NOTE 

[1] Tra gli studi particolarmente interessanti segnaliamo: R. B. Y. SCOTT, "Priesthood, Prophecy, Wisdom", JBL 80 (1961) 1-15; J. GOLDSTAIN, Les sentiers de la sagesse, Parigi 1967; 3. L. McKenzie, "Reflections on Wisdom", JBL 86 (1967) 1-9; G. VON RAD, Weísheit in Israel, Neukirchen-Vluyn 1970 (la traduzione italiana La sapienza in Israele risale al 1975); P. P. ZERAFA, Tbc Wisdom of Cod in tbc Book of job, Roma 1978; G. T. SHEPPARD, Wisdom as an Hermeneutical Construtct. A Study in the Sapientializing of the Old Testament, Berlino 1980.
Tra gli studi che relazionano la tradizione sapienziale con il N.T. è classico quello di A. FEUILLET, Le Christ Sagesse de Dieu d'après les épîtres pauliniennes, Parigi 1966. Particolarmente interessanti e utili sono anche: F. CHRIST, Jesus-Sophia. Die Sophia-Cbristologie bei den Synoptiken, Wúrzburg 1977; M. GILBFRT-J. N. ALFM, La Sapienza e Gesù Cristo (Bibbia Oggi. Strumenti per vivere la Parola, 21), Torino 198 1; E. J. SCHNABEL, Iaw and Wisdom from Ben Sira to PauL A Tradition Historical Enquiry into Retation of Law, Wisdom and Ethics, Túbingen 1985.
Nel contesto di questo rinnovato interesse al mondo sapienziale si situa anche la pubblicazione degli Atti della XXIX settimana dell'associazione biblica italiana: AA.VV., Sapienza e Torah, Bologna 1987.

[2] Cfr. M. GILBERT, "Sapienza", Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 1988, 1427.

[3] Cfr. Sir 24,22.3 l. Secondo Ben Sira lo scriba saggio "medita la legge [la Torah] dell'Altissimo", "si dedica allo studio delle profezie" e al tempo stesso, significativamente, "indaga la sapienza di tutti gli antichi... viaggia fra genti straniere investigando il bene e il male in mezzo agli uomini" (cfr. Sir 39, 1-4). Qui appare che per Israele la sapienza, anche quando è assunta nell'ambito della fede, non perde la sua caratteristica originaria di riflessione e indagine a partire dall'esperienza. Si tratta dunque di un dato che in questa ricerca dovrà essere tenuto presente.

[4] Cfr. G. FOHRER, "Sophia", GLNT XII, 725. La terminologia, che ha come centro la radice hkm e i termini paralleli (tra cui in particolare i derivati di bjn e jd'), è presentata alle pp. 723-726.

[5] Cfr. W. VON SODEN, "Leistung und Grenze sumerischer und bab. Wissenschaft", Die Welt als Geschichte 2 (1936) 411-464.509-557; dello stesso autore, cui si deve la nota grammatica accadica (Grundriss der akkadischen Grammatik, Roma 1969), è anche l'opera Zweisprachigkeit in der geístigen Kultur Babyloniens, 1960.

[6] Si veda A. H. GARDINER, Ancient Egyptian Onomastica, 1947.

[7] L'importanza delle liste nella cultura orale è indicata con buona documentazione da J. GOODY, The Domestication of the Savage Mind, Cambridge 1977, 52-111. Per la conoscenza della cultura orale e delle trasformazioni dei meccanismi cognitivi e linguistici, dovuti all'introduzione della scrittura nella cultura umana, rinviamo a W. J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna 1986. (Si vedano in particolare le pp. 139-145).

[8] Per i proverbi sumeri cfr. E. I. GORDON, "The Sumerian Proverh Collecctions. A Preliminary Survey", journal of the American Oriental Society 74 (1957) 67 -79; "A New Look at the Wisdom of Sumer and Akkad", Biblioteca Orientalis 17 (1960) 122- 152.

[9] Quanto alle forme di espressione della sapienza in Israele cfr. R. RENDTORFF, Introduzione all'Antico Testamento. Storia, vita sociale e letteratura d'Israele in epoca biblica, Torino 1990, 148-151.

[10] G. FOHRER, "Sophia", GLNT MI, 737-738.

[11] Cfr. G. FOHRER, Storia della religione israelitica, Brescia 1985, 182.

[12] F. Festorazzi, "Spiritualità sapienziale", La spiritualità dell'Antico Testamento (A. BONORA, a cura), Bologna 1987, 235.

[13] Si veda in G. FOHRER, "Sophia", GLNT XII, 733-735, la raccolta delle testimonianze bibliche circa la conoscenza che Israele ebbe della sapienza degli altri popoli.

[14] Su questo aspetto si veda R. RENDTORFF, Introduzione all'Antico Testamento, 148-149; G. FOHRER, Storia della religione israelitica, 182-185, particolarmente a p. 184; G. VON RAD, Teologia dell'Antico Testamento, Brescia 1972, 1, 484.

[15] P. P. ZERAFA, The Wisdom of Gotí in the Book of job, 263.

[16] G. VON RAD, Ia sapienza in Israele, Torino 1975, 65.

[17] Cfr. H. GESE, Sulla teologia biblica, Brescia 1989, 208.

[18] Uno studio importante su questa sezione del libro dei proverbi è quello di R. N. WHYBRAY, "Jahwehsayings and their Contexts in Proverbs 10, 1-22, 16", in M. GILBERT (a cura di), La Sagesse de l'Ancien Testament, 1979, 153-165. L'autore

ritiene che molti dei proverbi in cui si parla di Jhwh siano stati inseriti per dare una nuova interpretazione a sentenze più antiche.

[19] Cfr. Dt 4,36. In una ricerca su Dt 4, che speriamo sia presto pubblicata, la Dr. M. P. Scanu ha dimostrato che nel periodo dell'esilio la tradizione del comandamento fondamentale si esprime, con una nuova formulazione, mediante l'appello ad "ascoltare la voce del Signore". Si tratta di un dato di particolare importanza. Oltre che aprire interessanti prospettive sulla vita religiosa di quel periodo, esso ci permette di capire la crescente importanza della Parola e, coestensivamente, della sapienza. Qui ci sono le premesse per la formazione canonica del libro della Torah, come pure per la teologizzazione della sapienza, quale risulta in Pro 1-9 e nei testi della sapienza personificata.

[20] Rinviamo al prezioso contributo di F. FORESTI, "Il Deuteronomio: nascita della Torah come proposta di sapienza", Sapienza e Torah (Atti della XXIX settimana biblica/A.B.I.), Bologna 1987, 17-30. Riteniamo che la strada, intravista e in parte percorsa dal compianto autore, aprirà in futuro nuove prospettive nella conoscenza delle interrelazioni tra "Torah", "Sapienza" e "Profezia".

[21] Il termine "Torah" è ovviamente preso secondo la ricca accezione biblica per connotare "tutta la rivelazione biblica, sia in atti sia in parole". Cfr. M. GILBERT, "L'éloge de la Sagesse (Siracide 24)", RTL 5 (1974) 326-348.

[22] M. GILBERT, "Sapienza", NDTB, 1428.

[23] Cfr. P. ZERAFA, The 'Wisdom of God in the Book of Job, Roma 1978, 46-50.

[24] Cfr. H. GESE, Sulla teologia biblica, 209.

[25] Il Bonora osserva giustamente al riguardo- "Dio stesso rivela (wajjo 'mer) in che cosa consista la sapienza. Infatti soltanto una libera comunicazione divina può svelare all'uomo la via che apre l'accesso alla sapienza". Cfr. A. BONORA, "Il binomio sapienza-Torah nell'ermeneutica e nella genesi dei testi sapientali (Gb 28; Pro 8; Sir I. 24; Sap 9)", Sapienza e Torah (Atti della XXIX settimana biblica/A.B.I.), Bologna 1987, 31-48 (la citazione a p. 35). Ricordiamo che in base alla nostra analisi il v. 28 non è una aggiunta secondaria reinterpretativa, ma appartiene al testo originario.

[26] La lezione "timore di 'adonaj", anziché "timore di Jhwh" attestata da vari manoscritti, criticamente sembra più attendibile perché è sicuramente la "lectio difficilior". L'uso di "'adonaj" è dovuto all'intento di universalizzare un dato proprio del patrimonio religioso di Israele. Ciò conferma che il nostro autore parla della sapienza comunicata a tutti gli uomini e non solo a Israele.

[27] Il libro di Giobbe è una eloquente conferma di questa prospettiva.

[28] Per questo i vv. 22-31 hanno la funzione di "fondare la credibilità della sapienza che chiama". Cfr. G. L. PRATO, "La ricerca di Dio nel postesilio (sapientali)", Quaerere Deum (Atti della XXV Settimana biblica), Brescia 1980, 161.

[29] Cfr. H. GESE, Sulla teologia biblica, 212.

[30] La radice "'MN" dal significato fondamentale di "essere stabile, fermo", passa a quello metaforico di "essere sicuro", "sentirsi sicuro". Il causativo interno (cfr. Is. 7, 9b) significa "accettare la sicurezza (che viene da Jhwh). Il sostantivo 1amón appartiene al tipo "qatá" che nell'ebraico biblico (e ancora di più in quello postbiblico) è usato per i "nomina opificum" (cfr. P. JOUON, Grammaire de l'bébreu biblique, Rome 1923, 196 nota 1). La sapienza è, in Dio, colei che esercita la funzione di dare stabilità alla sua opera, per questo in essa Dio trova la sua sicurezza, la sua delizia. La sapienza danza davanti a lui!

[31] Il testo di Ger 31, 20 ci testimonia che l'espressione poteva anche usarsi per indicare l'atteggiamento del padre per il figlio. Ovviamente questa prospettiva non si inserisce adeguatamente nel nostro contesto.

[32] Giustamente G. L. Prato mette in guardia dall'alternativa tra la sapienza "come ordine immanente alla creazione" e la sapienza come "ordine primordiale, distinto dalla realtà creata". Infatti, "se proprio si vuole usare questa terminologia, bisognerebbe dire che la sapienza è nello stesso tempo trascendente ed immanente, in quanto ognuno di questi due aspetti richiama necessariamente l'altro" ("La ricerca di Dio nel postesilio (sapientali)", 162).

[33] Tra gli studi più significativi ricordiamo: M. GILBERT, "L'éloge de la Sagesse (Siracide 24)", RTL 5 (1974) 326-348; P.J. NEL, Structure and Ethos of the Wisdom Admonitions in Proverbs, Berlin/New York 1982; E. J. SCHNABFL, Law and Wisdom from Ben Sira to Paul, Tübingen 1985, 8-92.

[34] Per la prospettiva universale, come pure per il rapporto tra creazione e storia cfr. G. L. PRATO, Il problema della teodicea in Ben Sira. Composizione dei contrari e richiamo alle origini, Roma 1975, 282-283.287.298-299.

[35] Si segue la lezione della versione siriaca e di alcuni codici di G che presentano "egesamen" (cfr. Vg: primatum babuí). Altri codici presentano la lezione "ectesamen".

[36] Cfr. M. GILBERT, "L'éloge de la Sagesse", 338. A p. 348 l'autore afferma giustamente che Ben Sira vede nella Torah l'espressione privilegiata della Sapienza, che viene in mezzo agli uomini, in quanto "egli scopre nella Torah la rivelazione della presenza di Dio al suo popolo".

[37] Cfr. A. BONORA, "Il binomio sapienza-Torah", 45.

[38] GILBERT, "L'éloge de la Sagesse", 347.

[39] Il BONORA al riguardo afferma: "La divina sapienza, in quanto presenza comunicativa di Dio, pervade sia la creazione sia la storia salvifica di Israele. Coerentemente, mi pare, ciò significa attribuire sia alla creazione sia alla storia israelitica una valenza "simbolica" nei confronti della presenza attiva e comunicativa di Dio, che è la "rivelazione" ("Il binomio sapienza-Torah", 45).

[40] A. BONORA, "Il binomio sapienza-Torah", 47. Sotto questo aspetto sono significative le affermazioni di M. GILBERT: "La volonté de Dicu, mème quand elle interpelle l'homme dans la Loi, appartiene aussi au domaine divin... Pour que cette intelligente de la Loi soit en l'homme, il faut, selon notre auteur, que Dicu lui-même accorde sa Sagesse et son Esprit" [M. GILBFRT, "Volonté de Díeu et don de la Sagesse", NRT 93 (1971) 1571.

[41] Murphy ha espresso in modo chiaro e sintetico questa situazione della ricerca scientifica: "Who is Lady Wisdom? Current biblical scholarship has excelled in providing more her pedigree tham her identity" ("Wisdom and Creation", 8).

[42] Cfr. G. VON RAD, La Sapienza in Israele, 152.

[43] A questo riguardo von Rad mette in luce l'apporto specifico di Israele nella storia delle religioni. "Se da una parte si può constatare una quantità di punti comuni tra gli inni israelitici e quelli delle religioni vicine, dall'altra parte l'idea di una testimonianza che proviene dalla creazione, è attestata solo in Israele" (La Sapienza in Israele, 160).

[44] Cfr. MURPHY, "Wisdom and Creation", 9.

[45] Ib, 9.

[46] Il von Rad riferendosi alla sapienza nel periodo postesilico afferma che si verifica una "forte trasformazione del concetto": "La sapienza è ora intesa come appello divino rivolto all'uomo, cioè come mediatrice della rivelazione divina" (Teologia dell'Antico Testamento, I, 395).

[47] La funzione della "parola" nella reciproca autodonazione di Jhwh e di Israele appare chiaramente nel testo di Dt 26,17-19. Si veda lo studio dettagliato di N. LOHFINK, "Dt 26,17-19 und die 'Bundesformel'", ZKT 91 (1969) 517-553.

[48] La formula dell'alleanza ("io sono il tuo Dio, tu sei il mio popolo") venne creata per consolidare la fede d'Israele di formare la famiglia di Jhwh. Essa, infatti, sotto il profilo formale, richiamava sia la formula di adozione ("lo sono tuo padre, tu sei mio figlio") che quella nuziale ("lo sono tuo sposo, tu sei la mia sposa"). Os 2 testimonia che la realtà di Israele "popolo del Signore" è compresa sia in prospettiva figliale (Os 2,1) che sponsale (Os 2,21-22.25).

[49] Su questo salmo, che rappresenta uno dei frutti più maturi dell'A.T. ed è, sotto tanti aspetti, vicino alla problematica dei libro di Giobbe, cfr. A. WEISER, I Salmi 61-150, Brescia 1984, 557-568.

[50] Questa tradizione si trova sviluppata in GESE, Sulla teologia biblica, 54-60.

[51] Questa affermazione di Is 25,7 va compresa tenendo presente l'annuncio di Is 2,2-4 col quale si trova in rapporto di dipendenza letteraria.

[52] La tradizione messianica dell'A.T., e la sua comprensione neotestamentaria è presentata in modo ricco e suggestivo da GESE, Sulla teologia biblica, 155-182.

[53] GESE, Sulla teologia biblica, 175. 

[54] ib., 174.

[55] Queste prospettive si rivelano particolarmente illuminanti per la problematica che la teologia è chiamata ad affrontare in modo sempre più chiaro, ma anche, necessariamente, fondato sulla Scrittura: la problematica del dialogo interreligioso con tutte le sue implicanze. Su questo tema cfr. R.E. MURPHY, "Israel’s Wisdom: A Biblical Model of Salvation", Studia missionalia 30 (1981) 1-43. Per il Nuovo Testamento si veda G. Odasso "Gli uomini delle religioni non cristiane alla luce di Rom 2", in AA.VV., Portare Cristo all'Uomo, Roma 1985, I, 623-634.