Avvenimento
rimarchevole della storia del XX secolo, il progetto di sterminio del
popolo ebraico da parte del nazismo pone alla coscienza domande
terribili che nessun essere umano può eludere. La chiesa cattolica,
lungi dal metterle sotto silenzio, sa che la coscienza se costruisce
attraverso il ricordo e che nessuna società, come pure nessuna
persona può vivere in pace con se stessa fondata su un passato
represso o menzognero.
La chiesa di Francia si
interroga. Essa è invitata dal Papa Giovanni Paolo II insieme alle
altre chiese all'avvicinarsi del III millennio: "È bene che la
chiesa attraversi questo passaggio con la chiara coscienza di ciò che
ha vissuto (....) Riconoscere le cadute di ieri è un atto di lealtà
e di coraggio che ci aiuta a rinforzare la nostra fede, che ci fa
riconoscere le tentazioni e le difficoltà dell'oggi e ci prepara ad
affrontarle. (1)
Quest'anno, dopo la
celebrazione del 50° anniversario (5 agosto 1947) della Dichiarazione
di Seelisberg, piccolo villaggio svizzero in cui, subito dopo la
guerra, ebrei e cristiani posero
le basi di un nuovo insegnamento in ordine all'ebraismo, i
sottoscritti vescovi di Francia, in ragione della presenza di campi di
internamento nelle loro diocesi, in occasione dell'anniversario del
primo statuto per gli ebrei sancito dal governo del Maresciallo
Pétain (3 ottobre 1940), desiderano compiere un nuovo passo. Lo fanno
per rispondere alle esigenze della propria coscienza illuminata dal
Cristo. È giunto il momento per la Chiesa di sottomettere ad una
lettura critica la propria storia, in particolare durante questo
periodo, senza esitare a riconoscere i peccati commessi dai suoi figli
ed a chiedere perdono a Dio e agli uomini.
Un legalismo
che ha portato all'indifferenza di fronte alla sorte degli ebrei
In Francia, la
persecuzione violenta non è cominciata all'improvviso. Ma molto
velocemente, fin dai primi mesi successivi alla disfatta del 1949, ha
infierito un antisemitismo di stato che privava gli ebrei francesi dei
loro diritti e gli ebrei stranieri della loro libertà, trascinando
nell'applicazione dei provvedimenti emanati l'insieme delle
istituzioni nazionali.
Nel febbraio del 1941,
nei campi di internamento francesi si trovavano circa 40.000
ebrei. In un momento in cui, in un paese parzialmente occupato,
abbattuto e prostrato, la gerarchia considerava suo primo dovere
proteggere i suoi fedeli, assicurare al meglio la vita delle sue
istituzioni, assegnando la priorità assoluta a questi obiettivi, di
per sé legittimi, ha malauguratamente sortito l'effetto di nascondere
l'esigenza biblica di rispetto nei confronti di ogni essere umano
creato a immagine di Dio.
A questo ripiegamento
su una visione ristretta della missione della chiesa, si è aggiunta,
da parte della gerarchia, una mancanza di comprensione dell'immenso
dramma mondiale che stava compiendosi, che minacciava lo stesso
avvenire del cristianesimo. Quindi, tra i fedeli e presso molti non
cattolici, era forte l'attesa di parole della chiesa che
richiamassero, in mezzo alla confusione degli spiriti, il messaggio di
Gesù Cristo.
Per la maggior parte,
le autorità spirituali, invischiate in un legalismo ed in una
docilità ben al di là della tradizionale obbedienza al potere
costituito, sono rimaste in disparte in un atteggiamento conformista,
prudente e astensionista, dettato da un lato dalla paura di
rappresaglie contro le opere e i movimenti di gioventù cattolica.
Esse non hanno preso coscienza del fatto che la chiesa, allora
chiamata a svolgere un ruolo di supplenza in un corpo sociale
disgregato, deteneva in effetti un potere ed una influenza
considerevoli e che, nel silenzio delle altre istituzioni, la sua
parola poteva, con il suo risuonare, far da barriera all'irreparabile.
Occorre ricordare: ai tempi dell'occupazione, si ignorava ancora la
effettiva dimensione del genocidio hitleriano. Se è vero che si
possono citare in abbondanza gesti di solidarietà, bisogna domandarsi
se gesti di carità e solidarietà bastino ad onorare le esigenze
della giustizia ed il rispetto dei diritti della persona umana.
Così, di fronte alla
legislazione antisemita sancita dal governo francese - a partire dallo
statuto per gli ebrei, dell'ottobre 1940, e quello del giugno 1941,
che toglievano ad una categoria di Francesi i loro diritti di
cittadini, che non li consideravano e facevano di loro esseri
inferiori in seno alla nazione -, di fronte alle decisioni ci
internamento nei campi di ebrei stranieri che avevano creduto di poter
contare sul diritto d'asilo e sull'ospitalità della Francia, è
giocoforza constatare che i vescovi di Francia non si sono espressi
pubblicamente, aderendo con il loro silenzio a queste flagranti
violazioni dei diritti umani e lasciando il campo libero ad un
ingranaggio mortale.
Alcuni
cristiani hanno visto chiaro. Perché la Chiesa non li ha ascoltati?
Non giudichiamo né le
coscienze né le persone di questa epoca, non siamo certo noi
colpevoli di quel che è accaduto ieri, ma dobbiamo giudicare i
comportamenti e le azioni. È la nostra chiesa e oggi obiettivamente
siamo obbligati a constatare che interessi ecclesiali intesi in modo
eccessivamente restrittivo hanno avuto la meglio sui dettami della
coscienza, e dobbiamo chiederci il perché.
Al di là delle
circostanze storiche che abbiamo appena ricordato, dobbiamo
interrogarci in particolare sulle origini religiose di questo
accecamento. Quale fu l'influenza del secolare antisemitismo? Perché,
nel dibattito che sappiamo esserci stato, la chiesa non ha ascoltato
la voce dei migliori dei suoi? Prima della guerra, a svariate riprese,
in articoli o pubbliche conferenze, Jacques Maritain si è sforzato di
aprire i Cristiani ad un altro sguardo sul popolo ebraico. Egli
metteva inoltre energicamente in guardia contro la perversità
dell'antisemitismo che si stava sviluppando. Fin dalla vigilia della
guerra, Mons. Saliège raccomandava ai cattolici del XX secolo di
cercare la luce nell'insegnamento di Pio XI piuttosto che in editti
tipo quello di Innocenzo III del XIII secolo. Durante la guerra,
teologi ed esegeti, a Lione ed a Parigi, mettevano profeticamente in
rilievo le radici ebraiche del cristianesimo, sottolineando che il
germoglio di Jesse era fiorito in Israele, che i due Testamenti erano
indissociabili, che la Vergine, il Cristo, gli Apostoli erano ebrei e
che il cristianesimo è legato all'ebraismo come il ramo al tronco che
l'ha portato. Perché simili parole furono così poco ascoltate?
Il ruolo
dell'antiebraismo religioso nel processo di persecusione degli ebrei
Certamente, sul piano
dottrinale, la chiesa era fortemente contraria al razzismo per ragioni
sia teologiche che spirituali, che Pio XI aveva vigorosamente espresse
nell'enciclica Mit brennender
Sorge, che condannava i principi
fondanti del nazional-socialismo e metteva in guardia i cristiani
contro i danni del mito della razza e della onnipotenza dello Stato.
Fin dal 1928, il Sant'Uffizio aveva condannato l'antisemitismo. Nel
1938, Pio XI dichiarava con forza: "Spiritualmente, noi siamo
semiti". Ma quale maggior peso potevano avere tali condanne,
quale maggior peso poteva avere il pensiero di alcuni teologi citati
rispetto agli stereotipi anti-ebraici, costantemente ripetuti, di cui
troviamo traccia, anche dopo il 1942, nelle
dichiarazioni che, d'altronde, non mancavano di coraggio?
È d'obbligo ammettere
in primo luogo il ruolo, se non diretto almeno indiretto, svolto dai
luoghi comuni anti-ebraici colpevolmente ripetuti nel popolo
cristiano, nel il processo storico che ha condotto alla Shoah.
In effetti, a dispetto (ed in parte a causa) delle radici ebraiche del
cristianesimo, e della fedeltà del popolo ebraico nella testimonianza
del Dio unico attraverso la sua storia, l' "originaria
separazione" sorta nella seconda metà del primo secolo ha condotto
al divorzio, poi ad una animosità e ad una ostilità multisecolari
tra cristiani ed ebrei. Senza negare il peso dei danni sociali,
politici, culturali, economici nel lungo itinerario d'incomprensione e
spesso di antagonismo tra ebrei e cristiani, uno dei fondamenti del
dibattito rimane di ordine religioso. Ciò non significa che si sia in
diritto di stabilire un legame diretto di causa-effetto tra questi
luoghi comuni e la Shoah, perché il progetto nazista di
annientamento del popolo ebraico ha altre radici.
A giudizio degli
storici, è un fatto consolidato che, durante i secoli, fino al
Concilio Vaticano II, è prevalsa nel popolo cristiano una tradizione
anti-ebraica che ha segnato a livelli diversi la dottrina e
l'insegnamento cristiani, la teologia e l'apologetica, la predicazione
e la liturgia. Su questo terreno è fiorita la pianta velenosa
dell'odio per gli ebrei. Di qui una pesante eredità dalle conseguenze
difficili da cancellare fino al nostro secolo. Di qui delle piaghe
sempre aperte.
I pastori e i
responsabili della chiesa, nella misura in cui hanno lasciato
svilupparsi così a lungo l'insegnamento del disprezzo e conservato
nelle comunità cristiane un fondo comune di cultura religiosa che ha
segnato durevolmente le mentalità deformandole, sono portatori di una
grave responsabilità. Anche quando hanno condannato le teorie
antisemite nella loro origine pagana, si può giudicare che non hanno
illuminato gli spiriti come avrebbero dovuto, perché non avevano
rimesso in causa questi pensieri e questi atteggiamenti secolari.
E allora le coscienze
si trovavano spesso addormentate e la loro capacità di resistenza
diminuì quando è sorto, con tutta la sua violenza criminale,
l'antisemitismo nazional-socialista, forma diabolica e parossistica di
odio per gli ebrei, fondata sulle categorie della razza e del sangue e
mirante apertamente all'eliminazione fisica del popolo ebreo -
"uno sterminio incondizionato messo in opera con
premeditazione", secondo i termini del Papa Giovanni Paolo II.
Alcune
proteste e atti di coraggio hanno salvato l'onere della Chiesa
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In seguito, quando la
persecuzione si è aggravata e si è incardinata sul territorio
francese la politica di genocidio del III Reich, sostituita dalle
autorità di Vichy, che misero a disposizione dell'occupante i propri
servizi di polizia, alcuni vescovi coraggiosi (2) hanno saputo alzare la
voce per protestare in maniera eclatante, in nome dei diritti della
persona, contro le retate della popolazione ebraica. Queste parole
pubbliche, ancorché poco numerose, furono ascoltate da molti
cristiani. Non si saprebbero dimenticare i numerosi tentativi compiuti
dalle autorità ecclesiastiche per salvare gli uomini, le donne, i
bambini dal pericolo di morte, né il flusso di carità cristiana
dispiegato alla base, con una generosità multiforme correndone i più
grandi rischi, per il salvataggio di migliaia e migliaia di ebrei.
Dal canto loro, e ben
prima di questi interventi, senza esitare a scegliere la via della
clandestinità, religiosi, sacerdoti, laici hanno salvato l'onore
della chiesa, spesso in maniera discreta e anonima. Essi l'anno fatto
anche, in particolare nei Quaderni di testimonianza cristiana,
denunciando con vigore il veleno nazista che minacciava le anime con
tutta la sua virulenza neo-pagana, razzista e antisemita, richiamando
in ogni occasione le parole di Pio XI: "Spiritualmente noi siamo
semiti". È un fatto storico assodato che, grazie a tutte queste
azioni di salvataggio venute da migliaia di cattolici, anche dal mondo
protestante e da organizzazione ebraiche, ha potuto essere assicurata
la sopravvivenza di un gran numero di ebrei,
Nondimeno, se tra i
cristiani, chierici, religiosi o laici, non sono mancati atti di
coraggio per difendere le persone, dobbiamo riconoscere che
l'indifferenza ha largamente prevalso sull'indignazione e che davanti
alla persecuzione degli ebrei, in particolare davanti alle multiformi
misure antisemite sancite dalle autorità di Vichy, il silenzio è
stato la regola e le parole in favore delle vittime, l'eccezione.
Un silenzio
colpevole di cui la Chiesa chiede perdono
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Pertanto,
come ha scritto
François Mauriac, "un crimine di questa portata ricade per una
non minima parte su tutti i testimoni che non hanno gridato quali che
siano state le ragioni del loro silenzio". (3)
Il risultato è che il
tentativo di sterminio del popolo ebreo, invece di apparire una
questione fondamentale sul piano umano e su quello spirituale, è
rimasto su un piano secondario. Di fronte alla vastità del dramma ed
al carattere inaudito del crimine, troppi Patori della chiasa hanno
offeso, col loro silenzio, la chiesa stessa e la sua missione.
Oggi, confessiamo
che questo silenzio fu un errore. Riconosciamo anche che la chiesa in
Francia in quel momento ha fallito nella sua missione di educatrice
delle coscienze e che anch'essa porta, con il popolo cristiano, la
responsabilità di non aver recato soccorso fin dai primi momenti ,
quando la protesta e la protezione erano possibili e necessarie, anche
se, in seguito, ci furono innumerevoli atti di coraggio.
È questa una realtà
che oggi riconosciamo. Perché questa mancanza della chiesa di Francia
e la sua responsabilità verso il popolo ebreo fanno parte della sua
storia. Confessiamo questo errore. Imploriamo il perdono di Dio e
chiediamo al popolo ebraico di ascoltare questa parola di pentimento.
Questo atto di memoria
ci richiama ad una accresciuta vigilanza nel presente e nel futuro in
favore dell'uomo.