Il Vaticano e Israele
Cardinale Achille Silvestrini

21 dicembre 2004

Questo testo si basa su trascrizioni inedite di lezioni facenti parte della serie "La Chiesa cattolica e il popolo giudaico dal Vaticano II a oggi", date alla Pontificia Università Gregoriana in Roma tra il 19 ottobre 2004 e il 25 gennaio 2005 sotto gli auspici del Centro per gli studi giudaici Cardinale Bea.

Non è facile affrontare il tema delle relazioni tra Israele e il Vaticano. Da un lato si tratta ovviamente di relazioni diplomatiche. Dall'altro lato, le due parti sono uniche nel loro genere: le relazioni che esistono tra di esse non possono essere paragonate, per esempio, a quelle tra la Francia e la Spagna. Stiamo parlando della Santa Sede, che è l'espressione della più alta autorità della Chiesa cattolica (una realtà di tipo religioso). E stiamo parlando anche dello Stato d'Israele: uno Stato come tutti gli altri a livello internazionale, ma che allo stesso tempo possiede un carattere specifico, dato che la sua nascita è collegata al ritorno del popolo ebraico alla terra dei suoi padri (di nuovo, una realtà religiosa). Anche solo sulla base dell'unicità delle due parti si può intuire la complessità delle loro relazioni, di cui i rapporti diplomatici costituiscono l'atto formale e conclusivo che è però preceduto da una lunga storia.

Esistono tre aspetti decisivi all'interno di questa storia.

Il primo è dato dalle relazioni tra la Chiesa e gli Ebrei. Questa relazione antica e tormentata è passata attraverso cambiamenti e sviluppi radicali nelle ultime cinque decadi, a partire dal pontificato di Papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano Secondo. L'enciclica Nostra Aetate esprime chiaramente la realtà di questa innovazione all'inizio del quarto paragrafo: “Contemplando il mistero della Chiesa con profonda soggezione, questo santo Concilio ricorda il legame che unisce spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento ai discendenti di Abramo”.

Possiamo capire da queste parole quanto profondamente le relazioni col giudaismo hanno penetrato le profondità della vita della Chiesa. Ricordo ancora l'emozione vissuta il Venerdì Santo del 1959, quando Giovanni XXIII ha chiamato all'improvviso il maestro cerimoniere e ha detto "Per favore, elimini quel ‘perfidi’ dalle preghiere che leggiamo il Venerdì Santo”. Tutto è cominciato dalle visite di Jules Isaac, dal lavoro del Cardinale Bea, dalla visita di Paolo VI in Terra Santa nel gennaio 1964, fino alla visita di Giovanni Paolo II in Israele…

Quest'ultimo evento è stato uno dei punti più alti del mio servizio [ecclesiastico]. Ricordo ancora la sera in cui il Papa arrivò a Tel Aviv, accolto nella maniera più solenne dal Presidente, dal governo, dai membri del Parlamento, dalle forze armate, in uno splendore di luci; si trattava tuttavia di uno splendore ancora freddo. Quattro giorni dopo, quando il Pontefice se ne andò, c'era ancora lo stesso splendore, ma stavolta tutti erano commossi. La preghiera al Muro del Pianto e la visita allo Yad Vashem (il Museo della Shoah) furono esperienze grandiose. Le relazioni diplomatiche erano già state stabilite nel 1994, ma questo viaggio di Giovanni Paolo II nell'anno 2000 rappresentò il loro compimento.

L'altro fattore che dobbiamo considerare è l'attenzione, la sollecitudine da parte della Santa Sede per i luoghi sacri di Gerusalemme. Quest'attenzione quasi gelosa è sempre esistita. Quando apparve all'orizzonte la creazione dello Stato d'Israele nel 1947-48, fu dibattuta dalle Nazioni Unite una proposta sorta all'interno dell'Assemblea Generale che ipotizzava il mantenimento di Gerusalemme come un'entità distinta. Con Paolo VI e Giovanni Paolo II Gerusalemme ha cominciato ad essere vista come un "luogo santo" per tutte e tre le religioni monoteiste: è stata incoraggiata una comprensione speciale della realtà storica e religiosa della città, in modo tale che non solo fosse garantito il libero accesso ai vari luoghi di culto (cosa che Israele ha sempre permesso), ma che fosse anche redatto uno statuto che renda possibile alle tre comunità religiose il poter vivere e crescere insieme.

Il terzo elemento cruciale è quello storico-politico: le guerre e i piani per la pace nella regione. Il fatto che la decisione di stabilire relazioni diplomatiche tra il Vaticano e Israele sia stata presa mentre cominciavano le discussioni di Madrid (1991) non è una coincidenza.

Allora veniva spesso formulata la domanda: “Perché la Santa Sede non riconosce Israele?” In realtà, ricordo che al Segretariato di Stato abbiamo sempre dato per scontata l'esistenza d'Israele: anche in assenza di relazioni diplomatiche formali, esistevano contatti significativi. Ricordo molti eventi marcati dalla presenza di delegazioni israeliane: le morti di Giovanni XXIII e di Paolo VI, la conclusione del Concilio Ecumenico, l'intronazione di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. Ovviamente la questione delle relazioni diplomatiche rimaneva. Si è trattato di un progresso lento, che ha tuttavia portato a risultati significativi.

Nel mese di ottobre 1991, un incontro di cardinali espresse un voto in favore di una moderata, cauta e progressiva normalizzazione delle relazioni bilaterali tra la Santa Sede e lo Stato d'Israele. Un po' più tardi, tra gennaio e luglio 1992, il Delegato Apostolico in Palestina ha avuto una serie di incontri con ufficiali di alto grado del Ministero degli Esteri israeliano, stabilendo due cose: una commissione bilaterale permanente di lavoro e la stesura di una lista di temi da discutere. Tale lista includeva una serie di temi che sarebbero stati successivamente definiti dall'Accordo Fondamentale: la libertà di religione e di coscienza, le relazioni legali e amministrative, il culto cattolico nei luoghi sacri, le istituzioni educative cattoliche in Israele, i mezzi di comunicazione sociale, il modo in cui i cattolici consideravano i problemi relativi al benessere sociale, le proprietà ecclesiastiche e i problemi fiscali. Quest'agenda per il futuro prevedeva anche l'esistenza di un periodo di adattamento per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche (che è ancora in corso); la cooperazione nella lotta contro l'antisemitismo; la promozione di pellegrinaggi in Terra Santa; scambi culturali, e così via.

La commissione cominciò le sue attività. Essa era composta di due livelli: uno che radunava ufficiali ed esperti e un altro che comprendeva i rispettivi vice Primi Ministri. Infine, il progetto dell'Accordo Fondamentale venne firmato il 31 ottobre 1992. Uno degli obiettivi della Santa Sede era quello di garantire la sicurezza giuridica della Chiesa e delle istituzioni cattoliche stabilendo una normalizzazione delle relazioni tra le due parti (ovviamente la Santa Sede ha ha tenuto informate le altre chiese e comunità cristiane e si è resa disponibile ai loro suggerimenti, anche se non le ha mai rappresentate). Un ulteriore passo da compiere era quello di definire lo status delle entità cattoliche sotto la giurisdizione dello Stato d'Israele; infine, per favorire gli sviluppi politici del processo di pace (in realtà la Santa Sede ha annunciato la sua disponibilità a partecipare alle negoziazioni di pace, ma questa proposta è stata respinta, così come finora non ci sono stati negoziati sullo status di Gerusalemme). In quel periodo sono stati stretti molti contatti tra la Santa Sede e i Paesi arabi, che in generale volevano rallentare questo processo; ma a un certo punto le nazioni più moderate (come la Giordania) hanno cominciato a vederlo in maniera più favorevole (il fatto che il 25 ottobre 1994 la Giordania abbia firmato un trattato di pace con Israele non è privo di connessione con questi eventi). L'Accordo Fondamentale, da parte sua, è stato firmato il 30 dicembre 1993, ed è divenuto effettivo il 10 maggio 1994.

Alcuni punti dell'Accordo Fondamentale sono degni di un'attenzione particolare. L'introduzione, in tutte le sue parti, è significativa perché sottolinea lo sviluppo storico delle relazioni tra gli Ebrei e i Cristiani. L'articolo 1 enfatizza il fatto che sia lo Stato d'Israele che la Santa Sede riconoscono il principio di libertà religiosa e di coscienza. L'articolo 2 sancisce una forte condanna del razzismo e dell'antisemitismo. L'articolo 3 è fondamentale da un punto di vista politico: nel primo paragrafo le due parti riconoscono reciprocamente le loro rispettive sovranità; nel secondo, in relazione a una questione che la Chiesa considera particolarmente importante, lo Stato d'Israele riconosce nella loro totalità le attività religiose, caritative ed educative della Chiesa cattolica (e lo stesso fa la Santa Sede per quanto riguarda lo Stato d'Israele); infine, vengono riconosciute tutte le entità ecclesiastiche come persone giuridiche, e viene fatta menzione delle negoziazioni che avrebbero poi portato all'accordo del 1997. Nell'articolo 4 vi è il riferimento al mantenimento dello status quo per quanto riguarda i Luoghi Sacri: com'è ben noto, questo status quo risale all'epoca dell'Impero Ottomano, quando i luoghi sacri della Cristianità cominciarono ad essere amministrati da tre autorità: gli Armeni, gli Ortodossi e la Custodia Cattolica della Terra Santa.

L'accordo del 10 dicembre 1997 ha dato luogo al successivo riconoscimento della personalità giuridica dei Patriarcati Cattolici d'Oriente (così come quella dei Siro-Cattolici e dei Maroniti), del Patriarcato Latino di Gerusalemme e delle loro rispettive diocesi all'interno del territorio d'Israele. Ciò che ancora manca è un accordo sulle questioni fiscali (previsto già come imminente nell'articolo 10 dell'Accordo Fondamentale): le negoziazioni sono ancora in corso, anche se speriamo che arrivino presto a una conclusione. Un ulteriore problema da risolvere riguarda il rilascio di permessi di residenza al personale ecclesiastico. Infine, dobbiamo trovare un accordo riguardo all'assistenza spirituale alle persone che non hanno libertà di movimento perché si trovano in prigione o in ospedale.

In ogni caso, l'importanza dell'Accordo Fondamentale è fuori questione: esso mostra chiaramente come, negli ultimi anni, sono state stabilite relazioni più strette tra la Santa Sede e Israele.

Per concludere, vorrei menzionare alcune delle parole che hanno marcato l'incontro tra il Papa Giovanni Paolo II e le più alte autorità religiose e politiche dello Stato d'Israele durante il viaggio del Papa in Terra Santa nel mese di marzo del 2000. Sono stato testimone di questi incontri e debbo dire che sono state delle occasioni veramente straordinarie.

All'aeroporto, nel suo saluto al Presidente Weizmann, il Pontefice pronunciò memorabili parole:

Oggi, con grande emozione, calco il suolo della terra in cui Dio ha scelto di stabilire la sua tenda. Molte cose sono cambiate nelle relazioni tra la Santa Sede e Israele dai tempi in cui il mio predecessore Paolo VI è venuto qui nel 1964. La creazione di relazioni diplomatiche tra di noi nel 1994 ha sigillato gli sforzi fatti per aprire una nuova era di dialogo nelle questioni di interesse comune, come la libertà religiosa, le relazioni tra la Chiesa e lo Stato, e più in generale le relazioni tra i Cristiani e gli Ebrei [...]. Su un altro livello, l'opinione mondiale segue con grande attenzione il processo di pace che coinvolge tutti i popoli di questa regione, il cui obiettivo è quello di raggiungere una pace duratura e giusta per tutti […]. E infine, dobbiamo lottare per presentare sempre e ovunque il vero volto degli Ebrei e dell'Ebraismo, così come quello dei Cristiani e della Cristianità.

Anche il Presidente Weizmann ha detto cose importanti:

Sono passate molte generazioni dall'inizio della storia del mio popolo, ma ai miei occhi è come se fossero passati pochi giorni. Si sono succedute duecento generazioni da quando un uomo chiamato Abramo è apparso sulla scena della storia, e centocinquanta generazioni dividono la colonna di fuoco che marcava il cammino di redenzione dell'Esodo dall'Egitto dalla colonna di fumo che ha marcato la tragedia della. Duemila anni fa il popolo d'Israele è stato esiliato dalla propria patria, dalla propria terra, è stato disperso tra le nazioni nei vari paesi di tutti i continenti. Io, i miei fratelli e le mie sorelle siamo nati nel momento storico in cui gli Ebrei sono tornati e si sono ristabiliti nella terra dei loro padri. Apprezziamo il contributo di Sua Santità alla condanna dell'antisemitismo, definito come 'un peccato contro Dio e contro l'umanità' […]. Lo Stato d'Israele è oggi impegnato in un processo di pace che ci motiva e incoraggia […]. Stasera, Sua Santità, Lei è arrivato a Gerusalemme, la città della pace, la città dell'eternità.

Queste sono alcune delle parole lette dai capi rabbini quando il Papa è andato a visitarli:

Diamo oggi il benvenuto a una persona che ha ritenuto vantaggioso esprimere pentimento in nome della Chiesa cattolica per le terribili azioni commesse contro il popolo ebraico nel corso degli ultimi duemila anni […]. Apprezziamo il suo riconoscimento del nostro diritto a ritornare in Terra Santa per vivervi in pace e fraternità, all'interno di confini sicuri che siano riconosciuti dalle nazioni del mondo.

Quando il Papa si è recato allo Yad Vashem, il [Primo Ministro] Barak, l'allora capo del governo israeliano, ha enfatizzato il modo in cui il Papa ha testimoniato dei fatti avvenuti in Germania e in Polonia: “Lei era lì e Lei ha ricordato. […] E io posso dire, Sua Santità, che la sua venuta qui oggi alla Tenda del Ricordo allo Yad Vashem è l'apice di una storica giornata di guarigione. Qui, proprio ora, il tempo stesso si è fermato. Quest'istante contiene in sé duemila anni di storia. […] Non possiamo evitare il peso di questa memoria, perché senza memoria non vi può essere né cultura né coscienza”.

E queste sono alcune delle frasi pronunciate dal Papa in quell'occasione:

In questo luogo la mente, il cuore e l'anima sperimentano un estremo bisogno di silenzio. Ricordo personalmente tutto ciò che è successo quando le truppe naziste hanno occupato la Polonia durante la guerra: ricordo i miei vicini e amici ebrei, alcuni dei quali sono morti, mentre altri sono sopravvissuti […]. Qui, come ad Auschwitz e in molti altri luoghi d'Europa, gli uomini, le donne e i bambini gridano a noi dalle profondità dell'orrore che hanno sperimentato […]. Noi ricordiamo i gentili giusti che hanno agito eroicamente per salvare gli ebrei, a volte fino a donare la loro stessa vita […]. Noi ricordiamo, ma senza alcun desiderio di vendetta, senza l'intenzione di fomentare l'odio. […]. Come vescovo di Roma e successore dell'apostolo Pietro assicuro al popolo ebraico che la Chiesa cattolica, ispirata dal Vangelo -  che esorta alla verità e all'amore - e non da considerazioni politiche, è profondamente mortificata per l'odio, per gli atti di persecuzione e per le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani di ogni tempo e di ogni luogo.… Il mondo deve prestare attenzione al monito che sale dalle vittime dell'Olocausto e dalle testimonianze dei sopravvissuti. Qui allo Yad Vashem, la memoria è viva e vivida nella nostra anima. Essa ci fa gridare con le parole del Salmo 31: "Se ascolto il sospiro delle moltitudini, avverto il terrore da ogni parte; ma io confido in Te, o Signore; io dico 'Tu sei il mio Dio'".

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[Traduzione dall'originale inglese di Antonio Marcantonio]

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