La Gerusalemme celeste e la
Gerusalemme storica
La Gerusalemme celeste (Ap 21,
1-22, 5)
Siamo nella parte finale
dell'Apocalisse, dedicata alla descrizione della Gerusalemme
celeste, a cui seguirà la conclusione. Il nuovo ordine di cose,
instaurato dalla morte e risurrezione di Cristo, è disegnato
attraverso due grandi fasce di simboli.
Quelli della creazione e del
paradiso di Genesi 1-2, dove si parla di "nuovo cielo",
"nuova terra", "ogni cosa nuova". Il profeta
Isaia annunciava "una cosa nuova" (43,19), qui viene
fatta "ogni cosa nuova", la nuova creazione. Al tema
sono connessi i simboli del fiume nel paradiso, dell'acqua che
sgorga, dell'albero che dà vita (cfr. Gen 2) e anche quelli della
nuova città, descritta da Ezechiele dal capitolo 40 al 48
(risuonano pure passi del Deuteroisaia e di Zaccaria), che è
senza tempio, meglio è tutta tempio, tutta dimora di Dio. Dunque,
due fasce di simboli: della creazione e della restaurazione di
Israele come nuova città.
Vorrei sottolineare tre momenti di
questa presentazione: il momento di contrasto, il nuovo ordine di
cose e i simboli più specifici della nuova città.
Il momento di contrasto
Il contrasto è evocato fin
dall'inizio con le parole: " Allora io vidi" e, in
seguito, con le parole: "E vidi poi venire dal cielo". I
Non si tratta però di una prima visione, perché fa parte di
visioni descritte nei versetti precedenti ("vidi poi
venire", "vidi") e che annunciano la scomparsa di
tutti gli elementi negativi della storia (cfr. Ap 20), riassunti
nella morte e negli inferi. Tale scomparsa, annunciata poco
prima, è ripresa nel nostro brano: scompariranno le lacrime, non
ci sarà più morte né lutto né lamento ne affanno perché le cose
di prima sono passate (21, 4 ); i vili, gli increduli, gli
abietti, gli omicidi, gli immorali non entreranno nel nuovo ordine
di cose (v. 8).
Viene quindi proclamato quel
giudizio di Dio che è l'inizio del nuovo ordine di cose, giudizio
formulato in base a due criteri: le opere compiute, registrate nel
libro, e l'iniziativa salvifica divina espressa con l'immagine
dell'iscrizione nel libro della vita.
Perciò i versetti immediatamente
precedenti, richiamati in 21, 4.8 e anche in altri capitoli,
presentano quale premessa della visione di Gerusalemme,
della nuova città, lo sfondo della distruzione del male operata
dalla croce di Cristo, distruzione del male che è frutto positivo
della croce. La croce ha messo fuori gioco l'universo spirituale
costituito dalla ribellione a Dio, per- mettendo la nascita di un
ordine nuovo e di un nuovo universo di valori delineati a partire
dall'inizio del capitolo 21.
Il nuovo ordine di cose
Il nuovo ordine di cose lo
leggiamo in 21, 1-5, ed è presentato con le parole: "nuovo
cielo e nuova terra" ("In principio Dio creò il cielo e
la terra", Gen 1, 1). Un nuovo ordine spirituale e morale,
nel quale siamo collocati. E la cosa nuova è anche la città
santa, la nuova Gerusalemme, simbolo del nuovo ordine di grazia e
di misericordia instaurato da Dio. La città discende dal cielo
perché il nuovo ordine è puramente gratuito, non è opera di
uomini, bensì di Dio che lo fa e lo dona.
È una città ed è pure una
sposa adorna per il suo sposo, pronta per le nozze, bellissima,
così come la sposa di cui parlava Ezechiele al capitolo 16, 8ss: vestita di ricami, calzata con pelli di tasso, cinto il capo
di bisso, ricoperta di seta, adorna di gioielli. Così va
immaginata questa sposa che nell' Apocalisse è veramente e
pienamente fedele.
E lo sposalizio, che fa parte
dell'ordine nuovo, è l'alleanza richiamata al v. 3, dove è
evocato Lv 26, 11 ("stabilirò la mia dimora in mezzo a
voi"), insieme ad altri brani dell'Antico Testamento
sull'alleanza, per dare questa visione complessiva: Dio dimorerà
tra di loro, essi saranno il suo popolo ed egli sarà il
Dio-con-loro.
Di fronte a tale visione, noi
ci domandiamo: riguarda il presente o il futuro? Queste parole
sono compiute?
Al v. 6 è scritto: "Ecco, sono
compiute!". Tuttavia si potrebbe pensare a un'anticipazione
profetica, a un passato che riguarda il futuro.
In realtà, per il principio
ermeneutico, io leggo qui molto più volentieri la descrizione di
ciò che è compiuto nella morte e risurrezione di Gesù. Non
quindi un ordine nuovo di cose che verrà, ma un ordine che è e
che viene e nel quale tutti siamo già dentro.
Siamo già nell'alleanza, siamo già
la nuova città che scende dal cielo, siamo già la sposa pronta
per lo sposo, pur se non ancora in pienezza; fin da ora, nella
passione e risurrezione di Cristo, tutto è compiuto e si compie
in coloro che sono in lui.
Alcuni simboli della città celeste
I simboli di questo nuovo ordine
di cose sono espressi soprattutto nella cosiddetta seconda
descrizione della Gerusalemme celeste, che inizia al v. 9.
Sembra quasi di essere di fronte a
un doppione, perché viene ripresentata la città che scende dal
cielo; l'autore finale non se ne preoccupa, anzi, ritiene di dover
ripetere le stesse cose proprio per farci penetrare nella
coscienza che siamo in una realtà nuova instaurata dal mistero
pasquale di Cristo.
Al v. 10 la santa città "che
scende dal cielo, da Dio" è contemplata dal veggente mentre
si trova su un monte grande e alto. Nei versetti successivi, sul
simbolo base della città si sviluppano almeno cinque linee
simboliche, continuamente riprese.
La prima è quella della luce, della
gloria di Dio che irradia sulla città e la rende totalmente
trasparente, colma della sua presenza, così da non aver più
bisogno di un centro luminoso come il tempio: l'intera città è
luce.
Il secondo elemento simbolico è il
grande, alto muro, con le sue fondamenta, che dà le dimensioni
della città.
Il terzo è quello delle dodici
porte, con le loro scritte e i loro ornamenti.
Poi l'elemento del fiume, che
attinge al racconto della Genesi.
Infine, gli alberi con i frutti e le foglie: l'albero della vita.
Mi limito a ripercorrere le prime due linee simboliche, nel
desiderio di mostrare l'unità dell'insieme, l'unico messaggio che
viene ripetutamente presentato.
La città, al v. 10, è dunque risplendente della gloria di Dio e
il v. 11 commenta tale splendore, simile a quello di gemma
preziosissima, quale pietra di diaspro cristallino.
Il tema della luce è ripreso al v. 18: la città è di oro puro,
simile a terso cristallo; per questo (v. 23) non ha bisogno della
luce del sole ne della luce della luna, dal momento che la gloria
di Dio la illumina e la sua lampada è l'agnello.
Al v. 24 la
luce diviene il riferimento per tutta l'umanità: "Le nazioni
cammineranno alla sua luce".
Il nuovo ordine di
cose nel quale siamo, il regno di Cristo che già si instaura, è
splendore attraente della gloria del Padre e dell'agnello. È una
realtà luminosa in cui vivere è bello perché dà sicurezza,
respiro, chiarezza, gioia, e "non vidi alcun tempio in
essa" (v. 22), perché il Signore Dio onnipotente e l'agnello
so- no il suo tempio. La trasparenza di Dio è tale che Dio è
percepibile in ogni luogo, lo si incontra ovunque. La conversione
cristiana è propria di chi entra in questo nuovo modo di vedere
le cose, di chi accoglie la rivelazione della gloria di Dio e si
lascia illuminare dalla sua luce.
Il muro è descritto, al v. 12, come grande e alto. Al v. 14 si
dice che "le mura della città poggiano su dodici basamenti,
sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli
dell'Agnello". Mura assai singolari, che danno alla città
un'impensabile altezza, misurata con una canna d'oro; la città ha
una forma strana, tutta simbolica, la forma di un quadrato dove la
lunghezza è uguale all'altezza e alla larghezza. Si tratta di un
cubo di oltre cinquecento chilometri di lato, e le mura hanno uno
spessore di oltre sei chilometri. Dunque, un'ampiezza smisurata,
un'estensione e un'altezza inimmaginabili per una città. E se ne
dice poi la ricchezza incalcolabile: le mura sono costruite con
diaspro, le fondamenta delle mura adornate di pietre preziose.
Contempliamo così una città capace di accoglienza senza limiti,
una città che dà un agio e una sicurezza che non hanno paragone.
In essa si è pienamente sicuri e ci si sente molto ricchi nella
sfera divina, nell'essere in Cristo, in questa luce di Dio.
Se continuassimo la riflessione sugli altri simboli, ci
accorgeremmo che ciascuno aggiunge qualcosa al significato della
conversione cristiana e, mentre prelude alla piena manifestazione
di Dio nel suo Regno - che è indescrivibile a parole -, ci invita
già a chiederci se veramente abbiamo la coscienza di vivere in
questa nuova realtà, se abbiamo la coscienza della bellezza,
della ricchezza, della sicurezza, della luminosità,
dell'apertura, della disponibilità della realtà nella quale
siamo essendo in Cristo, essendo con lui nel Padre, nel mistero
trinitario.
È
interessante rileggere i versetti conclusivi della descrizione dei
simboli, dove viene sottolineato l'effetto del nuovo ordine di
cose instaurato dalla morte e risurrezione di Gesù: "Le
nazioni cammineranno alla sua luce e ire della terra a lei
porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno
mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. Non entrerà
in essa nulla di impuro, ne chi commette abominio e falsità; ma
solo quelli che sono scritti nel libro della vita
dell'Agnello" (vv. 24-27).
La
nuova Gerusalemme è il punto di riferimento che dà senso a tutta
la storia umana, è il punto di arrivo di tutte le nazioni e di
tutti i popoli, è la città ideale aperta e pronta a ricevere
tutti, è la città che esclude ogni impurità e ogni falsità,
che affratella nazioni e popoli amano amano che vengono immersi in
questa pienezza luminosa che è la manifestazione di Dio, del suo
amore senza limiti. Le misure della città sono alla dismisura
dell'altezza, lunghezza, larghezza della carità di Cristo e
superano ogni comprensione.
Il cristiano che
legge l'Apocalisse
Per
il cristiano che legge l'Apocalisse, ogni pagina dei capitoli 21 e
22 è un modo di dire il suo essere in Cristo, le ricchezze che
fin da ora gli sono date quale primizia, anticipo, pregustazione
di ciò che sarà definitivo e in parte già lo è. Possiamo
chiederci come tale ricchezza tocca l'attuale Gerusalemme storica.
Chi ama questa Gerusalemme e tutte le città storiche che
partecipano alle sue sofferenze, comprende la risposta alla
domanda, anche se non è facile esprimerla in maniera razionale e
logica. Provo comunque a farlo: la Gerusalemme attuale è attratta
dalla forza dei simboli al di là di se stessa e quindi ha un suo
destino; destino di cui è simbolo, destino da cui è attirata
verso la pienezza alla quale richiama continuamente con il suo
nome e con la sua storia. In altre parole, c'è una permanente
tensione dialettica tra la Gerusalemme storica e la Gerusalemme
celeste; l'una richiama l'altra e quella celeste attrae quella
della storia e, con essa, attrae tutta la storia umana.
Conclusione
Domandiamoci a che cosa
ci stimola la visione che abbiamo cercato di contemplare.
A me pare che stimoli anzitutto a
scoprire la pienezza in cui siamo e a esserne grati a Dio:
pienezza che è il cammino storico dell'umanità, che si rivela a
noi quale cammino positivo, di senso, e non soltanto di pura
attesa, ma cammino già di partecipazione alle ricchezze
inestimabili, inesauribili di Cristo, come singoli, come gruppo,
come città, come società e come umanità.
Se, con la grazia del Signore, con
gli occhi della fede, ci sforziamo di scoprire la pienezza in cui
siamo, dobbiamo lasciarci trascinare da questa dinamica storica.
Dinamica che ci indica dove la storia va e ci aiuta a capire come
anticiparla nel- la fraternità e nella giustizia, sperando e
operando affinché, attraverso la vittoria del bene sul male, anzi
traendo il bene dal male, la luce della Gerusalemme celeste irradi
e dia gioia e sicurezza fin da ora a tante persone che camminano
con noi.
Ancora, la visione che abbiamo
cercato di contemplare ci stimola a coinvolgere la Gerusalemme
storica, e tutte le città che soffrono delle sue sofferenze, in
questo cammino che trascina il mondo verso la definitiva pienezza.
[Tratto da: Lettura ecumenica della
Parola, 9-10 settembre 1994, in AA.VV. Gerusalemme patria di
tutti, EDB, Bologna 1995]