Per capire meglio
il lungo cammino della riconciliazione tra la Chiesa e
Israele bisogna guardare brevemente al passato. La
storia è maestra di vita, dicevano gli antichi.
Riconoscere Il passato comune di tensioni e di lotte ci
consente d I vedere con più serenità l'importanza e il
futuro del dialogo ebraico. cristiano.
Senza risalire al
periodo patristico con i suoi trattati Adversus
Judaeos, né ai testi del Talmud su Gesù, ci
basterà ricordare alcuni dati salienti del ventesimo
secolo che per gli Ebrei significò morte e
risurrezione: morte nei campi di sterminio, risurrezione
dello Stato. Il silenzio inerte della morte divenne
silenzio energetico della speranza e della vita.
Auschwitz, *l'esilio della Parola*, fu seguito da un
tempo di riflessione delle Chiese cristiane occidentali
sul destino di Israele. Il concilio Vaticano Il segna
una tappa importante di questa riflessione dovuta in
gran parte al Papa Giovanni XXIII e al Cardinale Bea. Da
questa presa di coscienza è nato un interesse sempre
maggiore da parte dei cristiani sul loro rapporto col
popolo ebraico caratterizzato da una riscoperta delle
radici ebraiche del cristianesimo.
Riflessioni metodologiche
Una precisazione
di vocabolario si impone all'inizio di questa
riflessione. Si può parlare degli Ebrei come popolo,
come fede e tradizione religiosa e si può parlare di
Israele come di una realtà politica. Questi aspetti
fanno parte dell'identità ebraica e non è sempre
facile separare l'aspetto religioso dall’aspetto
politico. La realtà complessa di Israele comprende
questi due poli: la religione e la nazione. Per gli
occidentali abituati a separare Chiesa e Stato non è
sempre facile capire che la coscienza ebraica vacilli
tra questi due poli. La natura dei rapporti tra Ebrei e
Cristiani dipende dall'accento che viene posto sull'una
o sull'altra d I queste dimensioni. Per di più
l'ebraismo come il cristianesimo sono religioni
pluralistiche costituite da diverse tendenze. E non
sempre quello che vale per un gruppo lo è per un altro.
Ogni generalizzazione diventa pericolosa. Quello che
vale per l'Ebreo liberale o riformato non vale sempre
per l'Ebreo ortodosso, e quello che vale sempre per il
Cristiano occidentale non vale per il Cristiano
orientale.
Quando si parla
della Chiesa bisogna distinguere le Chiese occidentali
molto aperte al dialogo e le Chiese orientali che hanno
un approccio un po' diverso dalla realtà di Israele. L
'ecumenismo ha tonalità diverse in Occidente e in
Oriente. Però la Chiesa respira con due polmoni,
l'Occidente e l'Oriente.
La storia maestra di vita
Bisogna cominciare
questa riflessione con alcuni ricordi storici. L 'inizio
del ventesimo secolo segna in Occidente il risveglio dei
nazionalismi legati all'instabilità politica, la crisi
economica e l'insicurezza della situazione
Internazionale.
Con i nazionalismi
si sviluppa anche la xenofobia. Il giornale L 'action
Française di Charles Maurras ne è un buon esempio
in Francia. Le autorità romane capirono rapidamente
l'ispirazione pagana di tale dottrina. Il papa Pio XI la
condannò nel 1926. Due anni più tardi lo stesso
Pontefice disapprovò I'antisemitismo. Nel 1937
l'enciclica Mit brennender Sorge rifiuta
chiaramente il razzismo nazista. L 'antisemitismo è
intollerabile per i cristiani che sono semiti
spirituali, ripeteva Pio XI. Le parole del Pontefice
trovarono echi nel mondo. L 'arcivescovo di Tolosa in
Francia, Monsignore Saliège, e il Cardinale Verdier di
Parigi diffondevano il messaggio del Papa nella loro
terra. Non solo la gerarchia reagì ma anche il clero fu
sensibile alle sofferenze e alle ingiustizie subite
dagli Ebrei. Il Padre Chaillet organizzò con l' Abbè
Glasberg e il pastore protestante Boegner un gruppo di
amicizia che aiutò molto gli Ebrei sotto il regime di
Vichy in Francia. In Italia Padre Ruffino Niccacci
riuscì a salvare più di trecento Ebrei nel convento di
Assisi. In tutte le nazioni europee una elite di
cristiani reagì.
In Inghilterra il
Reverendo William Simpson creò nel 1941 l'lnternational
Council or Christian and Jews a Oxford. La
Chiesa di Olanda nel 1942 ebbe il coraggio di
pronunciarsi chiaramente In difesa degli Ebrei. La
Chiesa tedesca, nonostante fosse legata dal concordato,
ebbe I suoi testimoni come Il vescovo von Gallen e i
suoi martiri come il decano Lichtenberg. Il nazismo per
molti si presentava come l'unico bastione contro il
comunismo sovietico. In questo clima di confusione
bisogna valutare Il silenzio molto criticato del Papa
Pio XII.
La grande svolta
del concilio Vaticano Il fu preparata dallo storico
ebreo Jules Isaac. Insieme con Edmond Fleg egli fondò
l' Amitié judèo-chretiènne di Francia nel 1948
riprendendo i dieci punti della dichiarazione di
Seelisberg (Svizzera) dove Ebrei, Cattolici e
Protestanti avevano esaminato la responsabilità
dell'insegnamento cristiano nella tragedia della Shoah.
Fu lo stesso Jules
Isaac a visitare Papa Giovanni XXIII nel 1960 quando
seppe che la Chiesa aveva accettato l'idea di celebrare
un concilio. Volle che la Chiesa si pronunciasse sul
rapporti con gli Ebrei. In questo Incontro vanno
ricercate le radici lontane della dichiarazione
conciliare Nostra
Aetate. Nunzio apostolico a
Istanbul, il futuro Papa Giovanni XXIII, era stato
testimone delle sofferenze degli Ebrei. Fu questo Papa a
sopprimere I'espressione *Perfidi Giudei* nella liturgia
del Venerdì Santo e a chiedere al cardinale Bea di
preparare un testo sugli Ebrei da sottoporre al
concilio. I vescovi dei paesi arabi non vedevano
l'opportunità di tale dichiarazione e altri vescovi
tradizionalisti non volevano cambiare la dottrina della
Chiesa. Nonostante tutte le difficoltà la dichiarazione
Nostra Aetate fu approvata dai Padri conciliari
nel 1965. "La Chiesa riconosce che le primizie
della fede e della sua elezione si trovano, secondo il
mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè
e nei Profeti". Lo sguardo che la Chiesa pone su
Israele è identico a quello che pone su se stessa.
Partendo da una riflessione sul proprio mistero la
Chiesa prende coscienza del suo legame essenziale con il
popolo della Bibbia.
La visita del Papa
Paolo VI in Terra Santa nel 1964, quando la Chiesa non
aveva ancora riconosciuto lo stato di Israele, fu un
gesto profetico pieno di speranza che portava in se un
cambiamento di atteggiamento di fronte alla realtà
politica d'lsraele. Alla dichiarazione Nostra Aetate seguirono
molti documenti emanati dal vescovi di diversi paesi.
Nel 1970 fu creato un comitato internazionale di
collegamento che istituì un dialogo ufficiale tra la
Chiesa cattolica e le organizzazioni giudaiche
internazionali con un incontro annuale. Nel 1973 i
vescovi francesi pubblicarono un documento che ricorda
le radici ebraiche della fede cristiana e invita i
cristiani a conoscere la tradizione giudaica.
Nello stesso tempo
la commissione pontificia preparava gli Orientamenti e i
suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione Nostra
Aetate. Essa richiedeva ai cristiani di conoscere
meglio le componenti fondamentali della tradizione
religiosa del giudaismo.
Nel 1985, in
occasione del 20° anniversario della Nostra Aetate, la
stessa commissione pubblicava le Note per una corretta
presentazione degli Ebrei e del Giudaismo nella
predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica.
Alcuni paragrafi su Gesù l'ebreo e sul Farisei sono a
tutt'oggi famosi. Il documento però rimandava il
problema del rapporto Ebrei-terra al diritto
Internazionale e non parlava della Shoah.
Una commissione
pontificia per i rapporti con il giudaismo, dipendente
dal Segretariato per l'unità dei Cristiani, fu creata
nel 1974 dal Papa Paolo VI insieme ad una commissione
per i rapporti con l'lslam. La Chiesa sa che, anche se
il suo rapporto con Israele è unico, deve entrare nel
contesto del dialogo con tutti i figli di Abramo.
Tra le tappe
importanti del dialogo ebraico-cristiano bisogna
ricordare la visita di Giovanni Paolo Il alla Sinagoga
di Roma nel 1986. Il rapporto con i “fratelli maggiori”
non sarà mai dimenticato nelle visite pastorali del
Sommo Pontefice nei diversi paesi del mondo dove il Papa
vuole salutare i rappresentanti della religione ebraica.
Il dialogo con
l'ebraismo non è sempre stato facile. La difficile
situazione del Carmelo di Auschwitz e il problema delle
croci piantate non lontano dal campo di sterminio ne
sono testimoni. La beatificazione recente di E. Stein
[v., nel sito, lettera
a Pio XI ndR],
martire ebrea di confessione cristiana, ha provocato
molte proteste in Israele. Perché la Chiesa si vuole
appropriare della shoah e presentarsi come
l'adempimento di Israele? Tali furono le domande che
ripetutamente furono fatte. Altre contestazioni vengono
da intellettuali che presentano Paolo come fondatore del
Cristianesimo e vedono nei Vangeli documenti antisemiti.
Nel 1985 il
comitato internazionale di collegamento aveva espresso
Il desiderio che la Santa Sede pubblicasse un documento
sulI'antisemitismo e sulla Shoah. Il Papa Giovanni Paolo
Il nell'udienza del comitato .nel 1990, in occasione del
25° di Nostra Aetate, ribadiva che
l'antisemitismo è un peccato contro Dio e contro
l'umanità. Un'altra " tappa importante nel dialogo
tra Ebrei e Cristiani fu il dicembre 1993. La Santa Sede
decise di stabilire rapporti diplomatici con lo Stato d'lsraele
con lo scambio reciproco di ambasciatori. (1)
L 'anno
successivo la Santa Sede decideva la creazione di un
centro cristiano per lo studio dell'ebraismo a
Gerusalemme. La ricorrenza del 50° della liberazione di
Auschwitz fu l'occasione per i vescovi tedeschi e
polacchi [v. Lettera
dei Vescovi polacchi] di scrivere lettere pastorali sul tema. Da
notare infine la richiesta di perdono da parte dei
vescovi francesi nel 1997 a Drancy. Alcune settimane
dopo il Papa radunava a Roma un simposio per studiare le
radici dell'antigiudaismo [v. anche intervento
Card Etchegaray ndR] negli ambienti cristiani.
Parlando a detta commissione diceva. "All'origine
di tale popolo c'è l'elezione divina. Questo popolo è
convocato e condotto da Dio. Il razzismo è la negazione
dell'identità più profonda dell'essere umano creato ad
Immagine e a somiglianza di Dio". Nel marzo del
1987 la commissione del Vaticano pubblicava il testo: Ci
ricordiamo, che non condannava Pio XII ma era un
invito alla memoria e alla riflessione. Ciò deluse
parecchi.
Per ciò che
riguarda le Chiese orientali che generalmente vedono nel
problema dello Stato ebraico le conseguenze della
seconda guerra mondiale, quindi un problema europeo,
bisogna ricordare le dichiarazioni comuni dei Patriarchi
di Gerusalemme sulla Città Santa nel 1994. I cristiani
orientali che vivono quotidianamente il dialogo con gli
Ebrei, conoscono meglio dei diplomatici le difficoltà
concrete dei rapporti reciproci. I Patriarchi
scrivevano. L 'esperienza storica Insegna che
Gerusalemme per essere città di pace, quindi non più
bramata dall'esterno e pertanto contesa, non può
affatto appartenere a un solo popolo o a una religione
soltanto, deve essere aperta a tutti, condivisa fra
tutti. Coloro che governano la città devono farne la
capitale dell'umanità". Le dimensioni
politiche di tale dichiarazione sono ovvie.
Durante secoli in Oriente Ebrei, musulmani e Cristiani
hanno vissuto insieme in pace.
Ricerca esegetica su Gesù da parte
degli Ebrei
Al movimento di
avvicinamento dei cristiani alle radici giudaiche
corrisponde un movimento parallelo nel giudaismo: la
riscoperta di Gesù come loro fratello da parte di
alcuni esegeti ebrei. Gli Ebrei riformati decisero di
aprire i Vangeli per rileggere la vita di Gesù l'ebreo.
Cominciando da Montefiore e da Friedlander questa
ricerca prosegue fino ad oggi con Vermes, Ben
Chorin e Flusser. Tale rilettura dei Vangeli ha avuto
come effetto indiretto la nascita di gruppi di Ebrei
messianici che accettano Gesù come Messia di Israele
senza voler essere ricuperati in nessuna chiesa.
La riflessione sul
dato evangelico da parte degli Ebrei costringerà anche
gli esegeti cristiani ad una conoscenza più
approfondita dell'ebraismo e ad un dialogo scientifico
con gli esegeti ebrei. Lo studio delle tradizioni orali
contenute nei Midrashim e nella Mishna diventeranno
tanto importanti quanto i testi di Qumran o i testi
apocalittici. La liturgia giudaica non potrà più
essere ignorata, anche se va studiata con criteri
scientifici. Bisognerà abbandonare alcune categorie
ellenistiche per aprirsi al mondo ebraico quale
autentico ambiente vitale del Nuovo Testamento. Questo
significa in termini molto poveri uno studio
approfondito della lingua ebraica. Imparare la lingua
dell'altro fa parte integrante del dialogo. La lingua
ebraica diventata lingua viva non si può più studiare
solamente come una lingua morta nei centri biblici di
Roma. Perché non creare un centro di studi biblici
serio a Gerusalemme? Il dialogo ebraico-cristiano
contribuirà alla rinascita degli studi biblici. La
Parola di Dio possiede una molteplicità di sensi,
risultando inesauribile da parte dell'uomo per la
tradizione ebraica, mentre l'esegesi scientifica
cristiana la riduce ad un solo senso.
Anche nel campo
della patristica i Padri della Chiesa dovranno essere
studiati in parallelo con I rabbini della stessa zona
geografica e dello stesso periodo. I liturgisti dovranno
rivedere alcune posizioni. Perché aver soppresso la
festa della circoncisione di Gesù quando si parla tanto
di Gesù ebreo? Perché aver eliminato tutte le tracce
della festa dl Sukkot nella liturgia cristiana
mentre la liturgia delle Quattro Tempora le aveva
conservate? È arrivato Il tempo di studiare seriamente
la liturgia di Gerusalemme madre di tutte le altre
liturgie.
Verso il terzo millennio
Il cammino aperto
dal Vaticano Il non può essere bloccato. Prima di tutto
perché è opera dello Spirito che guida la Chiesa verso
la verità intera. Secondo perché raccoglie le esigenze
del mondo moderno che aspira all'unità e non accetta
più i discorsi falsi. Le speranze di un nuovo
atteggiamento non mancano. L 'esegesi moderna cristiana
va mostrando sempre di più l'importanza del raduno
escatologico di Israele. Gesù si è presentato non per
creare una nuova religione, bensì per radunare le
tribù d' lsraele. I dodici dovevano giudicare le tribù
d' lsraele. Gesù voleva riportare Israele
all'osservanza dell'alleanza ed integrare al popolo
della promessa anche i pagani. Il regno di Dio
che predicava era offerto ai poveri. l miti dovevano
ereditare la terra. Gli operatori di pace si sarebbero
chiamati figli di Dio.
Il dialogo
nel terzo millennio avrà tonalità differenti secondo
le diverse aree geografiche. In Israele tale dialogo
sarà sempre più difficile che nella diaspora. Questo
per vari motivi tra i quali l'aggressività degli Ebrei
ortodossi verso i cristiani da una parte e la povertà
delle comunità cristiane dovuta all'esilio volontario
delle intelligenze palestinesi. Per motivi politici le
comunità cristiane orientali hanno dimenticato le loro
radici bibliche per affermare soltanto la differenza con
gli Ebrei. Soffrono di mancanza di dinamismo missionario
e sembrano rassegnate al fatalismo musulmano. Nonostante
tutto ci sono segni di speranza tra i quali bisogna
menzionare l'incontro del Patriarca latino di
Gerusalemme con i rabbini capi della città santa.
Tale dialogo si svolgerà anche a
diversi livelli specialmente In Occidente.
A) A quello del quotidiano,
Cristiani ed Ebrei possono e dovranno collaborare per
risolvere i problemi importanti del mondo come la fame e
l'Ingiustizia. La collaborazione nel campo sociale
rimane aperta, visto che gli stessi valori sono ripresi
dal cristianesimo. Tanti casi di collaborazione a
livello umanitario esistono già. Questa forma di
collaborazione si può estendere ad altri settori. La
ricerca archeologica in Terra Santa, per esempio, rimane
un campo aperto dove Cristiani ed Ebrei possono
incontrarsi e dialogare su dati certi.
B) AI livello
della riflessione teologica la Chiesa dovrà integrare
il suo passato, riconoscere le sue mancanze e affrontare
serenamente un discorso serio. Questo non significa che
la Cattolicità dovrà abbandonare i Padri della Chiesa,
la sua tradizione, per riscoprire unicamente la
tradizione ebraica. Alcuni Padri della Chiesa hanno
dialogato nel passato con gli Ebrei. Basti pensare a
Giustino, a Origene e a Girolamo. Origene è testimone
in particolare di un dialogo cominciato con una lettura
critica del testo sacro. l Padri della Chiesa, quando
riflettevano sul mistero di Israele, amavano riprendere
l'immagine scritturistica degli esploratori inviati da
Mosè nel paese di Canaan che, giunti alla valle di
Escol, tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva. Per
le sue immense dimensioni fu portato con una stanga da
due uomini che lo poggiarono sulle spalle (Nm
1.3,.34). Nel legno da cui pende il grappolo i Padri
hanno riconosciuto la Croce sulla quale pende Cristo,
grappolo della vigna nuova. Nei due portatori dell'asta
hanno visto la Chiesa, nel personaggio che sta dietro, e
Israele in quello che lo precede. Entrambi camminano
verso la stessa meta, uniti dalla stessa speranza, ma il
primo, pur aprendo la strada non vede né il grappolo
né la Chiesa, mentre la Chiesa, il secondo, vede il
fratello maggiore alla luce del Cristo crocifisso. La
missione della Chiesa e di Israele è di camminare
insieme, partecipando alla stessa fatica di portare al
mondo il servo sofferente che è il Salvatore: “Con le
sue piaghe noi siamo guariti”. Camminare significa non
fermarsi, andare avanti e progredire. Un nome del
cristianesimo primitivo era MIa via". Anche il
giudaismo Insiste sulla halakah, cioè sul modo
di camminare. La fede di Israele e della Chiesa deve
accendere nei pagani il desiderio di far parte anche
loro dell'eredità per poter mangiare il frutto della
vite. Camminare nella diversità e nella consapevolezza
di una dualità non è facile. Deve essere vissuto nel
rispetto reciproco, nella. testimonianza comune del Dio
unico e nell'attesa del compimento delle promesse. Il
mistero d'lsraele parla cosi alla Chiesa in tutta la sua
ricchezza e la testimonianza dei credenti in Cristo
offre al giudaismo uno stimolo positivo per camminare in
maniera sempre più fedele sulle vie del Dio vivo. L
'idea di una riconciliazione in cammino, piuttosto che
compiuta, supera ogni pretesa dl sostituzione secondo
cui la Chiesa avrebbe preso il posto di Israele nel
piano della salvezza. Israele, nella misura in cui
mantiene la fede del Padri e porta il nome di Dio al
mondo, resta testimone dell'elezione e delle promesse di
Dio. Dio non si pente delle sue promesse. L'alleanza non
viene revocata anche se non è ancora pienamente
compiuta. La Chiesa, che non è il Regno, rimane popolo
di Dio costituito nell'alleanza conclusa nel sangue di
Cristo, alleanza aperta al pagani come agli Ebrei. Unico
è il disegno salvifico, ma diverse le alleanze,
dall'alleanza stabilita con Noè, a quella di Abramo
fino a quella sigillata per sempre nella redenzione di
Cristo. Unica è la struttura fondamentale del dialogo
tra Dio e Il suo popolo. Quest'ultimo viene chiamato a
dare una risposta di amore al Signore dell'alleanza.
Paolo lo ricorda nella lettera agli Efesini 2,14. “Egli
è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo”.
Cristo ha creato in se stesso dei due un solo uomo
nuovo, facendo la pace per i lontani e i vicini. I
lontani sono i pagani e i vicini Israele. La Chiesa deve
riconoscere che Israele è la radice che la porta e che
la fonda. Senza la fede nel Dio unico insegnata da Gesù
ai Cristiani, la Chiesa non avrebbe niente di originale
da proporre al mondo. Riconoscere l'importanza delle
radici significa aprirsi alla via che sale attraverso le
radici fino a dare i frutti nell'albero. Il cammino di
riconciliazione per diventare dialogo autentico non può
comportare da parte dei cristiani una perdita
d'identità. Essi devono presentare agli Ebrei Il loro
fratello Gesù che non hanno riconosciuto nella sua
prima venuta, ma che riconosceranno quando verrà nella
gloria. I Padri, per spiegare Il rifiuto di Israele, si
riferivano sempre all'immagine di Giuseppe, figlio di
Giacobbe, venduto dai fratelli. Giuseppe non fu
riconosciuto dai suoi fratelli quando scesero in Egitto
per la prima volta. Lo riconobbero la seconda volta.
C) Un ultimo
livello di tale dialogo potrà essere il livello della
spiritualità. La preghiera comune tra i membri di varie
religioni inaugurata dal Papa Giovanni Paolo II ad
Assisi ha aperto la via ad una spiritualità del dialogo
che si può tradurre concretamente. All'aeroporto di
Roissy un "espace religieux" permette agli
Ebrei, ai musulmani e ai cristiani di pregare in uno
spazio geografico identico. La cappella cristiana, la
sinagoga e la moschea mantengono le loro
caratteristiche, ma l'essere l'una accanto all'altra
ricorda a colui che prega che altri fratelli pregano in
modo differente. La dimensione spirituale del dialogo
ebraico-cristiano è molto più ricca. Una riflessione
comune aiuta a capire come l'uomo diviene artefice del
proprio destino. Il silenzio divino è condizione di
possibilità dell'esistenza umana. È dal nulla, dalla
notte, ossia dal silenzio di Dio, dal suo lasciare
spazio alla vita creata che può emergere la libertà
dell'uomo. In questo spazio vuoto l'uomo è appellato da
Dio. Promessa, vocazione e speranza sono costitutive
della dimensione del silenzio dell'uomo. Tutt'oggi
Giobbe continua le sue domande sull'enigma del tempo e
della sofferenza. Nonostante il silenzio di Dio e
l'immenso ritardo dell'uomo la speranza contro ogni
speranza è permessa. Nella ricerca e nello sforzo
continuo dell'uomo stanno le possibilità di riscattare
il proprio senso esistenziale, il proprio esilio.
Heschel affermava: "La suprema questione non è
l'essere o il non essere, ma il mistero dell'essere,
dunque lo sorpresa, lo stupore dell'uomo". Tale
stupore corrisponde alla capacità di ascolto e di
relazione. L’esperienza sensibile non è soltanto
principio di un processo razionale, diventa una strada
che apre verso la trascendenza. Il dialogo
ebrei-cristiani, essendo un'esperienza di ascolto
reciproco, può aprire anche a questa dimensione
spirituale.
Dialogo o negoziato?
Il dialogo tra
Ebrei e Cristiani, che spesso ha una dimensione
politica, non può ridursi né al negoziato né al
semplice compromesso. Il negoziato si situa in un
rapporto di forze e di interessi divergenti. Non esclude
la minaccia e la manipolazione dell'interlocutore. Il dialogo esige un rapporto autentico tra persone adulte
che si rispettano come tali. Esige che ciascuno abbia la
sua identità e che l'altro sia trattato al pari di sé.
Non si tratta di vedere chi è il vincitore o il
perdente, ma di camminare insieme. Cosi per il problema
del legame tra Israele e la sua terra bisogna avere il
coraggio di fare uno studio critico del giudaismo
pluralista del primo secolo quando gli Esseni
identificavano la terra con la loro comunità, Filone
con la sapienza e i Farisei con la vita eterna. Cosi per
il problema di Gerusalemme che ha una dimensione
politica evidente. Basti ricordare l'espressione del
trito Isaia: “Mia casa sarà chiamata casa di
preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7).
In terra santa le
iniziative intese a favorire il dialogo si stanno
moltiplicando, anche se la mentalità dello status
quo ha fossilizzato