4. Significato teologico della Sapienza personificata

Il breve esame dei testi principali relativi alla sapienza personificata ci permette ora di affrontare la domanda sulla vera natura della sapienza. Quando gli autori parlano della sapienza, delineandola come una persona, a quale realtà intendono riferirsi, quale luce vogliono mostrare ai loro lettori? In passato si era prestata molta attenzione agli influssi del mondo extraisraelitico che possono aver favorito la personificazione della sapienza, in particolare alla dea egiziana Maat, ma figlia del dio Sole che, in età primordiale, "scese fra gli uomini in veste di retto ordine di tutte le cose" (H. Brunner). 

Questi influssi, per quanto importanti, rappresentano però solo la preistoria letteraria della figura personificata della Sapienza biblica, ma non la sua identità [41]. G. von Rad ha affrontato esplicitamente questa problematica giungendo a identificare la sapienza con "l'autorivelarsi della creazione. "Nel loro tentativo di chiarire la realtà che circonda l'uomo, li saggi] sono incappati, nella profondità della creazione, in un fenomeno che possedeva una forza espressiva eminente. Non solo la creazione ha un essere, ma sprigiona pure un messaggio, comunica una verità! " [42]

La sapienza è in definitiva l'ordine primordiale, misterioso, che l'uomo non solo incontra, ma dal quale in qualche modo è interpellato ed è guidato a una nuova consapevolezza sul significato della vita, anzi è innalzato a un vero "status confessionis" capace di orientare tutta la sua esistenza [43]. La posizione di von Rad ha esercitato un notevole influsso al punto che nella comprensione comune della sapienza biblica il concetto di ordine è ampiamente accolto. 

Il Murphy, però, ha mosso un rilievo che ci pare decisivo nei confronti della sapienza come ordine. Senza dubbio la tradizione sapienziale, fin dai suoi primi passi, si è mossa cercando di scoprire, nelle vicende del mondo e nell'ambito delle esperienze umane, la regolarità e la costanza dei fenomeni, nell'intento di cogliere il principio ispiratore, risalendo fino all'ordine supremo di tutta la realtà. 

Ma in Israele, quando si iniziò quel processo di teologizzazione della sapienza che culminò nella sua personificazione, il termine sapienza rimase semanticamente connotato dal concetto di ordine? «Una cosa è affermare che c'era la ricerca dell'ordine, un'altra ritenere che la descrizione lirica di Pro 8 sia colta adeguatamente dal termine 'ordine'» [44]

Tutta la ricca simbologia della sapienza, in parte emersa nella nostra lettura dei testi, in modo speciale la sua presentazione come sposa, come persona rivestita di una potenza e di un'autorità che in Israele appartengono solo a Jhwh, suggeriscono che non la si può spiegare soltanto come ordine. «Essa piuttosto deve essere in qualche modo identificata con il Signore... La chiamata della Sapienza è la voce del Signore. Essa, quindi, è l'autorivelazione di Dio, non meramente l'autorivelazione della creazione» [45].

Non insistiamo nella dimostrazione di questo dato, perché la nostra lettura dei testi relativi alla sapienza personificata costituisce la conferma analitica della tesi del Murphy. Richiamiamo solo come l'identificazione della sapienza con la Torah e la sua intima connessione con lo Spirito non si possono cogliere in tutta la profondità, che pure i testi contengono, se si concettualizza la sapienza come ordine, come autorivelazione della creazione. 

Quando l'uomo nella creazione percepisce una voce che la trascende, in lui è la sapienza, perché egli ascolta la voce di Dio. Mediante la sapienza, in definitiva, l'uomo diventa uditore della Parola, è raggiunto dalla rivelazione di Dio ed entra in comunione con Lui. Effettivamente, come aveva intuito l'autore della Sapienza di Salomone, la sapienza "tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti" (Sap 7,27).


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