SGUARDO STORICO
Epoca del Nuovo
Testamento
Il cristianesimo delle
origini è profondamente radicato nell'ebraismo e non può essere
compreso senza avere contemporaneamente una sincera simpatia e
un'esperienza diretta del mondo ebraico. Gesù è pienamente ebreo,
ebrei sono gli apostoli, e non si può dubitare del loro
attaccamento alla tradizione dei padri. La pasqua messianica che Gesù,
redentore universale e servo sofferente, annuncia e realizza, non si
oppone all'alleanza del Sinai, ma ne completa il senso.
Le polemiche
antiebraiche presenti nel Nuovo Testamento si comprendono a diversi
livelli: a livello storico, nell'atmosfera delle lacerazioni
settarie che opponevano i diversi gruppi (farisei, sadducei, qumran,
esseni ecc.); a livello teologico, particolarmente in Giovanni: i
"giudei" sono una categoria per esprimere chi rifiuta la
salvezza (questa terminologia categoriale fu ben chiarita da Karl
Barth, per esempio nel commento dell'Epistola ai Romani); a
livello escatologico, per cui la "fine" delle strutture
dell'alleanza viene sentita come una necessità del Regno, quando
Dio regna "tutto in tutti"; a livello ecclesiale, come
reazione alle pretese giudaizzanti che si affermavano in ambienti di
cristiani provenienti dal paganesimo.
Ma tutto questo non
significa che il cristianesimo originario e il Nuovo Testamento
abbiano carattere antisemita. Il grande rilievo che Paolo dà alla
tradizione e all'alleanza dei padri nella Lettera ai Romani sembra
anzi voler contrastare la corrente di una certa opposizione agli
ebrei che si manifestava presso alcuni cristiani di Roma provenienti
dal mondo greco-romano.
Periodo
patristico
Lo studio dei padri
per coglierne il rapporto con l' ebraismo di 'ErezJsrael' e
della diaspora (come si esprime in particolare nel Talmud) non
è stato ancora compiuto; anche lo studio delle eresie dei primi
secoli, specialmente in Asia e Oriente, e il loro rapporto con le
correnti ebraiche, sarebbe prezioso per capire la nascita dell'lslam.
Il termine judaeus
non ha, fino al secolo v, un senso peggiorativo presso i padri;
le categorie di pensiero e la mentalità semita continuano a
penetrare il pensiero cristiano in particolare fino a Nicea, ma
anche dopo fecondano specialmente gli autori siri, come sant'Efrem,
e attraverso di essi -anche grazie a sant' Ambrogio - sono presenti
in Occidente. Questo vale ancor più per la vita liturgica e la
preghiera, per la quale è essenziale il rimando all'esperienza
sinagogale, come vediamo ad Alessandria al tempo di Origene. Questa
familiarità comincerà a incrinarsi nella Spagna visigota (sec. VII),
quando i concili imporranno agli ebrei convertiti di abiurare e di
abbandonare ogni tradizione precedente.
Agostino, sempre
attento a cogliere i semi di verità (i logoi stoici) anche
dai pagani, introduce però un elemento negativo nel giudizio sugli
ebrei: è la cosiddetta "teoria della sostituzione"
dell'antico Israele da parte del nuovo Israele, la chiesa. Ma non
siamo ancora a una situazione di pesante intolleranza, come
testimonia anche, proprio a Roma, il mosaico paleocristiano di Santa
Sabina che raffigura accanto alla "Ecclesia ex Gentibus"
la "Ecclesia ex Circumcisione" come una nobile matrona,
immagine che nel Medioevo verrà sostituita da quella della sinagoga
bendata.
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Roma - S.
Sabina - Mosaico V Sec.
Ecclesia ex circumcisione - Ecclesia ex gentibus
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Periodo
medievale
Leon Poliakov ha
esaurientemente mostrato che, fino alle crociate, la situazione
degli ebrei in Europa è ancora in genere di serena convivenza con
la popolazione cristiana.
Una brusca e
sanguinosa svolta è provocata dalle masse fanatiche che si muovono
disordinatamente insieme agli eserciti diretti in Terrasanta: esse
sono responsabili di feroci massacri di intere comunità
ebraiche in Germania, nonostante le opposizioni di vescovi e di
conti; agli ebrei veniva solo lasciata la scelta fra battesimo e
martirio, e a migliaia scelsero quest'ultimo proclamando la propria
fedeltà a Dio. Dal 1144 si diffonde anche l'accusa di omicidio
rituale e più tardi quella di un odioso complotto degli ebrei,
maledetti perché deicidi, contro il genere umano. Le conseguenze,
specie a livello popolare, saranno gravissime: gli ebrei diventano
quasi simbolo del male satanico, da estirpare implacabilmente con
ogni mezzo.
La chiesa non
partecipa di queste aberrazioni, tuttavia risente di questa
atmosfera: così, nel 1215, il Concilio Lateranense IV impone agli
ebrei il "segno" distintivo.
I secoli XIII-XIV
vedono però a Roma una comunità ebraica particolarmente fiorente,
e nel 1310-1311 il Concilio di Vienne decreta l'istituzione in tutta
Europa di cattedre di ebraico e aramaico per lo studio del Talmud,
anche se questa riforma di studi non venne mai attuata. Comunque
in Spagna, Francia e Italia la collaborazione a livello culturale
fra ebrei e cristiani è profonda; un'atmosfera che traspare nella
novella di Melchisedèc Giudeo e del Saladino di Boccaccio (Decameron
1,3).
Il Medioevo, per gli
ebrei, continuerà in Europa fino alla rivoluzione francese, marcato
da due eventi gravissimi: l'esilio dalla Spagna (1492) e
l'istituzione del ghetto, determinata dalla Bolla pontificia Cum
nimis absurdum (1555), accompagnata da roghi del Talmud, vessazioni,
processi religiosi, decadimento culturale. Queste persecuzioni
debbono ispirarci una seria i riflessione per coglierne le cause, e
certo i pregiudizi religiosi, alimentati da accese predicazioni
popolari (ad esempio quella di san Bernardino), offrirono facili
pretesti a chi cercava di trarre vantaggi politici o economici dagli
ebrei insicuri e minacciati. Riconoscere gli errori di una malintesa
religiosità o, peggio, del cieco fanatismo, è umile saggezza.
L'intolleranza religiosa maschera spesso l'irreligiosità, e una
religiosità meno attenta può essere strumentalizzata ad altri
fini: non mancano esempi nella Scrittura, e Gesù perciò esorta
alla conversione del cuore, per adorare il Padre "in spirito e
verità" (Gv 4,23).
Periodo
moderno e contemporaneo
Gli ebrei dopo
l'emancipazione sono attivamente presenti in campo scientifico,
letterario, filosofico, politico, economico, artistico, nelle
nazioni nate nell'epoca moderna, mentre fioriscono correnti
favorevoli al ritorno alla "terra", in Palestina, ispirate
da motivi religiosi o puramente politico-ideologici.
Nello stesso periodo,
invece, la chiesa sperimenta una stagione di non facili rapporti con
il nuovo ordine sociale e la nuova mentalità. Possiamo forse
pensare che se ci fossero state relazioni fraterne fra cristianesimo
ed ebraismo non avremmo sperimentato certe dolorose incomprensioni
fra chiesa e mondo moderno?
Nuovi pogrom si
susseguono in Russia sul finire del secolo XIX: anche qui fanatismo,
intolleranza e pregiudizi religiosi si uniscono alle motivazioni
politiche. Tragico e indescrivibile è l'orrore dello sterminio
degli ebrei d'Europa programmato con sistematica e assurda ferocia
dai nazisti: questa nuova tirannide statolatrica sfruttava abilmente
i secolari pregiudizi antiebraici diffusi a livello popolare.
All'orrore si unisce in noi un vivo dolore, se consideriamo quanta
indifferenza, o peggio, quanto astio separava spesso ebrei e
cristiani in quegli anni; ma va pure ricordato l'eroismo di molti
per soccorrere gli ebrei perseguitati.
Pio XI stava
preparando una enciclica di condanna dell'antisemitismo, e solo la
morte interruppe questo progetto.
Il dopoguerra vede il
risorgere di uno stato ebraico con una propria autonomia e con
caratteri democratici, per il quale la maggior parte degli ebrei
prega salutandolo quale "inizio della fioritura della
Redenzione". La chiesa si pone in atteggiamento di dialogo con
il mondo, attenta a discernere i "segni dei tempi", in
spirito di servizio all'umanità ancora lacerata da gravi
contraddizioni. Il Concilio Vaticano II esprime tutta la passione
della chiesa per la salvezza del mondo e per la pace e ripudia
l'accusa di "deicidio" e "l'insegnamento del
disprezzo" (Jules Isaac) nei riguardi degli ebrei,
sottolineando al contrario il grande patrimonio comune di fede nel
mistero del piano salvifico voluto da Dio.(1) I
segni di queste grandi aperture, come la visita di Giovanni Paolo II
alla sinagoga di Roma o la grande preghiera per la pace in Assisi,
sono sotto gli occhi di tutti noi. Il 2 maggio 1987, il santo padre
ha proclamato beata una figlia del popolo ebraico che ad Auschwitz
si è offerta con Cristo "per la vera pace" e "per il
suo popolo".
1. Concilio
Vaticano II, Nostra Aetate,
4.
SGUARDO
TEOLOGICO
Queste brevissime
note storiche vogliono solo essere uno stimolo per mostrare quanto
sia necessaria una sempre più accurata analisi critica del passato:
la chiesa sarà costantemente grata a chi le offrirà un serio
contributo culturale, prezioso per I interpretare la storia alla
luce dei principi di fede.
Vorrei indicare
alcuni di questi principi, che un faticoso e talora doloroso cammino
storico ha fatto emergere nella riflessione teologica e nei
documenti applicativi del Concilio emanati dalla Commission for the
Religious Relations with the Jews, istituita nel 1974, di cui fui
per diversi anni consultore. Questo cammino deve continuare e la
teologia è invitata, con più insistenza dopo la Shoah, a
confrontarsi con la storia e l'esperienza di fede degli ebrei ad
Auschwitz" (J.B. Metz).
Le
radici comuni che ci rendono fratelli
Giovanni XXIII, il
Concilio, Paolo VI (con l'enciclica Ecclesiam
Suam), Giovanni
Paolo II, cioè tutto il recente magistero universale della chiesa,
così come i documenti di conferenze episcopali e di singole chiese
locali, concordemente ribadiscono che chiesa e popolo ebraico sono
legati da un profondo vincolo "a livello della propria identità
religiosa", un vincolo che non distrugge ma valorizza le due
comunità e i singoli membri nelle loro specifiche differenze e nei
loro valori comuni.
Vorrei qui tentare
solo un rapido sommario non esaustivo di questi elementi comuni,
secondo la Scrittura e la tradizione.
La fede di Abramo e
dei patriarchi nel Dio che ha scelto Israele con irrevocabile amore;
la vocazione alla santità: "Siate santi, perché io sono
Santo" (Lv Il,45) e la necessaria "conversione (teshuvah)
del cuore"; la venerazione per le Sacre Scritture; la
tradizione di preghiera, tanto privata quanto pubblica; l'obbedienza
alla legge morale espressa nei comandamenti del Sinai; la
testimonianza resa a Dio nella "santificazione del Nome"
in mezzo ai popoli, fino al martirio se necessario; il rispetto e la
responsabilità nei confronti di tutto il creato, l'impegno per la
pace e il bene dell'umanità intera, senza discriminazioni.
E tuttavia questi
elementi comuni sono intesi, vissuti nelle due tradizioni con
modalità profondamente differenti.
Differenze
Questi profondi
valori che ci uniscono non sopprimono certo le caratteristiche che
ci distinguono e che vanno esposte con altrettanta chiarezza, a
fondamento di un onesto dialogo; in Gesù morto e risorto noi
cristiani adoriamo il Figlio unigenito prediletto del Padre, il
Messia signore e redentore dei popoli tutti che ricapitola in se
l'intero creato. Tuttavia con questo atto di fede noi riteniamo di
confermare i valori ebraici e la Torah, come afferma Paolo (Rm
3,31). La nostra esegesi dinamica ed escatologica delle Scritture ci
pone in una linea di continuità-diversità con l'interpretazione
ebraica.
Rimane il dovere
urgente, per la riflessione ecclesiologica, di chiarire come le due
comunità dell'alleanza, chiesa e sinagoga, non si confondano pur
partecipando di una missione comune a servizio di Dio e dell'uomo.
Sant'Ambrogio, parlando dei rapporti fra le due "alleanze"
(Antico Testamento-Nuovo Testamento) parla di "rota intra
rotam" e l'immagine è attraente. San Paolo aveva usato
l'immagine viva dell'ulivo buono e dell' oleastro.
La storia passata,
d'altra parte, ci ha mostrato quanto danno questa missione ha patito
a causa delle eccessive e talvolta tragiche contrapposizioni
polemiche che ci hanno divisi.
Una speranza e un
fine comune
Non solo le radici e
molti elementi del nostro cammino sono comuni, ma anche la meta
finale può essere espressa e intesa in termini di convergenza. La
speranza nel futuro messianico, quando Dio solo regnerà, Re di
giustizia e di pace; la fede nella risurrezione dei morti, nel
giudizio di Dio, ricco di misericordia, la redenzione universale,
sono temi comuni per ebrei e cristiani. Le stesse diversità che su
questi punti ci contraddistinguono potrebbero essere viste, forse più
spesso di quanto non sembri, anche nel senso di una reciproca
complementarità.
Collaborazione
ed emulazione fraterna
Sul fondamento di
questi principi, che certo andranno attentamente studiati e
approfonditi, appare già ora e apparirà credo più chiaramente
come esista un ampio spazio per un doveroso impegno comune,
specialmente a livello spirituale, etico, nel campo dei diritti
umani e nell'assistenza a popoli e persone bisognosi di solidarietà
per la pace e lo sviluppo integrale dell'umanità. Sempre più
spesso appariranno anche punti di contatto affini che allargheranno
queste responsabilità comuni ad altri credenti, in particolare ai
fedeli dell'lslam.
A questo proposito,
l'impegno comune di ebrei, cristiani e musulmani per una soluzione
equilibrata che porti la pace "giusta e completa"
(Giovanni Paolo II, 6 settembre 1978) a Israele, al popolo
palestinese e al Libano, si fa sempre più urgente. Gerusalemme è
come il centro e il simbolo di questi comuni valori religiosi,
storici, etici e culturali, che debbono essere armonicamente
composti e rispettati.
Come, alla vista di
Gerusalemme, Gesù pianse "affinché ottenesse il perdono per
le lacrime del Signore" (sant' Ambrogio, De paenitentia, 1.11),
così noi tutti speriamo che da Gerusalemme sgorghi un fiume di pace
e un torrente di perdono e di amore.
[Relazione
al colloquio internazionale dell'International Council of Christian
and Jews, 9 luglio 1984, in Città senza mura, EDB, Bologna
1984]