A Gerusalemme salgono le moltitudini del
Signore
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C'è una domanda preliminare: come si può parlare di Gerusalemme?
"Gerusalemme," per citare Chateaubriand nell'Itinerario
da Parigi a Gerusalemme, "il cui nome evoca tanti
misteri, colpisce l'immaginazione, sembra che tutto debba essere
straordinario, in questa straordinaria città"?
Credo che una prima premessa sia questa: non si può parlare di
Gerusalemme senza amarla. Amarla di quell'amore con cui l'ha amata
Davide, nell'interpretazione moderna di Carlo Coccioli, che gli fa
dire: |
" Ah! se
avevo amato Gerusalemme, se l'avevo amata contemplandola
dall'esterno, ne impazzii letteralmente, pazzia d'amore,
valutando dall'interno la sua bellezza indescrivibile. Certo
non vi era al mondo altrettanto desiderabile città, eco
inebriante di una dimensione spirituale dello spazio, dove
il cielo si chinava sulla terra e la sposava. Come non invidiare
Sion, l'incomparabile?".
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Oppure, per esprimersi con la parola di un midrash: "Dieci
porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e
Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono
state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha
ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate
al mondo dal Creatore e Gerusalemme ne ha ricevute nove".
Tra le domande che qualificano l'esistenza storica e problematica
di ogni uomo e donna del nostro tempo, insieme ad altre domande
drammatiche che riguardano la guerra, l'amore, il perdono, la fame
e via dicendo, c'è certamente, anche questa domanda: tu, che dici
di Gerusalemme? In che rapporto ti senti con Gerusalemme?
Il "dossier" gerosolimitano è immenso: biblico,
rabbinico, filosofico, teologico, letterario. Da David a Dante
Alighieri a Hegel ai nostri giorni: è un dossier senza fine.
Vorrei fare una presentazione quasi in stile rapsodico, attraverso
una trama di citazioni. Indicare piste, domande, luoghi di
ricerca, temi possibili di approfondimento, per rispondere alla
domanda fondamentale: tu, che dici di Gerusalemme? Cerchiamo di
ordinare la tematica attorno alle tre linee indicate: Gerusalemme,
storia, mistero e profezia, anche se, evidentemente. non è
possibile una divisione rigida di questi tre momenti.
LA STORIA
Sotto questa
tematica intendiamo tutto ciò che costituisce la storia viva
della città. Una storia carica di significati, una storia
caratteristica, unica al mondo.
I luoghi della
presenza
È interessante
notare come, anche a livello archeologico, la ricerca si concentri
oggi su due poli: l'identificazione delle mura, con la loro
complessa storia e le diverse successioni dei recinti politici
della città, e il luogo del tempio. Una ricerca condotta secondo
moduli spaziali, secondo i recinti della presenza politica, del
popolo, cioè le mura, e della presenza religiosa, di Jahvè, cioè
il tempio. E già qui siamo di fronte a una di quelle dualità, o
bipolarità, che emergono da tanti aspetti della storia di
Gerusalemme, e che potrebbero essere visualizzate con un
riferimento biblico: "Tu mi vuoi edificare una casa, io
edificherò a te un casato" (2Sam 7, 5.11). Alla casa
spaziale si contrappone il casato dinastico, temporale. Heschel
direbbe: " Al tempio Dio preferisce il tempo" in cui
anche l'uomo abita con lui. Questa linea di dualità, in cui il
tempo viene poi qualificato moralmente come impegno per la
giustizia, è la linea che riappare di frequente nel kerygma (annuncio)
profetico con la tensione tra culto e obbedienza. "Obbedire
è meglio del sacrificio" (1Sam 15, 22); "Detesto i
sacrifici fatti nel tempio; ricercate la giustizia" (Is 1,
11.17; cfr. Mic 6,7-8; Os 6,6; Sal 50): il sacrificio richiesto è
quello del cuore, anche se alla fine riappaiono i sacrifici e le
mura ricostruite.
Questa dialettica è continuamente presente
nella storia della città. n primato temporale, esistenziale, la
presenza di Dio con l'uomo e l'uomo che cammina con Dio nella
giustizia e nella santità, non elide ma illumina la presenza
spaziale, quella per cui la gloria di Dio si manifesta nel tempio
e abita dentro le mura della città. Fondamentale si potrebbe
ritenere, al proposito, la riflessione fatta da Salomone: "Ma
è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli
dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ti
ho costruita!". Ma poco prima Salomone dice: "Il Signore
ha deciso di abitare sulla nube. lo ti ho costruita una casa
potente, un luogo per la tua dimora perenne" (1Re
8,27.12-13).
Infinità, trascendenza di Dio,
immanenza gerosolimitana di Dio.
I rapporti tra i due aspetti si
chiariranno nel Nuovo Testamento, ma senza giungere mai, almeno
nello spazio temporale dell'esperienza umana, a elidersi a
vicenda. Da una parte Gesù accetta il tempio, nella sua funzione
di "casa di preghiera" (Mc 11, 11; 15, 17), dall'altra
ne prevede la fine (Mc 13).
Anche Paolo (At 21, 26; 24, 6.12.18;
26, 21), anche la comunità primitiva (At 2,46 e 3, 1) frequentano
il tempio; ma è in esso che più tardi Paolo sarà catturato, e
da questo momento in poi sembra che negli Atti degli Apostoli il
tempio sia ormai perso di vista, decaduto come luogo della
presenza, o anche soltanto come luogo della preghiera: è divenuto
anzi il luogo nel quale Paolo è stato proditoriamente preso.
Giovanni vede nel Cristo incarnato (Gv 1, 14) la nuova tenda della
Shekinah (eskenosen), in cui contempliamo la gloria del Dio
Emmanuele (Emmanuele, uno dei nomi di Gerusalemme, ora viene dato
a Gesù; cfr. Mt 1,23).
La stessa idea del corpo del Cristo come
tempio è ripresa in chiave pasquale (Gv 2, 19-22 e anche
probabilmente Gv 19, 37, dove il lato destro può fare allusione a
Zc 12, 10, all'acqua che sgorga dal lato destro del tempio), è il
tempio che Marco (14, 58) definisce "non fatto da mano
d'uomo". Qui si può richiamare tutta la polemica sul tempio
di At 7. n tema è anche suggerito dalla metafora della porta in
Gv 10, 7-9: Gesù è la mediazione per la comunione con Dio, è il
santuario in cui questa comunione si attua. Porta e tempio antichi
sono ora spezzati, come il velo del tempio (Mc 15, 38) perché il
Cristo, nuova via (Gv 14,6), è il centro del culto ed è
superiore al tempio stesso (Mt 12,6).
Vi è quindi una
nuova Gerusalemme, senza tempio.
"Non vidi alcun tempio in essa; perché il Signore Dio,
l'Onnipotente e l'Agnello sono il suo tempio" (Ap 21, 22).
A livello
storico queste varie dualità si affrontano, questa bipolarità
oppositiva o sintetica si esprime in vari modi nella predicazione
profetica e anche nel Nuovo Testamento: da una parte la città
della pace, città della giustizia e dall'altra Dio fedele, Dio
presente; oppure: Dio trascendente, Dio assente e Dio giudice, Dio
vendicatore, con tutte le varianti possibili di questa dualità,
che segna le drammatiche vicende dei luoghi della presenza del
popolo e di Jahvè.
La
città contesa
Il destino di
Gerusalemme come città contesa, comincia verso l'anno 1000 a.C.,
quando forse non contava più di duemila abitanti. La sua
esistenza come capitale pacifica, pure in mezzo ad avvenimenti
travagliati, dura quattrocento anni. Tutto il resto della storia
è un susseguirsi di invasioni e di conquiste: egiziani,
babilonesi, persiani, tolomei, seleucidi, romani, arabi, cristiani
d'occidente, sultani egiziani, turchi, sino agli eventi più
recenti.
È pensando a questa storia che André Chouraqui, nel suo libro Vivre
pour Jerusalem ha scritto: "È Babel la mostruosa
trionfatrice della storia, Babel dalle legioni devastatrici, Babel
del saccheggio e delle violazioni, Babel dell'assassinio, Babel di
tutte le morti. Babel trionfa in tutte le nostre polluzioni,
esulta nei depositi dove si ammassano le armi atomiche, che domani
devasteranno la mirabile liturgia della creazione. Ai trionfi di
Babel," egli dice, "Gerusalemme è presente incatenata,
cieca, ma viva e presente. Durante tutta la sua storia Gerusalemme
è la città martire, la grande crocifissa". Tuttavia, pur
attraverso queste vicende drammatiche di ogni tempo, Gerusalemme
è stata, è, ed è destinata a essere la terra dell'incontro.
Continua Chouraqui:
"Gerusalemme è centrale per Israele, centrale per la chiesa
universale, per la casa dell'lslam e perché essa si erge
all'incrocio in cui l'Asia incontra l'Africa e si volge
all'Occidente". Di qui, evidentemente, nasce la speranza che
vive ciascuno di noi tutte le volte che va pellegrino a
Gerusalemme, la speranza che sia proprio in questa città che
possiamo riconoscere in ogni uomo il nostro fratello, così come
ci fa intuire il Salmo 87 (vv. 5 e 7).
Scrive Jacquet: "Ogni nazione nella misura in cui riconoscerà
la supremazia del Dio d'lsraele riceverà da lui, in virtù di un
atto della sua liberalità, il suo brevetto di cittadinanza
gerosolimitana. Ai suoi membri è offerta un'iscrizione sul
registro dei cittadini della città. Tolta ogni barriera, essi
possono d'ora innanzi considerarsi a casa loro con gli israeliti;
entro le mura della città. 'Non hospites et advenae, sed cives
sanctorum et domestici Dei' (Ef2, 19) beneficiando anch'essi
delle risorse spirituali dello jahvismo (Is 12,3)".
Alla stessa idealità di Gerusalemme, città dell'incontro, patria
universale, s'ispira un loghion extracanonico di Maometto:
"O Gerusalemme, terra eletta da Dio e patria dei suoi servi,
è dalle tue mura che il mondo è diventato mondo. O Gerusalemme,
la rugiada che cade su di te guarisce ogni male, perché essa
discende dai giardini del paradiso".
Ma ecco affacciarsi il tragico dilemma; riemerge la bipolarità
storica, il dualismo: città dell'incontro o semplicemente città
della coesistenza? Città in cui tante persone e situazioni si
passano vicino, ma non si compenetrano?
Anche qui la realtà può avere un testimone. Davide Shahar in una
conversazione racconta le sue esperienze di ragazzo nato a
Gerusalemme e di uomo vissuto a Gerusalemme. Egli dice , (ed è
un'esperienza che tutti abbiamo fatto): "Gerusalemme è un
mondo di coesistenza, non di simbiosi. Voi siete là, per esempio,
alla porta di Sichem e potete vedere, gli uni accanto agli altri,
un rabbino che va a pregare al Muro, una ragazzina in minigonna
che viene da un kibbutz, un musulmano sul suo asino e poi un
monaco greco. Non c'è, direi, alcuna interpenetrazione. Ciascuno
vive nel suo mondo; non c'è niente di comune tra il mondo del
rabbino e quello del monaco greco: sono mondi differenti che
coesistono, l'uno a fianco dell'altro. Questo ci dà una città di
tensioni terribilmente forti. lo personalmente le sento in tutti
gli ambiti della vita. Non parlo soltanto della guerra tra noi e i
nostri vicini. lo sono un uomo molto pacifico e, tuttavia, sono
passato per cinque guerre. Parlo anche della comunità giudaica,
nella quale c'è coesistenza ma non interpenetrazione. È una
tensione continua. Tensione tra i praticanti e i non praticanti;
tensione tra comunità differenti. È una tensione che, vibra
sempre in questa città, e che è sempre piena di guerra. Questa
città unica e universale".
IL MISTERO
Con le frasi e le
domande di Shahar entriamo nel mistero di questa città. Che cosa
significano tutte queste realtà storiche che verifichiamo e non
possiamo negare, di cui siamo in parte i testimoni, di cui ci
rallegriamo quando gli aspetti negativi sono soverchiati da quelli
positivi, rattristandoci quando avviene il contrario? Che
significa tutto ciò in relazione al mistero di pace, prosperità,
gioia, giustizia, fraternità che Gerusalemme annunzia col suo
nome?
In altre parole potremmo dirci, partendo da un punto di vista
specificamente cristiano: il fatto che gli eventi decisivi della
salvezza, morte e risurrezione di Gesù (e, nella visione lucana,
anche la pentecoste) si siano compiuti a Gerusalemme, permette
qualche conclusione sul significato teologico permanente della
città, e sull'impatto che le situazioni dolorose della sua storia
possono avere sulla storia del mondo?
Il Nuovo Testamento ha cercato in vari modi di penetrare questo
mistero di Gerusalemme. È particolarmente ricca in proposito la
visione lucana della salvezza, salvezza annunziata in Gerusalemme
a Zaccaria, svelata a Gerusalemme con Gesù al tempio, consumata a
Gerusalemme: "Ecco, saliamo a Gerusalemme, là si compiranno
le cose dette sul figlio dell'uomo" (Lc 18,31). Irradiato da
Gerusalemme (Lc 24, 47), l'evangelo comincia da Gerusalemme (At
1,8) e da Gerusalemme in avanti, verso i confini della terra.
Gerusalemme è il nuovo Sinai della nuova Legge dello spirito
(At 2) e, almeno per un certo tempo, la predicazione primitiva a
Gerusalemme ritorna in periodici confronti (At 15 e, a suo modo,
GaI 2). Tuttavia, a partire da un certo punto, si ha l'impressione
che, per la chiesa antica, la missione della Gerusalemme storica
si insabbi, non emerga e non perseveri se non forse in forme
minori, come quella del pellegrinaggio. In fondo c'è anche oggi
un costante ritorno a Gerusalemme, ed è interessante notare come
l'attrattiva di questa città per il cristiano cresca. Anche il
cristiano si sente di dire: "l'anno prossimo a Gerusalemme".
E questo perché? È soltanto una moda, una nostalgia? O c'è
qualcosa di più?
A questo riguardo ci si è chiesto, ancora recentemente, che
significato teologico può avere la ripresa a Gerusalemme di
una comunità di ebrei cristiani, circoncisi, che si
dichiara erede del gruppo primitivo di Giacomo; collegata
direttamente alle radici sante della nostra fede.
Tutto ciò ci fa riflettere e apre interrogativi cui non è facile
dare risposta. E proprio a partire da questa misteriosa permanenza
di Gerusalemme, della Gerusalemme storica e teatro degli eventi di
salvezza, nasce, continuando la simbologia dell' Antico
Testamento, una lussureggiante simbologia gerosolimitana che si
potrebbe definire simbologia della Gerusalemme vissuta e della
Gerusalemme sognata, già presente nell'Antico Testamento e
ripresa nella letteratura rabbinica e in quella cristiana.
Per brevità ci potremmo riferire a Misrahi per dare una semplice
indicazione dei simboli evocati: pietra, acqua, luce, montagna,
forza, gioia, sposa, elementi che sono variamente ripresi dalla
letteratura successiva su Gerusalemme, dando a ciascuno di essi un
significato speciale. Pietra non soltanto perché su colline
rocciose, per l'architettura di sassi propria di Gerusalemme, ma
anche perché "pietra" sono i tre centri della città:
la pietra del Muro del Pianto, la pietra della Cupola, la pietra
ribaltata del Sepolcro. È di qui che si avanza verso il
simbolismo teologico della roccia, pietra del Signore, roccia e
rocca. Così Gerusalemme diviene espressione della fede, della
stabilità, della solidità. Come scrive un autore ebraico, il
premio Nobel Shemuel Agnon, nei suoi Racconti di Gerusalemme: "Gli
doleva il cuore a lasciare Gerusalemme, città santa, per uscirne,
come per precipitare nella Geenna. Diceva in cuor suo: sono venuto
fin qui e già me ne devo andare, mi pare di essere un uccello in
volo, vola e la sua ombra lo accompagna". Insieme col
simbolismo della solidità, del luogo dove si sta al sicuro, c'è
il simbolismo dell'acqua. Ecco il Salmo 56, 4-5:
Fremano, si
gonfino le sue acque
tremino i monti per i suoi flutti.
Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio
la santa dimora dell'Altissimo.
Si tratta dei yeudim
meshiym (giudeo-messianici), ebrei che affermano di aver
trovato il messia e credono che sia proprio Jeshuah figlio di
Miriam di Nazaret. Credono in lui come messia e Signore
(Adon), credono nella sua resurrezione e nel suo Vangelo, ma non
professano alcuna appartenenza ecclesiale ne intendono rinunciare
all'ebraismo.(1)
E dall'esigente
enfasi di questa ricchezza d'acqua (che non c'è in realtà a
Gerusalemme) si passa alla simbologia di Jahvè, sorgente d'acqua
viva in Gerusalemme. Già Filone sottolineava nel De somniis: "Qual
è mai questa città dato che la città santa dove si trova il
tempio è costruita lontano dal mare e dai fiumi?". Il senso
è evidentemente metaforico. Continua Filone: "In realtà
l'onda del Verbo divino, fluendo con continuità, potenza e misura
si spande attraverso l'universo e raggiunge ogni cosa".
Ricordiamo anche il tema della luce, fondamentale in Isaia come
quello della montagna. Gerusalemme appare non soltanto come pietra
ma anche come montagna: "Il suo monte santo, altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra" (Sal 48, 3). Montagna, cime e
insieme fondamento: "le sue fondamenta sono sui monti
santi" (Sal 46, 3-4). Fondamento e culmine proprio in
relazione col Salmo 18: "Dio, mia roccia, mia rupe, mio
riparo". Misrahi, perciò, parla addirittura di Dio come
simbolo di Gerusalemme, e dice che "se Gerusalemme ha un tale
irraggiamento è perché essa è simbolo di Dio. Se Dio è
talmente legato a Israele, è perché egli è il simbolo di
Gerusalemme".
Un altro simbolo sfruttato è quello della "porta",
"porta della speranza", che, in relazione ai temi
precedenti indica una dinamica, un passaggio, una progressione, un
entrare e un uscire, anche una fragilità, la fuga e l'esilio e
persino la stessa trasgressione.
"Entrare in Gerusalemme," scrive Misrahi, "è
entrare nel combattimento per la giustizia, è assumere la
responsabilità della lotta."
Questa entrata avrà perciò uno sbocco, un'uscita: "da
Gerusalemme uscirà la Legge". Diversi sono gli usi che
vengono fatti di queste metafore, a seconda delle situazioni; ma
tutti si riferiscono alla potenzialità quasi senza fine di
Gerusalemme di rappresentare i diversi aspetti del cammino
dell'uomo e dell'esprimersi dell'uomo con Dio.
C'è infine la simbolica della "gioia": "la
Gerusalemme, altopiano roccioso, è ove si danza l'allegria
dell'essere, il giardino del re, il giardino dell'essere. L'Eden
non è a est, ma al centro, e il centro (riferendoci anche al
Cantico dei Cantici e ai salmi) è la simbologia della
sposa".
La Gerusalemme del mistero, bagnata dalla presenza salvifica di
Dio, assume significati che possono essere letti in tutti gli
aspetti della vita e possono riferirsi a mille realtà della
ricerca che Dio fa dell'uomo e del cammino dell'uomo verso Dio.
LA PROFEZIA
Cosa significa
interrogarsi su Gerusalemme come profezia, cosa significa
interrogarsi sull'influsso che la salvezza finale, rappresentata
con immagini gerosolimitane, ha sul momento presente della
salvezza e sul cammino della salvezza? Qui andrebbe evocato tutto
quanto è detto nel Nuovo Testamento, nell'Apocalisse in
particolare, sulla Gerusalemme nuova, sulla città che viene da
Dio, la quintessenza di tutte le attese umane, la città in cui
non c'è più né pianto, né lutto, dolore; il luogo della
perfetta giustizia e della perfetta liberta, Il luogo nel quale si
esprime la libertà dei credenti (GaI 4, 26-31). È interessante
indicare, con qualche citazione, come questi temi si prolunghino,
sia nella riflessione rabbinica, sia in quella cristiana.
Già la speculazione rabbinica sull'apparente duale Jerusalayim
passava a riflettere sulla città duale nello spazio e nel
tempo: Gerusalemme celeste, Gerusalemme terrestre; Gerusalemme di
adesso, Gerusalemme di poi. E cercava di definire i vari
rapporti tra le due Gerusalemme: quella di quaggiù, quella di
ora; quella di lassù e quella di poi, con diverse armonie e
tensioni tra il prima e il dopo. Il cammino dell'uomo non doveva
essere allora una semplice ricerca del tempo perduto o un giro a
vuoto su se stesso nel cerchio dell'esistenza, ma un passaggio da
un prima a un poi, da un quassù a un lassù che dà significato a
ogni momento dell'esistenza storica dell'uomo.
Dal punto di vista cristiano i termini sono, evidentemente, molti.
Gerusalemme può essere termine del cammino, punto di arrivo, come
scrive il Crisostomo commentando il Salmo 47 (48):
"Teniamo nel nostro spirito la città di Gerusalemme:
contempliamola senza sosta avendo sempre davanti agli occhi le sue
bellezze. È la capitale del Re dei secoli, ove tutto è
immutabile, ove nulla passa, ove tutte le bellezze sono
incorruttibili. Contempliamola per divenire ogni giorno più
affettuosi coi nostri fratelli e così ereditare il regno dei
cieli".
Quest'immagine della Gerusalemme terminale, da cui derivano
numerose anticipazioni della sua vita nel cammino del popolo di
Dio, è espressa variamente dalla teologia medievale.
Abbiamo la tipica triplice distinzione, secondo i tre sensi della
scrittura. Sion significa specula o contemplatio, scrive
Rabano Mauro, e "designa la chiesa dell'anima credente o la
patria celeste. Secondo la storia designa la nazione dei giudei o
Gerusalemme, secondo l'allegoria è la santa chiesa, secondo
l'analogia è la patria celeste".
Diverso è lo schema duplice che presenta Tommaso d'Aquino nel
commento al Salmo 45: "Duplice è la città di Dio, l'una
terrena, cioè la Gerusalemme terrestre, l'altra spirituale, cioè
la Gerusalemme celeste. Per l' Antico Testamento gli uomini erano
fatti cittadini della città terrestre, per il Nuovo Testamento
della città celeste". Qui il discorso diventa più complesso
e più difficile: già prima di san Tommaso, sant' Agostino aveva
tentato di adattare il discorso alla complessità della storia,
dove città terrestre e città celeste si scontrano in una sorta
di escatologia realizzata. Allora si affermano nomi diversi per le
due città: Gerusalemme e Babilonia. E questa presentazione duale
è la stessa che troviamo nel libro dell' Apocalisse.
Sant'Agostino, nel De Civitate Dei, parlando dei Salmi
delle ascensioni (i salmi dal 120 al 134) vedrà Gerusalemme come
il punto terminale dell'intera esistenza dell'uomo: "Voi
sapete, fratelli miei, che un cantico delle ascensioni non è che
un cantico della nostra ascensione, e che questa ascensione non si
fa con i nostri piedi, ma con gli slanci del cuore. Corriamo
dunque, fratelli miei, corriamo. Noi andremo alla casa del
Signore. Corriamo, non stanchiamoci, perché noi arriveremo là,
dove non c'è più stanchezza". E di qua, da questa
attrattiva perenne che Gerusalemme esercita sull'uomo come punto
di arrivo, come stimolo per il cammino, come chiave per
l'interpretazione degli enigmi della storia, delle complessità
delle tensioni storiche che agitano gli uomini nasce un'ultima
riflessione: Gerusalemme intesa come compito o come sfida.
La domanda posta all'inizio di questa terza riflessione sulla
profezia, cioè quale sia l'influsso che ha sul presente della
salvezza e sul cammino dell'uomo la salvezza finale rappresentata
con immagini gerosolimitane, può anche essere rovesciata. C'è
una funzione della Gerusalemme storica rispetto alla Gerusalemme
profetica? In che maniera il realismo della Gerusalemme storica e
la sua ricchezza molteplice, misteriosa e simbolica, è vissuto
nella Gerusalemme profetica che si va costruendo, nel popolo di
Dio in cammino? Non potrebbe una maggiore attenzione alla
Gerusalemme storica e al suo destino, alle sue ricchezze e alla
sua corporeità, assicurare più vigorosamente anche al popolo di
Dio una completezza e un'armonia di valori, che ne facciano
davvero un corpo di Cristo immerso nella storia? Il richiamo a
Gerusalemme non può essere un richiamo a un modo più completo di
essere uomo e di essere chiesa?
In questo senso qualcuno ha parlato di ferite iniziali nella
primitiva cristianità ancora da risanare, perché il
cristianesimo ritrovi nel suo cammino nel tempo, sempre
maggiormente, la ricchezza delle sue potenzialità.
E tuttavia la domanda su Gerusalemme come sfida rimane presente e
drammatica, anche soltanto riferendoci alla Gerusalemme storica.
Padre Dubois che, come cittadino di Gerusalemme, vive intimamente
questa realtà, questa sofferenza e questi desideri, nel suo libro
Vigiles à Jerusalem si domanda: "Come situare in
rapporto reciproco il valore di segno e il valore di realtà, come
accordare la dimensione storica e temporale con la dimensione di
eternità? Più precisamente, poi che Gerusalemme esiste e non è
soltanto nei cieli, come esserci, dimorarvi, occuparla,
possederla; come essere presso di essa a casa propria e
contemporaneamente aprirla al mondo, a tutti gli uomini, come
patria spirituale e universale?". Riemerge allora la domanda,
propria di ogni uomo: "Tu, che pensi di Gerusalemme?".
_____________________
1. Cfr. Francesco Rossi de Gasperis, Un nuovo
giudeocristianesimo e la sua possibile rilevanza ecclesiale, in
Cominciando da Gerusalemme, Piemme, Milano 1997, pp.
140-183.
[Tratto da: Atti
della XXVI settimana biblica, Roma, 15-19 settembre 1980,
Paideia Brescia 1982]