La
strada dell'incontro fraterno con Israele passa per Auschwitz
In Polonia, non lontano da Cracovia, sta la cittadina di Oswicim.
Un ampio tratto di campagna conserva ancora la struttura e il nome
del campo di sterminio tedesco dove, cinquant'anni fa, vennero
sterminati gli ebrei: Auschwitz-Birkenau. Martiri ed eroi, bimbi e
vecchi furono avviati alle camere a gas. Benche molti altri
innocenti, polacchi e d'ogni nazione europea, tra cui san
Massimiliano Kolbe, zingari, omosessuali abbiano qui trovato
orrenda morte, tuttavia Auschwitz è oggi assurto quasi a luogo
simbolico della Shoah, il genocidio del popolo ebraico in Europa.
Ma esso può essere
anche considerato quale simbolo più vasto di una barbarie e di un
disegno criminoso che imperversò sull'Europa moltiplicando i
gesti gratuiti di crudeltà. Perché, come scrive Giuseppe
Dossetti nella introduzione a Le querce di Montesole: "Auschwitz
non è stato un puro episodio isolato, se pure tremendo, e nemmeno
un certo periodo della storia moderna, ma un punto di svolta,
un'era nuova in cui il progresso tecnologico, la pianificazione
politica, gli odierni sistemi burocratici e l'assoluta scomparsa
di vincoli morali tradizionali si sono combinati per rendere la
distruzione umana di massa una possibilità sempre presente".(1)
Ad Auschwitz papa
Giovanni Paolo Il si è recato in uno dei suoi primi
pellegrinaggi, nel giugno 1979, per rendere omaggio alle vittime
della Shoah, per testimoniare che solo ricordando e insegnando a
fare memoria potremo aprirci alla conversione, al perdono, alla
speranza. I mostri del nazionalismo, del razzismo, del fanatismo
ideologico e religioso possono ancora affascinare nuove
generazioni, se noi le priveremo della memoria.
Ad Auschwitz siamo
chiamati anche noi, all'aurora del terzo millennio della
redenzione, quasi come a una sosta dolorosa sulla via verso il
Sinai e verso Gerusalemme. La strada dell'incontro fraterno con
Israele passa ormai necessariamente per Auschwitz. E da qui
passano pure tante altre strade di incontro tra uomini e donne
della fine di questo secolo: qui si fa silenzio, si riflette e si
prega, da qui scaturisce l'impegno a costruire insieme un mondo di
pace.
Una grave responsabilità educativa
Affinché la profezia della pace si attui, occorrono cuori
educati al rispetto, all'incontro, al dialogo.
Basti pensare a quello che fu e significò la pubblicazione del Manifesto
della razza, il 5 settembre 1938, in Italia. Mancava allora
una cultura capace di intendere il grido di Pio XI: "siamo
spiritualmente semiti", "l'antisemitismo è
inammissibile".
In positivo, a noi spetta di elaborare una teologia, un'esegesi,
una storia e una giurisprudenza che, dopo la tragedia della Shoah,
non dimentichino la costante dimensione etica della situazione
umana e la particolare chiamata del popolo ebraico da parte di
Dio.
C'è infatti, purtroppo, del vero in ciò che ha scritto Elie
Wiesel nel 1977, dopo decenni di testimonianza su quel mistero di
morte che è Auschwitz: "La testimonianza non è stata
ascoltata. Il mondo è sempre lo stesso".(2)
E la ragione la suggeriva un altro pensatore ebraico, S. Shaphiro:
"La testimonianza viene ascoltata all'interno di un contesto
inospitale, di una teologia non spezzata e di un'ermeneutica
tradizionale".(3)
Su questo Giuseppe Dossetti, nel libro sopra citato, fa un
interessante commento.(4)
Costruire
lo "shalom"
I profeti d'Israele ancora ci invitano a guardare a Gerusalemme
con speranza, per divenire costruttori di pace: "Giubila,
figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re [...] l'arco di
guerra sarà spezzato, annuncerà la pace ai popoli" (Zc
9,9-10).
Ecco il programma che il Concilio Vaticano II indicava nel decreto
Nostra Aetate, dopo
aver ricordato il vincolo sacro che lega Chiesa e Israele:
"Non possiamo invocare Dio padre di tutti, se ci rifiutiamo
di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono
creati a immagine di Dio [...] Viene dunque tolto il fondamento a
ogni teoria o prassi che introduce tra uomo e uomo, tra popolo e
popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i
diritti che ne promanano".(5)
Ebrei, cristiani, uomini e donne di buona volontà, la tragedia
della Shoah ci sospinge a cooperare per costruire la città
dell'uomo nella pace, la città di Dio nella pace, lo shalom
Termino con le parole di Primo Levi, incise all'ingresso del
Memoriale degli italiani sepolti ad Auschwitz:
"Visitatore,
osserva le vestigia di questo campo e medita. Da qualunque parte
tu venga, tu non sei un estraneo. Fa' che il tuo viaggio non sia
stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i
tuoi figli le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento. Fa' che
il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non
dia nuovo seme né domani né mai".
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1. Le querce di Montesole, vita e morte delle comunità
martiri nell'Appennino bolognese, il Mulino, Bologna 1986, p.
XXVI.
2. Elie Wiesel, Art and Culture
after the Holocaust, in Auschwitz: Beginning or a New Era?,
KTAV Publishing Co., New York 1977, p. 405.
3. Cfr. in Concilium (1984)5,
19.
4. Le querce di Montesole, cit.,
pp. XXVI-XXVII.
5. Concilio Vaticano II, Nostra
Aetate, 5: Enchiridion Vaticanum 11/869.870.
[Saluto al Convegno
di Studi Educare dopo Auschwitz, 24 novembre 1994, in Guardando
al futuro, EDB, Bologna 1995]