Due kamikaze disertano. Non a caso 
quell'indisciplina è di donne

È accaduto ieri in Cisgiordania, è già successo l'anno scorso a Mosca: Zarema, cecena, 23 anni, aveva già la sua grossa borsa sul ventre, e l'indirizzo di un grande caffè del centro. Non ce l'ha fatta: s'è consegnata a un poliziotto, pur di sfuggire al controllore che la seguiva.

Tutto era pronto: per la festa di Rosh Ha Shanà, il Capodanno ebraico che cade in questi giorni, Adalah e Lina, studentesse, 21 anni entrambe, erano pronte a farsi esplodere nel cuore di Tel Aviv. Ogni cosa era stata predisposta, obiettivi, esplosivo, percorsi - ignare e liete, nella vigilia di festa, solo le vittime che il destino avrebbe radunato in quelle strade. Mancavano dunque poche ore, per gli innocenti, e per le ragazze palestinesi. Già tutto scritto.

Sennonché, l'altra sera Adalah e Lina si sono consegnate ai soldati israeliani, al posto di blocco di Beit Iba, vicino a Nablus. E ora sono in prigione, vive. Vivi gli uomini, e le donne e i bambini, di quelle sconosciute strade di Tel Aviv.

Si sono arrese spontaneamente, anticipa il sito di "Haaretz". Inseguite dai servizi, replicano i palestinesi, mentre il mandante della strage era appena stato ucciso. Ma se a quel check-point sono arrivate senza pistole puntate addosso, quelle due hanno scelto: di fermarsi. Di non voler morire, e di non uccidere. Hanno scelto che tutto il piano, l'orrendo piano, apparentemente ormai inarrestabile - e i primi a non avere pietà, a un rifiuto, sarebbero stati gli stessi compagni - crollasse su se stesso, svuotato, svanito nel nulla, come certi incubi, al mattino.

Il fenomeno delle terroriste suicide si è allargato in questi anni, dal Pkk turco ai movimenti dello Sri Lanka alla Palestina alla Cecenia. In assoluto, i casi non sono così numerosi, ma colpiscono profondamente l'immaginario collettivo. Prima di tutto quello degli stessi popoli coinvolti. In ampie fasce della popolazione palestinese l'idea di una donna kamikaze è inaccettabile. Lo stessa Hamas non recluta donne, e le altre organizzazioni terroristiche che lo fanno, si legge in una ricerca sul sito dell'Istituto di antiterrorismo israeliano, paiono venire mandate "in missione" non appena reclutate. Quasi si temesse un ripensamento, "quasi ci fosse un certo grado di coercizione nell'indurre a quella scelta". Coercizione psicologica, paziente instillare di veleno alle compagne più giovani da parte di carismatici maestri. Oppure, ai funerali di un fratello, di un fidanzato ucciso dall'esercito israeliano, s'aggirano come avvoltoi sconosciuti pronti a consolare le lacrime delle giovani donne: "I funerali sono una potenziale piattaforma di reclutamento", spiega ancora il sito israeliano.

Arruolate di fretta, mandate avanti perché sotto le loro vesti meglio si nascondono le cinture mortali, le donne tuttavia rivelano ogni tanto una manchevolezza, come portatrici di morte. Non sono, come dire, totalmente disciplinate; qualcosa scatta talvolta in loro, ed improvvisamente si sottraggono al destino cui pure si erano votate. 

È accaduto ieri in Cisgiordania, è già successo l'anno scorso a Mosca: Zarema, cecena, 23 anni, aveva già la sua grossa borsa sul ventre, e l'indirizzo di un grande caffè del centro. Non ce l'ha fatta: s'è consegnata a un poliziotto, pur di sfuggire al controllore che la seguiva. Interrogata, ha detto che le vetrine di Mosca l'avevano incantata. Che a Grozny, povera città massacrata, non aveva mai visto niente di così bello. "Se le ragazze cecene vedessero i vestiti che ho visto io, non si farebbero mai esplodere". Dove "vestiti", a saper leggere, qui sta per: bellezza, innamoramento, vita. La ragazza con la borsa sul ventre ha visto, e si è arresa - riconoscendo in un istante il suo vero destino.
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[Fonte: Marina Corradi, su "Avvenire" del 17 settembre 2004]

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