Un’intervista - analisi con Oded Ben Hur,
ambasciatore israeliano presso il Vaticano sui motivi delle lentezze e
difficoltà. Alla base vi è il rifiuto di Israele a riconoscere che
l’Accordo fondamentale è un trattato internazionale.
Quest’oggi a Gerusalemme riprendono i lavori della Commissione
bilaterale Santa Sede-Israele, dopo un lungo periodo di stallo. La
ripresa, consentita dal governo Olmert, fa sperare anche in Vaticano che
si possa finalmente attuare l' Accordo Fondamentale tra la Santa Sede e
lo Stato di Israele, che risale al lontano 1993.
Le due delegazioni si riuniscono nella sede del Ministero degli
Esteri israeliano per continuare i negoziati miranti a concludere
l'Accordo detto "economico", richiesto dall'Accordo fondamentale del
1993, per tutelare lo statuto fiscale della Chiesa in Israele, e
salvaguardare i luoghi santi ed altre proprietà ecclesiastiche. Le Parti
avrebbero in mente anche una sessione "plenaria" all'inizio dell’anno
prossimo (in gennaio o febbraio), in Vaticano, per risolvere le
rimanenti divergenze ed ultimare il trattato, che dovrebbe senz'altro
essere recepito nella legislazione israeliana.
AsiaNews ha chiesto all’on. Oded Ben Hur, ambasciatore israeliano
presso la Santa Sede, i motivi di tutte queste lentezze e difficoltà.
Secondo l'ambasciatore le difficoltà risiedono nel fatto che per la
Chiesa cattolica questi accordi dovrebbero essere considerati trattati
internazionali e recepiti come tali dalla legge israeliana. In Israele
non si vorrebbe riconoscere questi accordi come un vero trattato
internazionale, le cui norme non siano passibili di cambiamenti
unilaterali da parte del solo Legislatore israeliano. Per Israele sembra
non vi possano essere trattati internazionali che possano condizionare
l'esercizio del potere legislativo nazionale.
On. Ben Hur, ma i diritti acquisiti della Chiesa non erano nello
stato delle cose in Terra Santa, che Israele ha ereditato (e che l'Onu
aveva richiesto che fosse conservato)?
Sì, certo, erano così prima della nascita dello stato d’Israele e
prima dell’allacciamento dei rapporti diplomatici. Noi adesso cerchiamo
un modo per formalizzare la materia, un modo che pur riconoscendo questi
antichi diritti, potrebbe convivere con la legge israeliana senza
problemi. Quello che la Chiesa oggi chiede però è contrario alla legge
israeliana. In fondo è nell’interesse del Vaticano stesso non fare
qualcosa che domani potrebbe essere bocciato o cancellato dal
parlamento. Sarebbe un invito al fallimento.
Vi sono altri elementi che fanno fatica ad essere accettati dalla
legge israeliana. Nel 2004, ad esempio, lo stato d’Israele ha dichiarato
alla Corte suprema che esso non considera vincolante, come patto
internazionale, l’Accordo fondamentale.
Questa dichiarazione del governo alla Corte suprema c’è ancora.
Occorre però capire l’ottica dello stato israeliano nei confronti dei
temi compresi nell’Accordo fondamentale.
A) In tale Accordo, firmato nel ’93, vi sono le basi, la cornice, i
parametri per i futuri accordi fra Israele e Santa Sede. Vi sono
clausole che parlano della necessità di curare la libertà religiosa, la
lotta contro l’antisemitismo e l’anticristianesimo, tutte le questioni
sulla libertà, un appello a collaborare nel mondo accademico e
culturale. Questa è una parte non vincolante perché parla in un
linguaggio generale ed è una specie di infrastruttura su cui basare i
rapporti.
B) Un'altra parte domandava che entro uno-due anni si arrivasse a un
accordo finanziario ed economico che stabilisce i diritti e doveri delle
comunità cattoliche in Israele. Doveva diventare legge, e stiamo
lavorandoci adesso perché avvenga.
Nella nostra ottica, non è stato previsto il trasferimento
dell’Accordo fondamentale in legge. Era solo un agreement che non
doveva entrare nelle leggi. Invece cose più pratiche, tipo il sistema
giudiziario, le tasse, ecc. queste dovevano diventare legge.
E la personalità giuridica della Chiesa cattolica? Anche questa
doveva diventare legge…
Sì, è vero. Anche questo elemento – chiamato l’ecclesial legal
personality - doveva entrare nelle leggi. Non è ancora passato, ma è
già stabilito che avvenga. In questi giorni si sta preparando un abbozzo
per discuterlo e vararlo nella Knesset. Resta il fatto che non si poteva
far entrare nelle leggi i criteri di base, i parametri.
Finora il processo è stato molto lento…
Per vari motivi il processo è stato trascinato a lungo – per motivi
soggettivi e oggettivi. Vi sono stati anche cambiamenti al vertice nella
leadership israeliana e anche in Vaticano. Poi abbiamo pensato di
innalzare il livello del nostro dialogo e per questo recentemente il
Direttore Generale del Ministero degli Esteri si è recato] in Vaticano.
Alla ripresa dei negoziati, quali sono le novità della vostra
proposta?
Nell’ambito delle novità che abbiamo suggerito, abbiamo fatto una
proposta che adesso il Vaticano sta studiando. Nell’accordo "economico",
ad esempio, possiamo mettere alcune cose, altre non durevoli e precarie
lasciarle come “understanding”, non formalizzate, così che il processo
[di assorbimento nella legge israeliana ] sia più tranquillo.
Nella ricerca di garanzie legislative, un understanding riesce a
funzionare?
C’è davvero la comprensione e la consapevolezza della fattibilità.
Non è come in passato, non ci troviamo davanti a un muro o un abisso da
colmare. D’altronde, quello che il Vaticano vuole noi non possiamo
accettarlo per la struttura della legge israeliana. Anche per questo
sono passati diversi mesi per trovare una via, un passaggio. Vogliamo
arrivare a un qualcosa che duri.
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[Fonte: AsiaNews 13 dicembre 2006]
v. anche:
Israele annunzia
la ripresa dei negoziati
Nasce negli USA
una nuova ong per sostenere i rapporti Chiesa Israele
Israele e Vaticano,
sostanziali colloqui
Achille Silvestrini, Il
Vaticano e Israele