Frédéric Manns

Il dialogo ebraico-cristiano
verso il terzo millennio

Per capire meglio il lungo cammino della riconciliazione tra la Chiesa e Israele bisogna guardare brevemente al passato. La storia è maestra di vita, dicevano gli antichi. Riconoscere Il passato comune di tensioni e di lotte ci consente d I vedere con più serenità l'importanza e il futuro del dialogo ebraico. cristiano.

Senza risalire al periodo patristico con i suoi trattati Adversus Judaeos, né ai testi del Talmud su Gesù, ci basterà ricordare alcuni dati salienti del ventesimo secolo che per gli Ebrei significò morte e risurrezione: morte nei campi di sterminio, risurrezione dello Stato. Il silenzio inerte della morte divenne silenzio energetico della speranza e della vita. Auschwitz, *l'esilio della Parola*, fu seguito da un tempo di riflessione delle Chiese cristiane occidentali sul destino di Israele. Il concilio Vaticano Il segna una tappa importante di questa riflessione dovuta in gran parte al Papa Giovanni XXIII e al Cardinale Bea. Da questa presa di coscienza è nato un interesse sempre maggiore da parte dei cristiani sul loro rapporto col popolo ebraico caratterizzato da una riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo.

Riflessioni metodologiche

Una precisazione di vocabolario si impone all'inizio di questa riflessione. Si può parlare degli Ebrei come popolo, come fede e tradizione religiosa e si può parlare di Israele come di una realtà politica. Questi aspetti fanno parte dell'identità ebraica e non è sempre facile separare l'aspetto religioso dall’aspetto politico. La realtà complessa di Israele comprende questi due poli: la religione e la nazione. Per gli occidentali abituati a separare Chiesa e Stato non è sempre facile capire che la coscienza ebraica vacilli tra questi due poli. La natura dei rapporti tra Ebrei e Cristiani dipende dall'accento che viene posto sull'una o sull'altra d I queste dimensioni. Per di più l'ebraismo come il cristianesimo sono religioni pluralistiche costituite da diverse tendenze. E non sempre quello che vale per un gruppo lo è per un altro. Ogni generalizzazione diventa pericolosa. Quello che vale per l'Ebreo liberale o riformato non vale sempre per l'Ebreo ortodosso, e quello che vale sempre per il Cristiano occidentale non vale per il Cristiano orientale.

Quando si parla della Chiesa bisogna distinguere le Chiese occidentali molto aperte al dialogo e le Chiese orientali che hanno un approccio un po' diverso dalla realtà di Israele. L 'ecumenismo ha tonalità diverse in Occidente e in Oriente. Però la Chiesa respira con due polmoni, l'Occidente e l'Oriente.

La storia maestra di vita

Bisogna cominciare questa riflessione con alcuni ricordi storici. L 'inizio del ventesimo secolo segna in Occidente il risveglio dei nazionalismi legati all'instabilità politica, la crisi economica e l'insicurezza della situazione Internazionale.

Con i nazionalismi si sviluppa anche la xenofobia. Il giornale L 'action Française di Charles Maurras ne è un buon esempio in Francia. Le autorità romane capirono rapidamente l'ispirazione pagana di tale dottrina. Il papa Pio XI la condannò nel 1926. Due anni più tardi lo stesso Pontefice disapprovò I'antisemitismo. Nel 1937 l'enciclica Mit brennender Sorge rifiuta chiaramente il razzismo nazista. L 'antisemitismo è intollerabile per i cristiani che sono semiti spirituali, ripeteva Pio XI. Le parole del Pontefice trovarono echi nel mondo. L 'arcivescovo di Tolosa in Francia, Monsignore Saliège, e il Cardinale Verdier di Parigi diffondevano il messaggio del Papa nella loro terra. Non solo la gerarchia reagì ma anche il clero fu sensibile alle sofferenze e alle ingiustizie subite dagli Ebrei. Il Padre Chaillet organizzò con l' Abbè Glasberg e il pastore protestante Boegner un gruppo di amicizia che aiutò molto gli Ebrei sotto il regime di Vichy in Francia. In Italia Padre Ruffino Niccacci riuscì a salvare più di trecento Ebrei nel convento di Assisi. In tutte le nazioni europee una elite di cristiani reagì.

In Inghilterra il Reverendo William Simpson creò nel 1941 l'lnternational Council or Christian and Jews a Oxford. La Chiesa di Olanda nel 1942 ebbe il coraggio di pronunciarsi chiaramente In difesa degli Ebrei. La Chiesa tedesca, nonostante fosse legata dal concordato, ebbe I suoi testimoni come Il vescovo von Gallen e i suoi martiri come il decano Lichtenberg. Il nazismo per molti si presentava come l'unico bastione contro il comunismo sovietico. In questo clima di confusione bisogna valutare Il silenzio molto criticato del Papa Pio XII.

La grande svolta del concilio Vaticano Il fu preparata dallo storico ebreo Jules Isaac. Insieme con Edmond Fleg egli fondò l' Amitié judèo-chretiènne di Francia nel 1948 riprendendo i dieci punti della dichiarazione di Seelisberg (Svizzera) dove Ebrei, Cattolici e Protestanti avevano esaminato la responsabilità dell'insegnamento cristiano nella tragedia della Shoah.

Fu lo stesso Jules Isaac a visitare Papa Giovanni XXIII nel 1960 quando seppe che la Chiesa aveva accettato l'idea di celebrare un concilio. Volle che la Chiesa si pronunciasse sul rapporti con gli Ebrei. In questo Incontro vanno ricercate le radici lontane della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Nunzio apostolico a Istanbul, il futuro Papa Giovanni XXIII, era stato testimone delle sofferenze degli Ebrei. Fu questo Papa a sopprimere I'espressione *Perfidi Giudei* nella liturgia del Venerdì Santo e a chiedere al cardinale Bea di preparare un testo sugli Ebrei da sottoporre al concilio. I vescovi dei paesi arabi non vedevano l'opportunità di tale dichiarazione e altri vescovi tradizionalisti non volevano cambiare la dottrina della Chiesa. Nonostante tutte le difficoltà la dichiarazione Nostra Aetate fu approvata dai Padri conciliari nel 1965. "La Chiesa riconosce che le primizie della fede e della sua elezione si trovano, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti". Lo sguardo che la Chiesa pone su Israele è identico a quello che pone su se stessa. Partendo da una riflessione sul proprio mistero la Chiesa prende coscienza del suo legame essenziale con il popolo della Bibbia.

La visita del Papa Paolo VI in Terra Santa nel 1964, quando la Chiesa non aveva ancora riconosciuto lo stato di Israele, fu un gesto profetico pieno di speranza che portava in se un cambiamento di atteggiamento di fronte alla realtà politica d'lsraele. Alla dichiarazione Nostra Aetate seguirono molti documenti emanati dal vescovi di diversi paesi. Nel 1970 fu creato un comitato internazionale di collegamento che istituì un dialogo ufficiale tra la Chiesa cattolica e le organizzazioni giudaiche internazionali con un incontro annuale. Nel 1973 i vescovi francesi pubblicarono un documento che ricorda le radici ebraiche della fede cristiana e invita i cristiani a conoscere la tradizione giudaica.

Nello stesso tempo la commissione pontificia preparava gli Orientamenti e i suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione Nostra Aetate. Essa richiedeva ai cristiani di conoscere meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa del giudaismo.

Nel 1985, in occasione del 20° anniversario della Nostra Aetate, la stessa commissione pubblicava le Note per una corretta presentazione degli Ebrei e del Giudaismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Alcuni paragrafi su Gesù l'ebreo e sul Farisei sono a tutt'oggi famosi. Il documento però rimandava il problema del rapporto Ebrei-terra al diritto Internazionale e non parlava della Shoah.

Una commissione pontificia per i rapporti con il giudaismo, dipendente dal Segretariato per l'unità dei Cristiani, fu creata nel 1974 dal Papa Paolo VI insieme ad una commissione per i rapporti con l'lslam. La Chiesa sa che, anche se il suo rapporto con Israele è unico, deve entrare nel contesto del dialogo con tutti i figli di Abramo.

Tra le tappe importanti del dialogo ebraico-cristiano bisogna ricordare la visita di Giovanni Paolo Il alla Sinagoga di Roma nel 1986. Il rapporto con i “fratelli maggiori” non sarà mai dimenticato nelle visite pastorali del Sommo Pontefice nei diversi paesi del mondo dove il Papa vuole salutare i rappresentanti della religione ebraica.

Il dialogo con l'ebraismo non è sempre stato facile. La difficile situazione del Carmelo di Auschwitz e il problema delle croci piantate non lontano dal campo di sterminio ne sono testimoni. La beatificazione recente di E. Stein [v., nel sito, lettera a Pio XI ndR], martire ebrea di confessione cristiana, ha provocato molte proteste in Israele. Perché la Chiesa si vuole appropriare della shoah e presentarsi come l'adempimento di Israele? Tali furono le domande che ripetutamente furono fatte. Altre contestazioni vengono da intellettuali che presentano Paolo come fondatore del Cristianesimo e vedono nei Vangeli documenti antisemiti.

Nel 1985 il comitato internazionale di collegamento aveva espresso Il desiderio che la Santa Sede pubblicasse un documento sulI'antisemitismo e sulla Shoah. Il Papa Giovanni Paolo Il nell'udienza del comitato .nel 1990, in occasione del 25° di Nostra Aetate, ribadiva che l'antisemitismo è un peccato contro Dio e contro l'umanità. Un'altra " tappa importante nel dialogo tra Ebrei e Cristiani fu il dicembre 1993. La Santa Sede decise di stabilire rapporti diplomatici con lo Stato d'lsraele con lo scambio reciproco di ambasciatori. (1) L 'anno successivo la Santa Sede decideva la creazione di un centro cristiano per lo studio dell'ebraismo a Gerusalemme. La ricorrenza del 50° della liberazione di Auschwitz fu l'occasione per i vescovi tedeschi e polacchi [v. Lettera dei Vescovi polacchi] di scrivere lettere pastorali sul tema. Da notare infine la richiesta di perdono da parte dei vescovi francesi nel 1997 a Drancy. Alcune settimane dopo il Papa radunava a Roma un simposio per studiare le radici dell'antigiudaismo [v. anche intervento Card Etchegaray ndR] negli ambienti cristiani. Parlando a detta commissione diceva. "All'origine di tale popolo c'è l'elezione divina. Questo popolo è convocato e condotto da Dio. Il razzismo è la negazione dell'identità più profonda dell'essere umano creato ad Immagine e a somiglianza di Dio". Nel marzo del 1987 la commissione del Vaticano pubblicava il testo: Ci ricordiamo, che non condannava Pio XII ma era un invito alla memoria e alla riflessione. Ciò deluse parecchi.

Per ciò che riguarda le Chiese orientali che generalmente vedono nel problema dello Stato ebraico le conseguenze della seconda guerra mondiale, quindi un problema europeo, bisogna ricordare le dichiarazioni comuni dei Patriarchi di Gerusalemme sulla Città Santa nel 1994. I cristiani orientali che vivono quotidianamente il dialogo con gli Ebrei, conoscono meglio dei diplomatici le difficoltà concrete dei rapporti reciproci. I Patriarchi scrivevano. L 'esperienza storica Insegna che Gerusalemme per essere città di pace, quindi non più bramata dall'esterno e pertanto contesa, non può affatto appartenere a un solo popolo o a una religione soltanto, deve essere aperta a tutti, condivisa fra tutti. Coloro che governano la città devono farne la capitale dell'umanità". Le dimensioni politiche di tale dichiarazione sono ovvie. Durante secoli in Oriente Ebrei, musulmani e Cristiani hanno vissuto insieme in pace.

 

Ricerca esegetica su Gesù da parte degli Ebrei

Al movimento di avvicinamento dei cristiani alle radici giudaiche corrisponde un movimento parallelo nel giudaismo: la riscoperta di Gesù come loro fratello da parte di alcuni esegeti ebrei. Gli Ebrei riformati decisero di aprire i Vangeli per rileggere la vita di Gesù l'ebreo. Cominciando da Montefiore e da Friedlander questa ricerca prosegue fino ad oggi con Vermes, Ben Chorin e Flusser. Tale rilettura dei Vangeli ha avuto come effetto indiretto la nascita di gruppi di Ebrei messianici che accettano Gesù come Messia di Israele senza voler essere ricuperati in nessuna chiesa.

La riflessione sul dato evangelico da parte degli Ebrei costringerà anche gli esegeti cristiani ad una conoscenza più approfondita dell'ebraismo e ad un dialogo scientifico con gli esegeti ebrei. Lo studio delle tradizioni orali contenute nei Midrashim e nella Mishna diventeranno tanto importanti quanto i testi di Qumran o i testi apocalittici. La liturgia giudaica non potrà più essere ignorata, anche se va studiata con criteri scientifici. Bisognerà abbandonare alcune categorie ellenistiche per aprirsi al mondo ebraico quale autentico ambiente vitale del Nuovo Testamento. Questo significa in termini molto poveri uno studio approfondito della lingua ebraica. Imparare la lingua dell'altro fa parte integrante del dialogo. La lingua ebraica diventata lingua viva non si può più studiare solamente come una lingua morta nei centri biblici di Roma. Perché non creare un centro di studi biblici serio a Gerusalemme? Il dialogo ebraico-cristiano contribuirà alla rinascita degli studi biblici. La Parola di Dio possiede una molteplicità di sensi, risultando inesauribile da parte dell'uomo per la tradizione ebraica, mentre l'esegesi scientifica cristiana la riduce ad un solo senso.

Anche nel campo della patristica i Padri della Chiesa dovranno essere studiati in parallelo con I rabbini della stessa zona geografica e dello stesso periodo. I liturgisti dovranno rivedere alcune posizioni. Perché aver soppresso la festa della circoncisione di Gesù quando si parla tanto di Gesù ebreo? Perché aver eliminato tutte le tracce della festa dl Sukkot nella liturgia cristiana mentre la liturgia delle Quattro Tempora le aveva conservate? È arrivato Il tempo di studiare seriamente la liturgia di Gerusalemme madre di tutte le altre liturgie.

Verso il terzo millennio

Il cammino aperto dal Vaticano Il non può essere bloccato. Prima di tutto perché è opera dello Spirito che guida la Chiesa verso la verità intera. Secondo perché raccoglie le esigenze del mondo moderno che aspira all'unità e non accetta più i discorsi falsi. Le speranze di un nuovo atteggiamento non mancano. L 'esegesi moderna cristiana va mostrando sempre di più l'importanza del raduno escatologico di Israele. Gesù si è presentato non per creare una nuova religione, bensì per radunare le tribù d' lsraele. I dodici dovevano giudicare le tribù d' lsraele. Gesù voleva riportare Israele all'osservanza dell'alleanza ed integrare al popolo della promessa anche i pagani. Il regno di Dio che predicava era offerto ai poveri. l miti dovevano ereditare la terra. Gli operatori di pace si sarebbero chiamati figli di Dio.

Il dialogo nel terzo millennio avrà tonalità differenti secondo le diverse aree geografiche. In Israele tale dialogo sarà sempre più difficile che nella diaspora. Questo per vari motivi tra i quali l'aggressività degli Ebrei ortodossi verso i cristiani da una parte e la povertà delle comunità cristiane dovuta all'esilio volontario delle intelligenze palestinesi. Per motivi politici le comunità cristiane orientali hanno dimenticato le loro radici bibliche per affermare soltanto la differenza con gli Ebrei. Soffrono di mancanza di dinamismo missionario e sembrano rassegnate al fatalismo musulmano. Nonostante tutto ci sono segni di speranza tra i quali bisogna menzionare l'incontro del Patriarca latino di Gerusalemme con i rabbini capi della città santa.

Tale dialogo si svolgerà anche a diversi livelli specialmente In Occidente.

A) A quello del quotidiano, Cristiani ed Ebrei possono e dovranno collaborare per risolvere i problemi importanti del mondo come la fame e l'Ingiustizia. La collaborazione nel campo sociale rimane aperta, visto che gli stessi valori sono ripresi dal cristianesimo. Tanti casi di collaborazione a livello umanitario esistono già. Questa forma di collaborazione si può estendere ad altri settori. La ricerca archeologica in Terra Santa, per esempio, rimane un campo aperto dove Cristiani ed Ebrei possono incontrarsi e dialogare su dati certi.

B) AI livello della riflessione teologica la Chiesa dovrà integrare il suo passato, riconoscere le sue mancanze e affrontare serenamente un discorso serio. Questo non significa che la Cattolicità dovrà abbandonare i Padri della Chiesa, la sua tradizione, per riscoprire unicamente la tradizione ebraica. Alcuni Padri della Chiesa hanno dialogato nel passato con gli Ebrei. Basti pensare a Giustino, a Origene e a Girolamo. Origene è testimone in particolare di un dialogo cominciato con una lettura critica del testo sacro. l Padri della Chiesa, quando riflettevano sul mistero di Israele, amavano riprendere l'immagine scritturistica degli esploratori inviati da Mosè nel paese di Canaan che, giunti alla valle di Escol, tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva. Per le sue immense dimensioni fu portato con una stanga da due uomini che lo poggiarono sulle spalle (Nm 1.3,.34). Nel legno da cui pende il grappolo i Padri hanno riconosciuto la Croce sulla quale pende Cristo, grappolo della vigna nuova. Nei due portatori dell'asta hanno visto la Chiesa, nel personaggio che sta dietro, e Israele in quello che lo precede. Entrambi camminano verso la stessa meta, uniti dalla stessa speranza, ma il primo, pur aprendo la strada non vede né il grappolo né la Chiesa, mentre la Chiesa, il secondo, vede il fratello maggiore alla luce del Cristo crocifisso. La missione della Chiesa e di Israele è di camminare insieme, partecipando alla stessa fatica di portare al mondo il servo sofferente che è il Salvatore: “Con le sue piaghe noi siamo guariti”. Camminare significa non fermarsi, andare avanti e progredire. Un nome del cristianesimo primitivo era MIa via". Anche il giudaismo Insiste sulla halakah, cioè sul modo di camminare. La fede di Israele e della Chiesa deve accendere nei pagani il desiderio di far parte anche loro dell'eredità per poter mangiare il frutto della vite. Camminare nella diversità e nella consapevolezza di una dualità non è facile. Deve essere vissuto nel rispetto reciproco, nella. testimonianza comune del Dio unico e nell'attesa del compimento delle promesse. Il mistero d'lsraele parla cosi alla Chiesa in tutta la sua ricchezza e la testimonianza dei credenti in Cristo offre al giudaismo uno stimolo positivo per camminare in maniera sempre più fedele sulle vie del Dio vivo. L 'idea di una riconciliazione in cammino, piuttosto che compiuta, supera ogni pretesa dl sostituzione secondo cui la Chiesa avrebbe preso il posto di Israele nel piano della salvezza. Israele, nella misura in cui mantiene la fede del Padri e porta il nome di Dio al mondo, resta testimone dell'elezione e delle promesse di Dio. Dio non si pente delle sue promesse. L'alleanza non viene revocata anche se non è ancora pienamente compiuta. La Chiesa, che non è il Regno, rimane popolo di Dio costituito nell'alleanza conclusa nel sangue di Cristo, alleanza aperta al pagani come agli Ebrei. Unico è il disegno salvifico, ma diverse le alleanze, dall'alleanza stabilita con Noè, a quella di Abramo fino a quella sigillata per sempre nella redenzione di Cristo. Unica è la struttura fondamentale del dialogo tra Dio e Il suo popolo. Quest'ultimo viene chiamato a dare una risposta di amore al Signore dell'alleanza. Paolo lo ricorda nella lettera agli Efesini 2,14. “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo”. Cristo ha creato in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace per i lontani e i vicini. I lontani sono i pagani e i vicini Israele. La Chiesa deve riconoscere che Israele è la radice che la porta e che la fonda. Senza la fede nel Dio unico insegnata da Gesù ai Cristiani, la Chiesa non avrebbe niente di originale da proporre al mondo. Riconoscere l'importanza delle radici significa aprirsi alla via che sale attraverso le radici fino a dare i frutti nell'albero. Il cammino di riconciliazione per diventare dialogo autentico non può comportare da parte dei cristiani una perdita d'identità. Essi devono presentare agli Ebrei Il loro fratello Gesù che non hanno riconosciuto nella sua prima venuta, ma che riconosceranno quando verrà nella gloria. I Padri, per spiegare Il rifiuto di Israele, si riferivano sempre all'immagine di Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai fratelli. Giuseppe non fu riconosciuto dai suoi fratelli quando scesero in Egitto per la prima volta. Lo riconobbero la seconda volta.

C) Un ultimo livello di tale dialogo potrà essere il livello della spiritualità. La preghiera comune tra i membri di varie religioni inaugurata dal Papa Giovanni Paolo II ad Assisi ha aperto la via ad una spiritualità del dialogo che si può tradurre concretamente. All'aeroporto di Roissy un "espace religieux" permette agli Ebrei, ai musulmani e ai cristiani di pregare in uno spazio geografico identico. La cappella cristiana, la sinagoga e la moschea mantengono le loro caratteristiche, ma l'essere l'una accanto all'altra ricorda a colui che prega che altri fratelli pregano in modo differente. La dimensione spirituale del dialogo ebraico-cristiano è molto più ricca. Una riflessione comune aiuta a capire come l'uomo diviene artefice del proprio destino. Il silenzio divino è condizione di possibilità dell'esistenza umana. È dal nulla, dalla notte, ossia dal silenzio di Dio, dal suo lasciare spazio alla vita creata che può emergere la libertà dell'uomo. In questo spazio vuoto l'uomo è appellato da Dio. Promessa, vocazione e speranza sono costitutive della dimensione del silenzio dell'uomo. Tutt'oggi Giobbe continua le sue domande sull'enigma del tempo e della sofferenza. Nonostante il silenzio di Dio e l'immenso ritardo dell'uomo la speranza contro ogni speranza è permessa. Nella ricerca e nello sforzo continuo dell'uomo stanno le possibilità di riscattare il proprio senso esistenziale, il proprio esilio. Heschel affermava: "La suprema questione non è l'essere o il non essere, ma il mistero dell'essere, dunque lo sorpresa, lo stupore dell'uomo". Tale stupore corrisponde alla capacità di ascolto e di relazione. L’esperienza sensibile non è soltanto principio di un processo razionale, diventa una strada che apre verso la trascendenza. Il dialogo ebrei-cristiani, essendo un'esperienza di ascolto reciproco, può aprire anche a questa dimensione spirituale.

Dialogo o negoziato?

Il dialogo tra Ebrei e Cristiani, che spesso ha una dimensione politica, non può ridursi né al negoziato né al semplice compromesso. Il negoziato si situa in un rapporto di forze e di interessi divergenti. Non esclude la minaccia e la manipolazione dell'interlocutore. Il dialogo esige un rapporto autentico tra persone adulte che si rispettano come tali. Esige che ciascuno abbia la sua identità e che l'altro sia trattato al pari di sé. Non si tratta di vedere chi è il vincitore o il perdente, ma di camminare insieme. Cosi per il problema del legame tra Israele e la sua terra bisogna avere il coraggio di fare uno studio critico del giudaismo pluralista del primo secolo quando gli Esseni identificavano la terra con la loro comunità, Filone con la sapienza e i Farisei con la vita eterna. Cosi per il problema di Gerusalemme che ha una dimensione politica evidente. Basti ricordare l'espressione del trito Isaia: “Mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7).

In terra santa le iniziative intese a favorire il dialogo si stanno moltiplicando, anche se la mentalità dello status quo ha fossilizzato alcune generazioni. La Custodia di Terra Santa pratica una forma di dialogo al livello quotidiano nelle scuole da secoli. Permettere ai giovani musulmani e cristiani di studiare insieme significa aprire le loro menti ad un rispetto reciproco. Quello che Impara un bambino rimane generalmente per la vita. Il giorno dl riposo di ciascuno viene rispettato il venerdì e la domenica non c'è scuola. Da alcuni anni la Custodia di Terra Santa, spinta dall'esempio delle riunioni di Assisi, ha sentito il bisogno di organizzare simposi a livello accademico su temi comuni ai Cristiani, Ebrei e Musulmani per permettere un incontro e una conoscenza reciproca. Tutti i figli di Abramo devono incontrarsi per evitare il risorgere del fondamentalismo che è basato sulla paura dell'altro. La storia della Spagna dimostra che tale dialogo tra Musulmani, Ebrei e Cristiani è stato possibile.

Dialogo e verità

L 'evoluzione rapida del mondo rende sempre più problematica e difficile da accettare la pretesa delle religioni a possedere tutta la verità. La verità si deve fare camminando nella carità. Chi fa la verità viene alla luce. La dimensione politica deve però essere staccata dalla dimensione religiosa se si vuole arrivare a una soluzione dei problemi. Se le religioni non vogliono essere avulse dalla realtà devono aprirsi al dialogo. Martin Buber, il filosofo ebreo, ebbe il coraggio di scrivere: “ Le religioni storiche hanno la tendenza di diventare fine a se stesse, di sostituirsi a Dio. Niente è più capace di oscurare la faccia di Dio che una religione... Ognuna deve rinunciare alla pretesa di essere l'unica dimora di Dio sulla terra ed accettare di essere la dimora di uomini animati dalla stessa immagine di Dio, una casa aperta verso l'esterno”. André Neher, un altro filosofo ebreo, era solito affermare: “Ogni fede interroga la certezza dell'altro e l'aiuta ad essere modesto, ad iscriversi nelle linee dello spazio dell'umanità”. Tale è il programma del dialogo tra Ebrei e Cristiani per il nuovo millennio.

Una dimensione sapienziale presente nell'ebraismo e nel cristianesimo potrà aiutare molto a sciogliere molti problemi del dialogo. Aprendosi a tale dimensione Ebrei e Cristiani potranno camminare all'unisono e nella diversità che rispetta l'altro. Una preghiera silenziosa deve aprire qualsiasi tipo di dialogo. Siccome le memorie di molti Ebrei sono ancora ferite dal ricordo della Shoah, è importante cominciare il dialogo ascoltando musica, visto che la musica possiede una virtù terapeutica. La riuscita del dialogo tra i figli di Abramo sarà un criterio per verificare la possibilità del dialogo tra le grandi religioni mondiali. Senza un linguaggio comune a questo livello è impensabile un dialogo su una scala più estesa. Il problema fondamentale del dialogo rimane la formazione di giovani e il modo di presentare le diverse religioni nei manuali scolastici. I giovani sono il futuro della società e continueranno domani il dialogo o lo bloccheranno secondo quello che gli adulti avranno seminato nelle loro menti.

Conclusione

Tutta la Bibbia non è altro che il dialogo di Dio con l'uomo. Dio parla perché vuole entrare in alleanza e in comunione con la sua creatura. Se Dio è il modello del dialogo, l'Ebreo e Il Cristiano, che leggono la Parola di Dio per trovarvi luce e speranza, devono aprirsi anche loro al dialogo. Non si può dialogare solo con Dio che non si vede se si rifiuta di dialogare con il fratello che si vede.

il futuro del dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo a livello "tecnico" dovrà concludersi con un concilio nel quale la Chiesa si metta di fronte al suo passato, Interroghi seriamente le Scritture e definisca chiaramente i suoi rapporti con Israele. Tale concilio non si chiamerà Vaticano III. ma Gerusalemme II. Ma come ogni concilio va preparato non solo dai teologi. Per evitare divisioni nella mentalità popolare bisogna preparare la base. I responsabili delle comunità ebraiche e delle comunità cristiane devono approntare un clima di dialogo. di rispetto che permetterà domani tale incontro senza occasionare divisioni supplementari. Un dialogo non può essere a senso unico, anche se uno dimostra più convinzione che l'altro. Una visita del Papa in Israele conclusa ai piedi dei Sinai per ricordare al mondo i valori comuni tra Ebrei e Cristiani potrebbe essere una preparazione ottima a tale concilio.
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(1) Fu Giovanni Paolo II a ordinare al cardinale Angelo Sodano di concludere il riconoscimento reciproco tra Vaticano e Israele, siglato il 30 dicembre 1993. Paradossalmente, da quel giorno in poi, sarà semmai Israele a sottovalutare l’importanza di quel rapporto. Soltanto la crisi della Basilica della Natività, nel maggio 2002, farà capire a Gerusalemme che è necessario essere in due, per parlarsi: la rappresentanza ebraica presso la Santa Sede viene allora potenziata e, discretamente, il Vaticano risponde al rinnovato interesse, spostando da posizioni cruciali i vescovi palestinesi più oltranzisti.

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