Può sembrare una goccia in un mare; ma
notiamo che da qualche tempo le 'gocce' aumentano: le buone
volontà emergono e si fanno strada. Rispetto al rumore sordo
delle esplosioni e al silenzio di morte che le accompagna,
gesti senza clamore ma che parlano di pace.
«Indovina se questo bambino è arabo o israeliano?».
Amin Khalaf è il co-fondatore e il co-direttore di "Hand
in Hand" (mano nella mano), una scuola elementare per
israeliani e arabi in Israele. È l'ora della ricreazione, in
giardino un ragazzino, pelle ambrata, capelli neri e riccioli,
strimpella la sua chitarra e canta una canzoncina. Riconosco
le parole: «Arabo!». Amin sorride: errore, è un israeliano.
La missione di questa scuola, nata nel 1998 da un idea di Amin
, palestinese, e del suo amico Lee Gordon, un americano che ha
vissuto per qualche anno qui e che ora, da San Francisco, si
occupa di cercar fondi per allargare il progetto anche in
America, è semplice: superare pregiudizi, stereotipi tra
ebrei e palestinesi, iniziando coi bambini. «Loro studiano
arabo ed ebraico, la storia e le tradizioni delle due
differenti culture, per capire le ragioni dell'altro. In ogni
classe, fin dall'inizio si avvicendano maestri ebrei e
palestinesi, a volte insegnano anche insieme».
Una docente
con il foulard in testa sottolinea che ci si occupa anche
della storia e della cultura cristiana, altra parte
fondamentale della società di questo Paese. «Anche il
calendario della scuola è multiculturale - continua Khalaf -:
ha segnate tutte le feste religiose e nazionali di ogni
gruppo. Natale, Hanukkah, il giorno dell'indipendenza
israeliana e quello, lo stesso, della commemorazione per la
catastrofe, Nabka, dei palestinesi, perché anche sotto
quest'aspetto non si rischi di discriminare nessuno». «Quando
serve, organizziamo assemblee dove i ragazzi possono fare
tutte le domande che vogliono in merito all'avvenimento per il
quale il giorno dopo non verranno a scuola. Se lo desiderano
partecipano anche i genitori».
Amin ammette che è davvero difficile fare il calendario delle
lezioni in modo che i ragazzi possano concludere tutto il
programma scolastico malgrado l'esorbitante numero di date da
ricordare. «Abbiamo meno vacanze estive e si accorciano i
giorni di festa per ogni ricorrenza, ma il problema di questo
Paese è che le diverse culture hanno pochi contatti tra di
loro, si vive insieme gomito a gomito ma molti non sanno cosa
significa una ricorrenza per l'altro».
Questa divisione,
insiste Amin, si riflette drammaticamente nell'organizzazione
del sistema educativo dall'inizio dello Stato di Israele nel
1948: scuole separate e lingue separate. E per dire la verità,
niente di meglio è stato fatto da parte palestinese: i libri
di testo che vengono usati nelle classi non hanno piantine
geografiche che indichino l'esistenza dello Stato israeliano,
figurarsi se si cerca di capirne la storia.
In questo panorama si spiega ancora di più la portata
rivoluzionaria dell'esperimento di "Hand in hand" e
il suo successo è un segno di speranza per la pace. Dopo la
scuola, a Gerusalemme sono nate altre due scuole elementari,
una nell'alta Galilea e una a Jaffa. Ogni anno nasce almeno
una nuova classe e aumentano i corsi serali per i genitori per
studiare l'altra lingua e l'altra cultura. «Adesso abbiamo
anche fondi dalle autorità locali e ci sono più bambini
palestinesi nelle nostre scuole, all'inizio erano soprattutto
israeliani».
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[Fonte: Avvenire
27
dicembre 2005]