Dialogo: spunti da uno dei protagonisti,
Carlo Maria Martini




SGUARDO STORICO
Epoca del Nuovo Testamento
Periodo patristico
Periodo medievale
Periodo moderno e contemporaneo
SGUARDO TEOLOGICO -  Premessa
Le radici comuni che ci rendono fratelli
Differenze
Una speranza e un fine comune
Collaborazione ed emulazione fraterna


SGUARDO STORICO

Epoca del Nuovo Testamento 

Il cristianesimo delle origini è profondamente radicato nell'ebraismo e non può essere compreso senza avere contemporaneamente una sincera simpatia e un'esperienza diretta del mondo ebraico. Gesù è pienamente ebreo, ebrei sono gli apostoli, e non si può dubitare del loro attaccamento alla tradizione dei padri. La pasqua messianica che Gesù, redentore universale e servo sofferente, annuncia e realizza, non si oppone all'alleanza del Sinai, ma ne completa il senso.

Le polemiche antiebraiche presenti nel Nuovo Testamento si comprendono a diversi livelli: a livello storico, nell'atmosfera delle lacerazioni settarie che opponevano i diversi gruppi (farisei, sadducei, qumran, esseni ecc.); a livello teologico, particolarmente in Giovanni: i "giudei" sono una categoria per esprimere chi rifiuta la salvezza (questa terminologia categoriale fu ben chiarita da Karl Barth, per esempio nel commento dell'Epistola ai Romani); a livello escatologico, per cui la "fine" delle strutture dell'alleanza viene sentita come una necessità del Regno, quando Dio regna "tutto in tutti"; a livello ecclesiale, come reazione alle pretese giudaizzanti che si affermavano in ambienti di cristiani provenienti dal paganesimo.

Ma tutto questo non significa che il cristianesimo originario e il Nuovo Testamento abbiano carattere antisemita. Il grande rilievo che Paolo dà alla tradizione e all'alleanza dei padri nella Lettera ai Romani sembra anzi voler contrastare la corrente di una certa opposizione agli ebrei che si manifestava presso alcuni cristiani di Roma provenienti dal mondo greco-romano.

Periodo patristico 

Lo studio dei padri per coglierne il rapporto con l' ebraismo di 'ErezJsrael' e della diaspora (come si esprime in particolare nel Talmud) non è stato ancora compiuto; anche lo studio delle eresie dei primi secoli, specialmente in Asia e Oriente, e il loro rapporto con le correnti ebraiche, sarebbe prezioso per capire la nascita dell'lslam.

Il termine judaeus non ha, fino al secolo v, un senso peggiorativo presso i padri; le categorie di pensiero e la mentalità semita continuano a penetrare il pensiero cristiano in particolare fino a Nicea, ma anche dopo fecondano specialmente gli autori siri, come sant'Efrem, e attraverso di essi -anche grazie a sant' Ambrogio - sono presenti in Occidente. Questo vale ancor più per la vita liturgica e la preghiera, per la quale è essenziale il rimando all'esperienza sinagogale, come vediamo ad Alessandria al tempo di Origene. Questa familiarità comincerà a incrinarsi nella Spagna visigota (sec. VII), quando i concili imporranno agli ebrei convertiti di abiurare e di abbandonare ogni tradizione precedente.

Agostino, sempre attento a cogliere i semi di verità (i logoi stoici) anche dai pagani, introduce però un elemento negativo nel giudizio sugli ebrei: è la cosiddetta "teoria della sostituzione" dell'antico Israele da parte del nuovo Israele, la chiesa. Ma non siamo ancora a una situazione di pesante intolleranza, come testimonia anche, proprio a Roma, il mosaico paleocristiano di Santa Sabina che raffigura accanto alla "Ecclesia ex Gentibus" la "Ecclesia ex Circumcisione" come una nobile matrona, immagine che nel Medioevo verrà sostituita da quella della sinagoga bendata.

Roma - S. Sabina -  Mosaico V Sec.
Ecclesia ex circumcisione - Ecclesia ex gentibus

Periodo medievale 

Leon Poliakov ha esaurientemente mostrato che, fino alle crociate, la situazione degli ebrei in Europa è ancora in genere di serena convivenza con la popolazione cristiana.

Una brusca e sanguinosa svolta è provocata dalle masse fanatiche che si muovono disordinatamente insieme agli eserciti diretti in Terrasanta: esse sono responsabili di feroci massacri di intere comunità ebraiche in Germania, nonostante le opposizioni di vescovi e di conti; agli ebrei veniva solo lasciata la scelta fra battesimo e martirio, e a migliaia scelsero quest'ultimo proclamando la propria fedeltà a Dio. Dal 1144 si diffonde anche l'accusa di omicidio rituale e più tardi quella di un odioso complotto degli ebrei, maledetti perché deicidi, contro il genere umano. Le conseguenze, specie a livello popolare, saranno gravissime: gli ebrei diventano quasi simbolo del male satanico, da estirpare implacabilmente con ogni mezzo.

La chiesa non partecipa di queste aberrazioni, tuttavia risente di questa atmosfera: così, nel 1215, il Concilio Lateranense IV impone agli ebrei il "segno" distintivo.

I secoli XIII-XIV vedono però a Roma una comunità ebraica particolarmente fiorente, e nel 1310-1311 il Concilio di Vienne decreta l'istituzione in tutta Europa di cattedre di ebraico e aramaico per lo studio del Talmud, anche se questa riforma di studi non venne mai attuata. Comunque in Spagna, Francia e Italia la collaborazione a livello culturale fra ebrei e cristiani è profonda; un'atmosfera che traspare nella novella di Melchisedèc Giudeo e del Saladino di Boccaccio (Decameron 1,3).

Il Medioevo, per gli ebrei, continuerà in Europa fino alla rivoluzione francese, marcato da due eventi gravissimi: l'esilio dalla Spagna (1492) e l'istituzione del ghetto, determinata dalla Bolla pontificia Cum nimis absurdum (1555), accompagnata da roghi del Talmud, vessazioni, processi religiosi, decadimento culturale. Queste persecuzioni debbono ispirarci una seria i riflessione per coglierne le cause, e certo i pregiudizi religiosi, alimentati da accese predicazioni popolari (ad esempio quella di san Bernardino), offrirono facili pretesti a chi cercava di trarre vantaggi politici o economici dagli ebrei insicuri e minacciati. Riconoscere gli errori di una malintesa religiosità o, peggio, del cieco fanatismo, è umile saggezza. L'intolleranza religiosa maschera spesso l'irreligiosità, e una religiosità meno attenta può essere strumentalizzata ad altri fini: non mancano esempi nella Scrittura, e Gesù perciò esorta alla conversione del cuore, per adorare il Padre "in spirito e verità" (Gv 4,23).

Periodo moderno e contemporaneo 

Gli ebrei dopo l'emancipazione sono attivamente presenti in campo scientifico, letterario, filosofico, politico, economico, artistico, nelle nazioni nate nell'epoca moderna, mentre fioriscono correnti favorevoli al ritorno alla "terra", in Palestina, ispirate da motivi religiosi o puramente politico-ideologici.

Nello stesso periodo, invece, la chiesa sperimenta una stagione di non facili rapporti con il nuovo ordine sociale e la nuova mentalità. Possiamo forse pensare che se ci fossero state relazioni fraterne fra cristianesimo ed ebraismo non avremmo sperimentato certe dolorose incomprensioni fra chiesa e mondo moderno?

Nuovi pogrom si susseguono in Russia sul finire del secolo XIX: anche qui fanatismo, intolleranza e pregiudizi religiosi si uniscono alle motivazioni politiche. Tragico e indescrivibile è l'orrore dello sterminio degli ebrei d'Europa programmato con sistematica e assurda ferocia dai nazisti: questa nuova tirannide statolatrica sfruttava abilmente i secolari pregiudizi antiebraici diffusi a livello popolare. All'orrore si unisce in noi un vivo dolore, se consideriamo quanta indifferenza, o peggio, quanto astio separava spesso ebrei e cristiani in quegli anni; ma va pure ricordato l'eroismo di molti per soccorrere gli ebrei perseguitati.

Pio XI stava preparando una enciclica di condanna dell'antisemitismo, e solo la morte interruppe questo progetto.

Il dopoguerra vede il risorgere di uno stato ebraico con una propria autonomia e con caratteri democratici, per il quale la maggior parte degli ebrei prega salutandolo quale "inizio della fioritura della Redenzione". La chiesa si pone in atteggiamento di dialogo con il mondo, attenta a discernere i "segni dei tempi", in spirito di servizio all'umanità ancora lacerata da gravi contraddizioni. Il Concilio Vaticano II esprime tutta la passione della chiesa per la salvezza del mondo e per la pace e ripudia l'accusa di "deicidio" e "l'insegnamento del disprezzo" (Jules Isaac) nei riguardi degli ebrei, sottolineando al contrario il grande patrimonio comune di fede nel mistero del piano salvifico voluto da Dio.(1) I segni di queste grandi aperture, come la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma o la grande preghiera per la pace in Assisi, sono sotto gli occhi di tutti noi. Il 2 maggio 1987, il santo padre ha proclamato beata una figlia del popolo ebraico che ad Auschwitz si è offerta con Cristo "per la vera pace" e "per il suo popolo".

1. Concilio Vaticano II, Nostra Aetate, 4.

 

SGUARDO TEOLOGICO 

Queste brevissime note storiche vogliono solo essere uno stimolo per mostrare quanto sia necessaria una sempre più accurata analisi critica del passato: la chiesa sarà costantemente grata a chi le offrirà un serio contributo culturale, prezioso per I interpretare la storia alla luce dei principi di fede.

Vorrei indicare alcuni di questi principi, che un faticoso e talora doloroso cammino storico ha fatto emergere nella riflessione teologica e nei documenti applicativi del Concilio emanati dalla Commission for the Religious Relations with the Jews, istituita nel 1974, di cui fui per diversi anni consultore. Questo cammino deve continuare e la teologia è invitata, con più insistenza dopo la Shoah, a confrontarsi con la storia e l'esperienza di fede degli ebrei ad Auschwitz" (J.B. Metz).

Le radici comuni che ci rendono fratelli 

Giovanni XXIII, il Concilio, Paolo VI (con l'enciclica Ecclesiam Suam), Giovanni Paolo II, cioè tutto il recente magistero universale della chiesa, così come i documenti di conferenze episcopali e di singole chiese locali, concordemente ribadiscono che chiesa e popolo ebraico sono legati da un profondo vincolo "a livello della propria identità religiosa", un vincolo che non distrugge ma valorizza le due comunità e i singoli membri nelle loro specifiche differenze e nei loro valori comuni.

Vorrei qui tentare solo un rapido sommario non esaustivo di questi elementi comuni, secondo la Scrittura e la tradizione.

La fede di Abramo e dei patriarchi nel Dio che ha scelto Israele con irrevocabile amore; la vocazione alla santità: "Siate santi, perché io sono Santo" (Lv Il,45) e la necessaria "conversione (teshuvah) del cuore"; la venerazione per le Sacre Scritture; la tradizione di preghiera, tanto privata quanto pubblica; l'obbedienza alla legge morale espressa nei comandamenti del Sinai; la testimonianza resa a Dio nella "santificazione del Nome" in mezzo ai popoli, fino al martirio se necessario; il rispetto e la responsabilità nei confronti di tutto il creato, l'impegno per la pace e il bene dell'umanità intera, senza discriminazioni.

E tuttavia questi elementi comuni sono intesi, vissuti nelle due tradizioni con modalità profondamente differenti.

Differenze 

Questi profondi valori che ci uniscono non sopprimono certo le caratteristiche che ci distinguono e che vanno esposte con altrettanta chiarezza, a fondamento di un onesto dialogo; in Gesù morto e risorto noi cristiani adoriamo il Figlio unigenito prediletto del Padre, il Messia signore e redentore dei popoli tutti che ricapitola in se l'intero creato. Tuttavia con questo atto di fede noi riteniamo di confermare i valori ebraici e la Torah, come afferma Paolo (Rm 3,31). La nostra esegesi dinamica ed escatologica delle Scritture ci pone in una linea di continuità-diversità con l'interpretazione ebraica.

Rimane il dovere urgente, per la riflessione ecclesiologica, di chiarire come le due comunità dell'alleanza, chiesa e sinagoga, non si confondano pur partecipando di una missione comune a servizio di Dio e dell'uomo. Sant'Ambrogio, parlando dei rapporti fra le due "alleanze" (Antico Testamento-Nuovo Testamento) parla di "rota intra rotam" e l'immagine è attraente. San Paolo aveva usato l'immagine viva dell'ulivo buono e dell' oleastro.

La storia passata, d'altra parte, ci ha mostrato quanto danno questa missione ha patito a causa delle eccessive e talvolta tragiche contrapposizioni polemiche che ci hanno divisi.

Una speranza e un fine comune 

Non solo le radici e molti elementi del nostro cammino sono comuni, ma anche la meta finale può essere espressa e intesa in termini di convergenza. La speranza nel futuro messianico, quando Dio solo regnerà, Re di giustizia e di pace; la fede nella risurrezione dei morti, nel giudizio di Dio, ricco di misericordia, la redenzione universale, sono temi comuni per ebrei e cristiani. Le stesse diversità che su questi punti ci contraddistinguono potrebbero essere viste, forse più spesso di quanto non sembri, anche nel senso di una reciproca complementarità.

Collaborazione ed emulazione fraterna 

Sul fondamento di questi principi, che certo andranno attentamente studiati e approfonditi, appare già ora e apparirà credo più chiaramente come esista un ampio spazio per un doveroso impegno comune, specialmente a livello spirituale, etico, nel campo dei diritti umani e nell'assistenza a popoli e persone bisognosi di solidarietà per la pace e lo sviluppo integrale dell'umanità. Sempre più spesso appariranno anche punti di contatto affini che allargheranno queste responsabilità comuni ad altri credenti, in particolare ai fedeli dell'lslam.

A questo proposito, l'impegno comune di ebrei, cristiani e musulmani per una soluzione equilibrata che porti la pace "giusta e completa" (Giovanni Paolo II, 6 settembre 1978) a Israele, al popolo palestinese e al Libano, si fa sempre più urgente. Gerusalemme è come il centro e il simbolo di questi comuni valori religiosi, storici, etici e culturali, che debbono essere armonicamente composti e rispettati.

Come, alla vista di Gerusalemme, Gesù pianse "affinché ottenesse il perdono per le lacrime del Signore" (sant' Ambrogio, De paenitentia, 1.11), così noi tutti speriamo che da Gerusalemme sgorghi un fiume di pace e un torrente di perdono e di amore.

[Relazione al colloquio internazionale dell'International Council of Christian and Jews, 9 luglio 1984, in Città senza mura, EDB, Bologna 1984]

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