Non è facile affrontare il tema delle relazioni tra
Israele e il Vaticano. Da un lato si tratta ovviamente di relazioni
diplomatiche. Dall'altro lato, le due parti sono uniche nel loro genere:
le relazioni che esistono tra di esse non possono essere paragonate, per
esempio, a quelle tra la Francia e la Spagna. Stiamo parlando della Santa
Sede, che è l'espressione della più alta autorità della Chiesa
cattolica (una realtà di tipo religioso). E stiamo parlando anche dello
Stato d'Israele: uno Stato come tutti gli altri a livello internazionale,
ma che allo stesso tempo possiede un carattere specifico, dato che la sua
nascita è collegata al ritorno del popolo ebraico alla terra dei suoi
padri (di nuovo, una realtà religiosa). Anche solo sulla base dell'unicità
delle due parti si può intuire la complessità delle loro relazioni, di
cui i rapporti diplomatici costituiscono l'atto formale e conclusivo
che è però preceduto da una lunga storia.
Esistono tre aspetti decisivi all'interno di questa
storia.
Il primo è dato dalle relazioni tra la Chiesa e gli
Ebrei. Questa relazione antica e tormentata è passata attraverso
cambiamenti e sviluppi radicali nelle ultime cinque decadi, a partire dal
pontificato di Papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano Secondo.
L'enciclica Nostra Aetate esprime chiaramente la realtà di
questa innovazione all'inizio del quarto paragrafo: “Contemplando il
mistero della Chiesa con profonda soggezione, questo santo Concilio
ricorda il legame che unisce spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento
ai discendenti di Abramo”.
Possiamo capire da queste parole quanto profondamente
le relazioni col giudaismo hanno penetrato le profondità della vita della
Chiesa. Ricordo ancora l'emozione vissuta il Venerdì Santo del 1959,
quando Giovanni XXIII ha chiamato all'improvviso il maestro cerimoniere e
ha detto "Per favore, elimini quel ‘perfidi’ dalle
preghiere che leggiamo il Venerdì Santo”. Tutto è cominciato dalle
visite di Jules Isaac, dal lavoro del Cardinale Bea, dalla visita di Paolo
VI in Terra Santa nel gennaio 1964, fino alla visita di Giovanni Paolo II
in Israele…
Quest'ultimo evento è stato uno dei punti più alti
del mio servizio [ecclesiastico]. Ricordo ancora la sera in cui il Papa
arrivò a Tel Aviv, accolto nella maniera più solenne dal Presidente, dal
governo, dai membri del Parlamento, dalle forze armate, in uno splendore
di luci; si trattava tuttavia di uno splendore ancora freddo. Quattro
giorni dopo, quando il Pontefice se ne andò, c'era ancora lo stesso
splendore, ma stavolta tutti erano commossi. La preghiera al Muro del
Pianto e la visita allo Yad Vashem
(il Museo della Shoah) furono
esperienze grandiose. Le relazioni diplomatiche erano già state stabilite
nel 1994, ma questo viaggio di Giovanni Paolo II nell'anno 2000 rappresentò
il loro compimento.
L'altro fattore che dobbiamo considerare è
l'attenzione, la sollecitudine da parte della Santa Sede per i luoghi
sacri di Gerusalemme. Quest'attenzione quasi gelosa è sempre esistita.
Quando apparve all'orizzonte la creazione dello Stato d'Israele nel
1947-48, fu dibattuta dalle Nazioni Unite una proposta sorta all'interno
dell'Assemblea Generale che ipotizzava il mantenimento di Gerusalemme come
un'entità distinta. Con Paolo VI e Giovanni Paolo II Gerusalemme ha
cominciato ad essere vista come un "luogo santo" per tutte e tre
le religioni monoteiste: è stata incoraggiata una comprensione speciale
della realtà storica e religiosa della città, in modo tale che non solo
fosse garantito il libero accesso ai vari luoghi di culto (cosa che
Israele ha sempre permesso), ma che fosse anche redatto uno statuto che
renda possibile alle tre comunità religiose il poter vivere e crescere
insieme.
Il terzo elemento cruciale è quello storico-politico:
le guerre e i piani per la pace nella regione. Il fatto che la decisione
di stabilire relazioni diplomatiche tra il Vaticano e Israele sia stata
presa mentre cominciavano le discussioni di Madrid (1991) non è una
coincidenza.
Allora veniva spesso formulata la domanda: “Perché
la Santa Sede non riconosce Israele?” In realtà, ricordo che al
Segretariato di Stato abbiamo sempre dato per scontata l'esistenza
d'Israele: anche in assenza di relazioni diplomatiche formali, esistevano
contatti significativi. Ricordo molti eventi marcati dalla presenza di
delegazioni israeliane: le morti di Giovanni XXIII e di Paolo VI, la
conclusione del Concilio Ecumenico, l'intronazione di Giovanni Paolo I e
di Giovanni Paolo II. Ovviamente la questione delle relazioni diplomatiche
rimaneva. Si è trattato di un progresso lento, che ha tuttavia portato a
risultati significativi.
Nel mese di ottobre 1991, un incontro di cardinali
espresse un voto in favore di una moderata, cauta e progressiva
normalizzazione delle relazioni bilaterali tra la Santa Sede e lo Stato
d'Israele. Un po' più tardi, tra gennaio e luglio 1992, il Delegato
Apostolico in Palestina ha avuto una serie di incontri con ufficiali di
alto grado del Ministero degli Esteri israeliano, stabilendo due cose: una
commissione bilaterale permanente di lavoro e la stesura di una lista di
temi da discutere. Tale lista includeva una serie di temi che sarebbero
stati successivamente definiti dall'Accordo Fondamentale: la libertà
di religione e di coscienza, le relazioni legali e amministrative, il
culto cattolico nei luoghi sacri, le istituzioni educative cattoliche in
Israele, i mezzi di comunicazione sociale, il modo in cui i cattolici
consideravano i problemi relativi al benessere sociale, le proprietà
ecclesiastiche e i problemi fiscali. Quest'agenda per il futuro prevedeva
anche l'esistenza di un periodo di adattamento per la normalizzazione
delle relazioni diplomatiche (che è ancora in corso); la cooperazione
nella lotta contro l'antisemitismo; la promozione di pellegrinaggi in
Terra Santa; scambi culturali, e così via.
La commissione cominciò le sue attività. Essa era
composta di due livelli: uno che radunava ufficiali ed esperti e un altro
che comprendeva i rispettivi vice Primi Ministri. Infine, il progetto
dell'Accordo Fondamentale venne firmato il 31 ottobre 1992. Uno degli
obiettivi della Santa Sede era quello di garantire la sicurezza giuridica
della Chiesa e delle istituzioni cattoliche stabilendo una normalizzazione
delle relazioni tra le due parti (ovviamente la Santa Sede ha ha tenuto
informate le altre chiese e comunità cristiane e si è resa disponibile
ai loro suggerimenti, anche se non le ha mai rappresentate). Un ulteriore
passo da compiere era quello di definire lo status delle entità
cattoliche sotto la giurisdizione dello Stato d'Israele; infine, per
favorire gli sviluppi politici del processo di pace (in realtà la Santa
Sede ha annunciato la sua disponibilità a partecipare alle negoziazioni
di pace, ma questa proposta è stata respinta, così come finora non ci
sono stati negoziati sullo status di Gerusalemme). In quel periodo sono
stati stretti molti contatti tra la Santa Sede e i Paesi arabi, che in
generale volevano rallentare questo processo; ma a un certo punto le
nazioni più moderate (come la Giordania) hanno cominciato a vederlo in
maniera più favorevole (il fatto che il 25 ottobre 1994 la Giordania
abbia firmato un trattato di pace con Israele non è privo di connessione
con questi eventi). L'Accordo Fondamentale, da parte sua, è stato
firmato il 30 dicembre 1993, ed è divenuto effettivo il 10 maggio 1994.
Alcuni punti dell'Accordo
Fondamentale sono degni di un'attenzione particolare.
L'introduzione, in tutte le sue parti, è significativa perché sottolinea
lo sviluppo storico delle relazioni tra gli Ebrei e i Cristiani.
L'articolo 1 enfatizza il fatto che sia lo Stato d'Israele che la Santa
Sede riconoscono il principio di libertà religiosa e di coscienza.
L'articolo 2 sancisce una forte condanna del razzismo e
dell'antisemitismo. L'articolo 3 è fondamentale da un punto di vista
politico: nel primo paragrafo le due parti riconoscono reciprocamente le
loro rispettive sovranità; nel secondo, in relazione a una questione che
la Chiesa considera particolarmente importante, lo Stato d'Israele
riconosce nella loro totalità le attività religiose, caritative ed
educative della Chiesa cattolica (e lo stesso fa la Santa Sede per quanto
riguarda lo Stato d'Israele); infine, vengono riconosciute tutte le entità
ecclesiastiche come persone giuridiche, e viene fatta menzione delle
negoziazioni che avrebbero poi portato all'accordo del 1997. Nell'articolo
4 vi è il riferimento al mantenimento dello status quo per
quanto riguarda i Luoghi Sacri: com'è ben noto, questo status quo
risale all'epoca dell'Impero Ottomano, quando i luoghi sacri della
Cristianità cominciarono ad essere amministrati da tre autorità: gli
Armeni, gli Ortodossi e la Custodia
Cattolica della Terra Santa.
L'accordo del 10 dicembre 1997 ha dato luogo al
successivo riconoscimento della personalità giuridica dei Patriarcati
Cattolici d'Oriente (così come quella dei Siro-Cattolici e dei Maroniti),
del Patriarcato Latino di Gerusalemme e delle loro rispettive diocesi
all'interno del territorio d'Israele. Ciò che ancora manca è un accordo
sulle questioni fiscali (previsto già come imminente nell'articolo 10
dell'Accordo Fondamentale): le negoziazioni sono ancora in corso,
anche se speriamo che arrivino presto a una conclusione. Un ulteriore
problema da risolvere riguarda il rilascio di permessi di residenza al
personale ecclesiastico. Infine, dobbiamo trovare un accordo riguardo
all'assistenza spirituale alle persone che non hanno libertà di movimento
perché si trovano in prigione o in ospedale.
In ogni caso, l'importanza dell'Accordo Fondamentale
è fuori questione: esso mostra chiaramente come, negli ultimi anni,
sono state stabilite relazioni più strette tra la Santa Sede e Israele.
Per concludere, vorrei menzionare alcune delle parole
che hanno marcato l'incontro tra il Papa Giovanni Paolo II e le più alte
autorità religiose e politiche dello Stato d'Israele durante il viaggio
del Papa in Terra Santa nel mese di marzo del 2000. Sono stato testimone
di questi incontri e debbo dire che sono state delle occasioni veramente
straordinarie.
All'aeroporto, nel suo saluto al Presidente Weizmann,
il Pontefice pronunciò memorabili parole:
Oggi, con grande emozione, calco il suolo della terra
in cui Dio ha scelto di stabilire la sua tenda. Molte cose sono cambiate
nelle relazioni tra la Santa Sede e Israele dai tempi in cui il mio
predecessore Paolo VI è venuto qui nel 1964. La creazione di relazioni
diplomatiche tra di noi nel 1994 ha sigillato gli sforzi fatti per
aprire una nuova era di dialogo nelle questioni di interesse comune,
come la libertà religiosa, le relazioni tra la Chiesa e lo Stato, e più
in generale le relazioni tra i Cristiani e gli Ebrei [...]. Su un altro
livello, l'opinione mondiale segue con grande attenzione il processo di
pace che coinvolge tutti i popoli di questa regione, il cui obiettivo è
quello di raggiungere una pace duratura e giusta per tutti […]. E
infine, dobbiamo lottare per presentare sempre e ovunque il vero volto
degli Ebrei e dell'Ebraismo, così come quello dei Cristiani e della
Cristianità.
Anche il Presidente Weizmann ha detto cose importanti:
Sono passate molte generazioni dall'inizio della
storia del mio popolo, ma ai miei occhi è come se fossero passati pochi
giorni. Si sono succedute duecento generazioni da quando un uomo
chiamato Abramo è apparso sulla scena della storia, e centocinquanta
generazioni dividono la colonna di fuoco che marcava il cammino di
redenzione dell'Esodo dall'Egitto dalla colonna di fumo che ha marcato
la tragedia della. Duemila anni fa il popolo d'Israele è stato esiliato
dalla propria patria, dalla propria terra, è stato disperso tra le
nazioni nei vari paesi di tutti i continenti. Io, i miei fratelli e le
mie sorelle siamo nati nel momento storico in cui gli Ebrei sono tornati
e si sono ristabiliti nella terra dei loro padri. Apprezziamo il
contributo di Sua Santità alla condanna dell'antisemitismo, definito
come 'un peccato contro Dio e contro l'umanità' […]. Lo Stato
d'Israele è oggi impegnato in un processo di pace che ci motiva e
incoraggia […]. Stasera, Sua Santità, Lei è arrivato a Gerusalemme,
la città della pace, la città dell'eternità.
Queste sono alcune delle parole lette dai capi rabbini
quando il Papa è andato a visitarli:
Diamo oggi il benvenuto a una persona che ha ritenuto
vantaggioso esprimere pentimento in nome della Chiesa cattolica per le
terribili azioni commesse contro il popolo ebraico nel corso degli
ultimi duemila anni […]. Apprezziamo il suo riconoscimento del nostro
diritto a ritornare in Terra Santa per vivervi in pace e fraternità,
all'interno di confini sicuri che siano riconosciuti dalle nazioni del
mondo.
Quando il Papa si è recato allo Yad Vashem,
il [Primo Ministro] Barak, l'allora capo del governo israeliano, ha
enfatizzato il modo in cui il Papa ha testimoniato dei fatti avvenuti in
Germania e in Polonia: “Lei era lì e Lei ha ricordato. […] E io posso
dire, Sua Santità, che la sua venuta qui oggi alla Tenda del Ricordo allo
Yad Vashem è l'apice di una storica giornata di guarigione. Qui, proprio
ora, il tempo stesso si è fermato. Quest'istante contiene in sé duemila
anni di storia. […] Non possiamo evitare il peso di questa memoria,
perché senza memoria non vi può essere né cultura né coscienza”.
E queste sono alcune delle frasi pronunciate dal Papa
in quell'occasione:
In questo luogo la mente, il cuore e l'anima
sperimentano un estremo bisogno di silenzio. Ricordo personalmente tutto
ciò che è successo quando le truppe naziste hanno occupato la Polonia
durante la guerra: ricordo i miei vicini e amici ebrei, alcuni dei quali
sono morti, mentre altri sono sopravvissuti […]. Qui, come ad
Auschwitz e in molti altri luoghi d'Europa, gli uomini, le donne e i
bambini gridano a noi dalle profondità dell'orrore che hanno
sperimentato […]. Noi ricordiamo i gentili giusti che hanno agito
eroicamente per salvare gli ebrei, a volte fino a donare la loro stessa
vita […]. Noi ricordiamo, ma senza alcun desiderio di vendetta, senza
l'intenzione di fomentare l'odio. […]. Come vescovo di Roma e
successore dell'apostolo Pietro assicuro al popolo ebraico che la Chiesa
cattolica, ispirata dal Vangelo - che esorta alla verità e
all'amore - e non da considerazioni politiche, è profondamente
mortificata per l'odio, per gli atti di persecuzione e per le
manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani di
ogni tempo e di ogni luogo.… Il mondo deve prestare attenzione al
monito che sale dalle vittime dell'Olocausto e dalle testimonianze dei
sopravvissuti. Qui allo Yad Vashem, la memoria è viva e vivida
nella nostra anima. Essa ci fa gridare con le parole del Salmo 31:
"Se ascolto il sospiro delle moltitudini, avverto il terrore da
ogni parte; ma io confido in Te, o Signore; io dico 'Tu sei il mio Dio'".
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[Traduzione dall'originale inglese di Antonio Marcantonio]