A distanza di poche settimane l’associazione "Mille donne per il premio Nobel per la pace 2005” ha lanciato
una campagna per candidare l’educatrice e giornalista israeliana Angelica Edna Calò Livnè e la direttrice
palestinese di un orfanotrofio Samar Sahar, al Nobel per la Pace
Samar Sahhar, palestinese cristiana, è nata a Gerusalemme Est, ha frequentato l'Università di Betlemme (management),
ha seguito corsi in discipline educative in Inghilterra. Nel 1995 ha partecipato al “Colombus International Program”
negli USA con un gruppo di palestinesi in missione di pace in Ohio.
Ha ricevuto speciali riconoscimenti per il contributo dato al dialogo tra i due popoli, ed ha dedicato la sua vita a
lavorare con i bambini. Ha seguito le orme dei genitori, fondatori della “Jeel-Al-Amal home” di Betania, che è
diventata la più grande e più importante istituzione di aiuto all'infanzia in Palestina. Ha fondato anche la “Lazarus
Home For Girls”, per aiutare le bambine orfane e le donne in difficoltà ed ha creato a Betania un negozio di
fornaio per fare in modo che le donne israeliane e palestinesi potessero fare insieme il pane per la pace.
Angelica Calò Livnè è nata a Roma nel 1955 da un'antica famiglia ebraica e dall'età di 20 anni vive in Israele, in
un Kibbuz al confine con il Libano. È coniugata ed ha quattro figli maschi. Nel corso degli anni ha insegnato in
scuole multiculturali, in scuole per ragazzi emarginati ed espulsi dal corso normale degli studi; ha insegnato anche
all'Università collaborando a progetti miranti a far raccontare agli anziani la loro storia ai giovani.
Si considera un’ “Educatrice alla pace attraverso le arti” e per questo ha dato vita alla Fondazione Bereshit.
Ha allestito con il Teatro Comunitario della Galilea (la compagnia teatrale dell’Arcobaleno composta di ragazzi
ebrei, cristiani, musulmani, arabi, drusi) uno spettacolo di mimo e danze che racconta cosa passa per la mente di un
adolescente che vive in un paese in guerra. Angelica è convinta che l'educazione sia il mezzo più importante per
costruire la pace, che Ebrei ed Arabi possono vivere insieme.
Intervistata da ZENIT Angelica ha raccontato: “La ‘Compagnia dell’Arcobaleno’ è parte di una vera e propria
‘strategia di Pace’, un ‘Teatro di cambiamento’ che già influisce sugli attori e sul pubblico che assiste
allo spettacolo”.
Com’è nata la “Compagnia dell’Arcobaleno”?
Angelica Calò Livnè: La Compagnia è nata nel Settembre del 2002, a Kerem Ben Zimra, un moshav a 15 km da Sasa, il
mio kibbuz, oggi ci sono 28 attori in erba. Sono ragazzi religiosi del moshav Dalton, ragazzi arabi del villaggio di
Fassouta e del villaggio di Jish, ragazzi dai villaggi ebraici circostanti, una ragazza cirkassa del villaggio di
Rehaniya.
Dopo un percorso doloroso e sofferto, abbiamo allestito uno spettacolo di Teatro-Danza che esprime la tragicità dei
momenti che stanno vivendo i due popoli e che dà il senso dell’importanza immediata del dialogo e dell’ incontro.
Molti dei ragazzi erano traumatizzati dagli attentati...
Angelica Calò Livnè: È stato difficile riuscire a far finalmente dire ai ragazzi cosa sentivano veramente. La
paura e la rabbia sono due sentimenti da nascondere in Israele. Poi, dopo un esercizio di mimo dove ognuno raccontava
un dolore vissuto, una ragazza ha iniziato quasi gridando, un monologo struggente in cui ha raccontato la sua
esperienza nell’ultima “vacanza” a Monbasa, in Kenia, con suo padre e i suoi fratellini, quando il meraviglioso
albergo in cui si trovava è diventato teatro di morte ed orrore dopo un attentato contro i cittadini israeliani.
Ciò che è seguito è stato un sorta di viaggio attraverso i loro sogni e le loro paure per raggiungere una meta di
speranza ed è nato lo spettacolo “Bereshit” - “In Principio”.
Mi ha scritto Nemi di 21 anni: "Quattro dei miei migliori amici sono morti in un attentato". Quando l'ho
sentito non volevo più partecipare allo spettacolo Bereshit. Non credevo più a nulla. Non avevo più voglia di
nulla. Ma dobbiamo reagire. Dobbiamo continuare a credere in qualcosa. Non possiamo smettere di sognare.
E Sharif Balut, un arabo cristiano di 21 anni: “Vengo al Teatro dell'Arcobaleno perché credo nella pace. Perché
credo che si riuscirà a vivere insieme, perché siamo diversi e attraverso i miei amici conosco nuovi mondi. Aspetto
questo incontro tutta la settimana perché ‘mi allarga il cuore!’ Danzare, ridere, scherzare e recitare insieme a
loro mi reca felicita'!”
E Tamar, 16 anni: “In tutta questa diversità sento che in questo teatro siamo tutti uguali e non ha importanza in
cosa crede ognuno di noi o dove vive, perché siamo tutti esseri umani. L'affiatamento tra i ragazzi mi convince ogni
volta di più di ciò che molti devono ancora capire, che è possibile che un ebreo e un cristiano avanzino mano nella
mano, che religiosi e laici si parlino senza offendersi, e che tutte le creature possano vivere insieme ed amarsi!”
Quale messaggio intende comunicare?
Angelica Calò Livnè: Credo profondamente che il nostro lavoro sia un messaggio di fiducia nell’avvenire, una
vittoria del bene, della positività e della luce sul male e sulle tenebre che continuano a calare sul mondo.
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La giuria ha assegnato il premio di 5.000
euro per la “Libertà e promozione dell’uomo” all’educatrice israeliana Angelica Calò Livné e alla
direttrice di orfanotrofio la palestinese Samar Sahhar. La giuria era composta da: Franco Mascia (presidente di
Difendiamo il Futuro Sardegna), Mario Mauro (presidente di Difendiamo il Futuro), Giorgio Vittadini (presidente
Compagnia delle Opere), Luigi Amicone (direttore Tempi), Antonio Socci (vicedirettore Rai Due), Renato Farina
(vicedirettore Libero), Alessandro Maida (Rettore Università di Sassari), Cosimo Filigheddu (inviato La Nuova
Sardegna), Antonello Arru (presidente Fondazione Banco di Sardegna), Giampiero Farru (presidente CSV Sardegna
Solidale), Roberto Perrone (inviato Corriere della Sera), Ubaldo Casotto
(vicedirettore Il Foglio), Pierluigi Battista (inviato La Stampa).
Nella drammatica storia di Abramo - che è alle origini di tutti noi -
si legge che il patriarca, davanti alla prospettata distruzione di Sodoma, si lanciò in una vertiginosa trattativa
con l’Onnipotente. Fino a ottenere da Lui che la città non fosse distrutta se vi si fossero trovati dieci giusti.
Aleksandr Solzenicyn, evocando questo episodio biblico in un suo racconto, La casa di Matriona, conclude che proprio
quella donna, Matriona, era colei grazie alla quale il villaggio poteva esistere. Ho voluto ricordare queste due
immagini perché sono quelle che a me vengono sempre in mente quando penso ad Angelica e Samar.
Una città, un popolo, una nazione, uno Stato, non sono solo entità
politiche, istituzionali, economiche. Si dissolverebbero se fossero solo questo. Hanno bisogno di un’anima che dia
loro vita. Per chi si sia imbattuto nei volti di queste due donne, nelle loro storie, appare evidente che esse fanno
emergere l’anima luminosa dei loro popoli. Il fatto che esistano persone come loro significa che il Buon Dio ha un
progetto buono per i loro due popoli, che hanno una speranza, che hanno un destino di pace. E che ce l’hanno
insieme.
Per chi abbia colto la luce dei loro occhi e la luce che rappresentano
per i bambini e i giovani vulnerati dal dolore con cui vivono e lavorano - vivendo entrambe una maternità spirituale
che è forse ancora più grande della pur grandissima maternità biologica - risulta chiaro che odio e violenza non
sono l’ultima parola sul mondo.
Non c’è una maledizione su quella terra che ha dato tanto alla
storia umana, non c’è una maledizione che condanna tutto e tutti alla distruzione. Si ritiene sempre che siano le
élite politiche a dover risolvere i problemi. Ma invece quello che è veramente decisivo, su tutto, è ciò che viene
seminato nei cuori, soprattutto nei cuori dei bambini, nelle anime dei giovani. Angelica e Samar sono delle silenziose
seminatrici di umanità, quindi sono il volto della speranza. Penso che il Buon Dio vedendo i volti di persone come
loro benedica i loro popoli.
Antonio Socci
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Perché il cielo
non cada sulla terra
Il 22 maggio verrà consegnato ad Assisi il Premio per la pace al
femminile. Lo hanno meritato una israeliana e una palestinese che
educano i giovani alla convivenza tra le diverse fedi. Non solo a
scuola. Anche con un forno, o una compagnia teatrale.
Un passante vide un uccellino
a terra con le ali distese. Si fermò a chiedergli cosa facesse e l’uccellino
rispose: «Ho sentito che Dio vuole scagliare il cielo sul mondo. Io
cerco di proteggere il mondo». Questo apologo minimo e grandioso
serve ad Angelica e a Samar per spiegare cosa fanno.
Angelica Calò Livné, 49
anni, è un’ebrea nata a Roma, vive in Israele, nel kibbutz Sasa,
Alta Galilea. È sposata con Yehuda, professore di matematica; hanno
quattro figli maschi. Insegna a ragazzi difficili già espulsi dalle
scuole. Organizza laboratori serali dove le donne povere imparano un
mestiere. Ha fondato nel suo kibbutz un rinomato agriturismo, aperto
a tutti. E s’è inventata un teatro che diffonde la tolleranza e
si chiama "Arcobaleno".
Samar Sahar, 46 anni, è una
palestinese cristiana nata a Gerusalemme, vive a Betania, non è
sposata. Continua il lavoro dei genitori, che aiutavano i bambini
profughi dopo la guerra del 1966. Oggi Samar accoglie a Betania 110
bambini e ragazzi in difficoltà, senza distinguere tra religioni e
provenienze diverse.
Fin dal primo incontro, anni
fa, le due donne si sono riconosciute "sorelle". Anche se
vivono dalle parti opposte del muro, lavorano per il futuro di una
terra straziata: «Non un futuro migliore. Ci basta un futuro»,
dicono.
Il 22 maggio, Angelica e Samar
saranno ad Assisi, a ricevere il Premio per la pace al femminile. L’originale
riconoscimento, quest’anno alla prima edizione, è istituito dai
produttori del Vino della pace di Cormòns e dall’Unione dei
ristoranti del Buon Ricordo, insieme ai frati francescani del Sacro
Convento di Assisi. Si legge nella motivazione che «la fraternità
francescana si esprime anche nel pane e nel vino del convivio, opera
di pace connaturata alle donne».
Conoscevo Angelica Calò
Livné attraverso il suo libro, che s’intitola Un sì, un inizio,
una speranza (pubblicato in Italia dall’Editoriale Tempi, Milano),
ed è un romanzo di pianto e di sorriso, di attesa delusa e sempre
risorgente. Ora la raggiungo per telefono al suo kibbutz, mi dice
subito che dalla finestra vede il Lago di Tiberiade. Le sembra
impossibile che su quella bellezza, resa più struggente dalla
presenza del sacro legato a tre religioni, continui a soffiare l’alito
dell’odio.
Anche oggi ha sentito alcuni
"scoppi", come li chiama, forse dalla strada che porta
alla frontiera col Libano. Mi parla dei suoi figli, Gal, Yotam, Kfir,
Or. Il pensiero del maggiore che sta nell’esercito, degli altri
che vanno a scuola in autobus, «mi tormenta le notti».
Angelica mi racconta di sé e
della sua amica Samar: «Io sono una vera ebrea israeliana, Samar è
una vera araba cristiana palestinese. La religione e l’appartenenza
familiare ci dividono, ma il sogno ci unisce. Adesso Samar ha aperto
a Betania un panificio dove lavorano insieme ragazzi e ragazze
ebrei, musulmani, cristiani. Io continuo con la mia compagnia
teatrale, dove recitano ebrei, musulmani, cristiani. Anche fare
insieme il pane, o salire insieme sul palco, serve a costruire
contro chi distrugge. C’è un’emozione che salva la vita»,
dice.
Le chiedo se il sogno resti
impossibile, ed è allora che mi racconta dell’uccellino con le
ali aperte, la loro risposta a chi le considera delle visionarie.
Quando mi saluta con l’augurio:
Kol tov, in ebraico: "Tutto il bene del mondo",
penso che Dio non vorrà scagliare il cielo sulla terra, finché ci
saranno persone come Angelica e Samar.
Franca Zambonini
v. anche:
Un'altra 'perla'
di Angelica Calò Livnè. I misteri della Kabbalah e Padre Pio
Angelica
e Samar, due madri per la pace
Conoscersi
per convivere e costruire la storia insieme
Angelica
Calò Livnè, Questo dialogo con voi, la mia speranza
Progetto
semplice e coraggioso: israeliani e palestinesi riuniti in un
panificio