santuario. Le tre settimane che
vanno da questa data a Tishà Be-Av sono considerate
periodo di lutto durante le quali sono proibiti i
matrimoni e le manifestazioni gioiose.
Il digiuno dura dall'alba al tramonto.
Il digiuno di Ester
Il giorno che precede Purim, la festa delle
sorti, si usa digiunare, in ricordo del digiuno che
fece la regina Ester prima prima di intercedere
presso il re.
Il digiuno di Ghedalià
Il 3 di Tishrì cade il digiuno di Ghedalià,
governatore di Gerusalemme dopo la distruzione del
primo Tempio. Fu ucciso in una congiura e la sua
morte determinò la fine totale dell'autonomia che
Nabucodonosor, re di Babilonia, aveva lasciato.
Il digiuno dei Primogeniti
Il 14 di Nissàn i primogeniti usano digiunare,
in ricordo della morte dei primogeniti d'Egitto.
Sono esenti dal digiuno coloro che partecipano ad
una Seudat Mitzvà, pasto rituale che si tiene in
occasione di un matrimonio, o di una circoncisione o
per la conclusione di un importante ciclo di studi.
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