Una preghiera per amare, un
dialogo per conoscere
17 gennaio 2006
Ascolta, Israele!
La prima delle Dieci Parole: “Io sono il Signore, tuo Dio”
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L’ iniziativa di una
Giornata dedicata in modo speciale alla preghiera per il popolo ebraico
e al dialogo con i figli d’Israele è maturata nella chiesa – non
solo in Italia ma anche in altri Paesi – durante gli ultimi anni
Ottanta. Tra i motivi centrali che hanno ispirato questa scelta si
trovano certamente, accanto al fondamentale documento conciliare Nostra
aetate promulgato nel 1965 da papa Paolo VI, i frequenti appelli e i
solenni gesti di riconciliazione di papa Giovanni Paolo II, che nel
1986 incontrò la comunità ebraica romana nella storica visita al
Tempio Maggiore. Anche i diversi gruppi di amicizia
ebraico-cristiana che da vari decenni svolgono la loro attività in
molti centri della penisola hanno offerto un terreno fecondo nel quale
si è immediatamente inserita la proposta della Conferenza episcopale
italiana. Un ruolo promotore della Giornata è stato svolto dalle
Commissioni e dai responsabili che, ai vari livelli, nelle Diocesi e
nella Comunità cristiane si sono assunti con alacrità e dinamismo il
compito di approntare sussidi e favorire incontri tra le due comunità
di fede, non di rado coinvolgendo anche cristiani di altre chiese e
comunità ecclesiali.
Su questa base, lungo
quindici anni, sono continuati e si sono approfonditi vincoli di
solidarietà spirituale con i «Fratelli prediletti», in un clima di
preghiera e di reciproco rispetto. Fondamentale è risultato, a questo
scopo, il fatto che nella scelta stessa delle tematiche da proporre ogni
anno venisse applicata una metodologia di confronto, dialogo e
collaborazione, che ha comportato sempre l’ascolto attento della
testimonianza ebraica quale momento essenziale per costruire insieme un
itinerario da percorrere nella concordia.
Le giornate annuali – che
in Italia si tengono il 17 gennaio – sono così divenute
manifestazioni significative di quel vincolo radicale che, in una
prospettiva ecumenica, accomuna cristiani di ogni confessione con il
popolo «Primogenito dell’Alleanza» promessa ad Abramo e alla sua
discendenza.
L’intrinseca
implicazione ecumenica si trova felicemente espressa fin dall’inizio
con la scelta della data, che precede immediatamente la Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani. In realtà si è constatato che
una sola giornata non può bastare per soddisfare le molteplici esigenze
del crescente movimento di avvicinamento fra ebrei e cristiani. Ciò ha
fatto sì che molte iniziative si collocassero in settimane precedenti o
antecedenti tale data.
Oltre a questo, da alcuni
anni si è aggiunta, in ambito civile, la celebrazione della «Giornata
della memoria» della Shoàh, egualmente fissata alla fine di
gennaio, il che ha prodotto un ulteriore arricchimento nelle tematiche e
negli incontri, a reciproco vantaggio di entrambe le Giornate, anche se
hanno connotazioni ben distinte.
Seguendo e sviluppando l’esortazione
di papa Benedetto XVI durante la sua visita nella Sinagoga di
Colonia del 19 agosto 2005, la Giornata potrà ora sia ampliare la
scelta delle tematiche, muovendo verso dimensioni sempre più
universali, sia fornire modelli esemplari che ispirino analoghe
iniziative di carattere spirituale, rivolte verso altre religioni, ma
con una ricaduta senz’altro positiva anche per la civile convivenza.
GIORNATA DELL’EBRAISMO
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17 gennaio 2006
Ascolta, Israele! La prima delle Dieci
Parole: “Io sono il Signore, tuo Dio”
«Il Decalogo (Es 20; Dt 5) è per noi
patrimonio e impegno comune. I Dieci Comandamenti non sono un peso, ma
l’indicazione del cammino verso una vita riuscita. Lo sono in
particolare per i giovani (...). Il mio augurio è che essi sappiano
riconoscere nel Decalogo questo fondamento comune, la lampada per i loro
passi, la luce per il loro cammino (cf Sal 119, 105). Ai giovani gli
adulti hanno la responsabilità di passare la fiaccola della speranza
che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché “mai più”
le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future, con
l’aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico in
cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza».
Queste parole pronunziate da Papa
Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia il 19 agosto 2005 possono
essere assunte quasi a dichiarazione programmatica per dare sostanza di
dialogo e di comunione a questa Giornata che vede uniti in preghiera e
nell’ascolto della parola di Dio i fedeli della Chiesa cattolica
italiana. Al centro è posto il Decalogo, vera e propria stella polare
della fede e della morale del popolo di Dio. Queste «dieci parole»
sono, però, anche il «grande codice» della civiltà etica
dell’intera umanità, dato che esse identificano bene e male, giusto e
ingiusto, vero e falso anche secondo i criteri della coscienza retta di
ogni creatura.
A partire da quest’anno vorremmo, perciò,
iniziare un itinerario che avrà altre tappe nelle Giornate successive,
così da proporre una riflessione costante e continua sulla sequenza
progressiva dei dieci comandamenti. A guidare i cristiani c’è sempre
il monito di Gesù che, fedele alla parola di Dio, a chi lo aveva
interrogato sull’impegno operoso per ottenere la «vita eterna »,
aveva risposto: «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti» e
li aveva anche elencati nei capi fondamentali (cf Mt 19,16-19).
In questa linea porremo, allora, al
centro della Giornata 2006 il primo precetto, il comandamento principe,
come è stato definito, vera e propria architrave dell’intera
architettura spirituale del Decalogo, che, in questa luce, si rivela non
solo come un codice morale ma anche come un testo teologico.
«Dio allora pronunciò tutte queste
parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese
d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di
fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù
nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è
nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li
servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che
punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta
generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore
fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei
comandi”» (Es 20,1-6).
Questa solenne proclamazione di apertura
delle «due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte dal
dito di Dio» (Es 31,18), ci presenta un Dio che entra nella storia come
persona, dichiarando il suo «io», ossia un’identità viva che agisce
intervenendo nella vicenda umana con la sua parola e la sua azione.
Egli, infatti, si manifesta come il liberatore degli oppressi ed è a
questa sua rivelazione efficace, attestata sull’esodo d’Israele
dalla schiavitù faraonica, che siamo invitati a offrire la nostra
adesione di fedeltà e fiducia.
Ecco, allora, il primo dei tre impegni
che costituiscono l’anima di questo comandamento. Dobbiamo
innanzitutto riconoscere l’unicità assoluta e sovrana del Signore
contro ogni tentazione idolatrica. È il grande appello dello Shemà,
l’«Ascolta!», caro anche a Gesù di Nazareth: «Ascolta, Israele, il
Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo!» (Dt 6,4; cf Mc
12,29). Come insegna il prosieguo di quel testo, non si tratta solo di
riconoscere in sede teorica il monoteismo, ma anche di scegliere il
Signore come colui al quale ci si abbandona totalmente nella fede e
nell’amore. All’interrogativo rivoltogli da uno scriba, su quale sia
il massimo comandamento, Gesù risponde ripetendo lo Shemà con le
parole di Mosè: «Il primo comandamento è: Ascolta Israele! Il Signore
Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E
il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è
altro comandamento più importante di questi.
Allora lo scriba gli disse: “Hai detto
bene, maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri
all’infuori di Lui; amarlo con tutto il cuore, e con tutta la mente e
con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti
gli olocausti e i sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto
saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal Regno di Dio”» (Marco
12, 29-33).
Via ebraica e via cristiana si
rispecchiano l’una nell’altra al punto da risultare indivisibili
quanto alla sostanza spirituale ed etica. E la parola Ascolta Israele!
dovrebbe ancora risuonare per i popoli del mondo quale invito ad
ascoltare ed accogliere la testimonianza di fede dell’Israele di oggi.
C’è, poi, una seconda dichiarazione
imperativa: «Non ti farai idolo né immagine alcuna…». Il pensiero
corre alla scena del vitello d’oro, narrata subito dopo (Es 32) il
dono del Decalogo e l’incontro con la parola di Dio.
L’appello è chiaro e tagliente: Dio
non è riducibile ad un oggetto, a un segno magico, a un’ideologia. La
sua è una realtà infinita ed eterna che travalica spazio e tempo. Se
proprio si vuole scoprire una sua immagine, c’è la creatura da lui
particolarmente amata: «Dio creò l’uomo a sua immagine, ad immagine
di Dio lo creò» (Gn 1,27). Su questo si fonda l’intangibile dignità
di ogni persona umana, dalla sua nascita alla sua morte.
Infine, il primo comandamento presenta un
ultimo impegno: «Non ti prostrerai davanti agli idoli e non li servirai».
In queste parole si esalta la purezza del culto: l’adorazione deve
essere riservata solo al Signore come ammonirà anche Gesù rivolto a
Satana tentatore (Mt 4,9-10). Il comandamento ricorda che il Signore è
un «Dio geloso», cioè un Dio appassionato e innamorato nei confronti
dell’umanità che potrà anche respingerlo e tradirlo ma che troverà
la sua libertà e la sua pienezza solo nel rimanere legata a Lui in un
nodo d’amore.
Siamo, quindi, di fronte a un precetto
che coinvolge nello stesso modo ebrei e cristiani. Esso è un forte
appello alla purezza della fede nei confronti di un Dio vivo e
personale, esigente ma anche amoroso. Egli è il garante della verità,
della libertà e della morale per tutti, anche per coloro che non
credono in lui e non lo riconoscono. Ma è soprattutto un Dio d’amore
che, se condanna il peccato punendo «fino alla quarta generazione», è
pronto a perdonare chi è pentito e a svelare la sua grazia benevola «fino
alla millesima generazione».
SCHEMA DI CELEBRAZIONE
(**)
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ESODO 20, 1-6
Dio allora pronunciò
tutte queste parole:
Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto,
dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non
ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né
di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque
sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.
Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la
colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per
coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille
generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
MEKHILTA DE-RABBI
JSHMAEL (Bachodesh, 6)(1)
«Non
avrai altri dèi di fronte a me».
Perché fu detto questo?
Perché dice: «Io sono il Signore, tuo Dio» (Es 20, 2).
Questo versetto si può
paragonare a un re che arrivò in una provincia. «Stabilisci dei
decreti per questa popolazione», gli dissero i servi. Ma il re rispose
loro: «No. Solo quando riconoscono la mia sovranità, stabilirò dei
decreti per loro. Perché se non riconoscono la mia sovranità, non
riconosceranno nemmeno i miei decreti».
Così parlò anche
l’Onnipotente a Israele: «Io sono il Signore, tuo Dio non avrai altri
dèi di fronte a me. Io sono colui del quale avete riconosciuto la
sovranità in Egitto».
Soltanto quando risposero
«Sì!», Egli proseguì: «Così, come avete riconosciuto la mia
sovranità, accoglierete ora i miei decreti. Non avrai altri dèi di
fronte a me».
BENEDIZIONE “AHAVAH”(2)
Con amore grande ci hai
amati,
(3) [Signore] nostro Dio, e con
misericordia grande e sovrabbondante hai avuto pietà di noi.
Padre nostro, nostro Re,
per riguardo ai nostri padri che ebbero fede in te e ai quali insegnasti
precetti di vita, fai grazia anche a noi e istruiscici.
Padre nostro, Padre
misericordioso e compassionevole, abbi misericordia di noi e concedi al
nostro cuore di capire e di discernere, di ascoltare, di studiare e di
insegnare, di custodire, di mettere in pratica e di compiere con amore
tutte le parole che ci insegna la tua Torah.
Illumina i nostri occhi
con la tua Torah, fai aderire il nostro cuore ai tuoi precetti e unifica
il nostro cuore perché ami e tema il tuo Nome, così che non siamo
confusi in eterno.
Poiché confidiamo nel
tuo santo Nome, grande e onorato, esulteremo e gioiremo per la tua
salvezza.
Benedetto sei Tu,
[Signore] nostro Dio, che hai scelto il tuo popolo Israele con amore.
RECITA DELLO SHEMÀ
Ascolta, Israele:
[il Signore] è il nostro Dio,
[il Signore] è Uno. E amerai [il
Signore] tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con
tutte le tue forze. Queste parole che Io oggi ti comando saranno sul tuo
cuore; le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai quando sarai seduto
nella tua casa, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando
ti alzerai. Le legherai alla tua mano come un segno e saranno come
frontali tra i tuoi occhi, le scriverai sugli stipiti della tua casa e
sulle tue porte.
MARCO 12, 28-34
Allora si accostò uno
degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben
risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti? ».
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è
l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è
questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro
comandamento più importante di questi». Allora lo scriba gli disse: «Hai
detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è
altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la
mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più
di tutti gli olocausti e i sacrifici». Gesù, vedendo che aveva
risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E
nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
PREGHIERE DI
INTERCESSIONE (*)
Benedizione dei
cohanim [“sacerdoti”] (Nm 6, 24-26)
Ti benedica
[il Signore] e ti custodisca.
Amen.
Faccia risplendere
[il Signore] il suo volto su di te e ti conceda grazia.
Amen.
Rivolga
[il Signore] il suo volto verso di te e ti dia pace.
Amen.
Benedetto sei Tu, Signore
Dio nostro, re del mondo, che con imperscrutabile amore hai scelto
Israele tra le genti come testimone del Dio Uno ed Unico.
Perché, accogliendo il
dono di questa testimonianza, possiamo crescere nella fede, preghiamo…
Perché l’insegnamento
religioso, la catechesi e la predicazione, favoriscano una conoscenza
più approfondita della tradizione ebraica vivente ed educhino alla
comprensione e al dialogo, preghiamo…
Perché nella lotta
contro ogni forma di idolatria possiamo adempiere, in sincera amicizia
con i fratelli ebrei, il servizio comune verso l’intera umanità, al
fine che si manifesti nella storia la volontà del Dio Uno ed Unico, preghiamo…
Perché siamo vigilanti e
risoluti nel condannare e nell’eliminare ogni forma di antigiudaismo e
di razzismo, per collaborare secondo giustizia all’edificazione della
pace, preghiamo…
(*) Qualcuna di queste preghiere
di intercessione potrà essere inserita nella preghiera dei fedeli
durante l’Eucaristia della domenica 15 gennaio 2006 e del 17 gennaio.
___________________________
(**)
Questo schema potrà essere utilizzato in tutto o in parte per diversi
momenti celebrativi tra cristiani (lodi, vespri, liturgia della Parola,
Eucaristia).
(1)
La Mekhilta è uno dei testi più antichi della tradizione rabbinica.
(2) È una delle benedizioni che
precedono la recita sinagogale dello Shemà.
(3) La tradizione biblica ci
consegna il nome impronunciabile di Dio con queste quattro consonanti,
invitandoci a sostituirle nella lettura e nella preghiera con il temine
Adonaj, “Signore”.
LA PRIMA DELLE DIECI
PAROLE: “IO SONO IL SIGNORE TUO
DIO” torna
su
Suggerimenti esegetici
Le «dieci parole» come
rivelazione del Signore (20,1-2)
Le dieci parole,
pronunciate dal Signore, sono introdotte da una parola con cui Egli si
proclama il Dio dell’Esodo: «Io sono il Signore []
tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, da una casa di
schiavi» (v. 2). L’espressione «Io il Signore tuo Dio» si ritrova
al v. 5. Questa autopresentazione di Dio ci offre il significato stesso
del suo nome :
Egli è sempre presente, sempre vicino al suo popolo in ogni situazione,
una presenza e una vicinanza di cui Israele ha fatto esperienza nella
liberazione dalla schiavitù egiziana.
Questa proclamazione è
molto importante perché costituisce la memoria del dono originario e ci
dà il significato profondo della legge che si pone nella logica di quel
dono come «insegnamento» offerto dal Signore che traccia per l’uomo
un cammino verso la libertà. L’Esodo «è l’atto fondatore per
eccellenza, è l’evento per il quale Israele diventa Israele. È un
atto “originario”, che costituisce un popolo nella sua stessa
essenza, e come tale è paragonabile alla creazione dell’uomo. Il
Signore, presentandosi, dice di essere colui che ha voluto Israele…»(1).
La Scrittura parla di «dieci
parole» (in ebraico, ‘aseret haddebarîm; in greco, déka lógoi)(2)
e non di dieci comandamenti: il termine ebraico debarîm sottolinea il
primato dell’aspetto rivelativo su quello etico(3), perché tutto
il «decalogo» non è che un’esplicitazione dell’unica e
fondamentale professione di fede con cui inizia e del primo comandamento
che su essa si fonda e da essa deriva (v. 3). La tradizione ebraica
sottolinea il rapporto tra le «dieci parole» con cui fu creato il
mondo(4) e le «dieci parole» con cui con un atto creativo il
Signore inaugura la sua alleanza con Israele (cf Dt 32,6b).
Io sono il Signore tuo
Dio (20,2-6)
Entro la cornice
dell’inclusione «Io sono il Signore tuo Dio» (cf vv. 2 e 5) stanno
tre formulazioni normative espresse in forma negativa:
«Non
avrai altri dèi di fronte a me» (v. 3);
«Non ti farai idolo né immagine alcuna…» (v. 4);
«Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai…» (v. 5).
La «prima parola» è:
«Non avrai altri dèi di fronte a me» (v. 3). Israele è chiamato ad
un rapporto cultuale ed esistenziale solo con il Signore. La
formulazione antica non sembra essere tanto un’affermazione teoretica
di monoteismo, ma un comando ad una scelta esistenziale esclusiva che
non prende in considerazione il problema dell’esistenza di altri dèi.
L’esegesi rabbinica si
chiede perché sia stata necessaria questa esplicitazione: «Non avrai
altri dèi accanto a me». «Perché occorreva dirlo, dato che già si
dice: Io sono il Signore tuo Dio?» (v. 2). Si può paragonare ad un re
…che assunse il governo di una provincia. I suoi ufficiali lo
consigliarono di imporre alla popolazione dei decreti, ma egli si oppose
dicendo: «Quando avranno accettato il mio regno, imporrò loro dei
decreti; ma finché non avranno accettato il mio regno, non accetteranno
neppure i miei decreti!».
Così disse
l’Onnipotente ad Israele: Io sono il Signore tuo Dio e non avrai altri
dèi. Dapprima disse: «Io sono colui di cui voi avete accettato il
regno in Egitto». Gli risposero: «Sì». Allora aggiunse: «Siccome
avete accettato il mio regno, accettate anche i miei decreti: Non avrai
altri dèi accanto a me!»(5).
La «seconda parola» (vv.
4-6) ha una formulazione un po’ ambigua: non si devono fare immagini
che raffigurino[il
Signore] o non si devono fare immagini idolatriche? Secondo la cultura
del tempo l’immagine era portatrice di una forza divina che si poteva
utilizzare mediante la magia.
Probabilmente la
proibizione di raffigurare il Signore è più antica, quella di
fabbricare idoli più recente. Non solo Israele non deve scolpire
immagini di idoli, ma non deve cadere nella tentazione di voler
raffigurare il Signore (cf Es 32: la scena del «vitello d’oro») con
l’intenzione di catturarlo con un «nome» magicamente pronunciato. Il
testo aggiunge alcune specificazioni: «né figura alcuna di quanto è
in alto nel cielo o di quanto è in basso sulla terra o di quanto è
nelle acque sotto la terra». Dt 4,12-20.23-24 ci offre la motivazione
teologica che spiega questa aggiunta. «Tutto esiste come
“linguaggio” per l’uomo (Gn 1; Sal 19) e la creatura è
“linguaggio” del creatore. Ma l’unica “immagine” di Dio è la
possibilità dell’uomo di “ascoltare” Dio. Il testo del
Deuteronomio spiega che Israele non ha visto Dio, ma può ascoltare la
sua parola, una parola che chiama all’obbedienza, che è espressione
della libertà divina e quindi non pienamente disponibile per l’uomo.
L’uomo è interlocutore posto in essere da questa parola, non ne è il
padrone»(6).
La terza formulazione
negativa (vv. 5-6) è collegata alla prima per lo stretto legame che la
tradizione deuteronomica pone tra «gli altri dèi» e i due verbi
tipicamente cultuali come «prostrarsi», e «servire». «Avere altri dèi»
non può significare altro che rendere loro il culto. Nel contesto del
«decalogo cultuale» (Es 34,10-28) ritroviamo questa proibizione con la
stessa motivazione: «Non ti prostrerai davanti a un altro dio, perché
il Signore si chiama geloso, egli è un Dio geloso» (34,14)(7). Il
rapporto con il Signore non può essere che esclusivo perché è lui che
ha fatto uscire Israele dall’Egitto per farlo diventare sua proprietà
inalienabile. Questa esperienza del Signore è insostituibile per
Israele ed è quindi costitutiva del suo rapporto esclusivo con il
Signore(8). In questo senso la prima parola («Io sono il Signore
tuo Dio») è veramente il comandamento fondamentale, il cui contenuto
è esplicitato da tutte le altre «parole».
__________________________
1. P. BOVATI, Il libro del Deuteronomio (1-11), Città Nuova, Roma
1994, 55.
2. La divisione del testo ebraico è però diversa da quelle adottate
dalla chiesa cattolica romana, in cui le prime due “parole” sono
riunite ed è tralasciata la proibizione di farsi immagini di Dio, e
dalla chiesa ortodossa e dalle chiese della riforma, che conservano però
la seconda “parola” nella sua forma originale.
3. A. WÉNIN, “Le décalogue, révélation de Dieu et chemin de bonheur”,
in Revue théologique de Louvain 25 (1994), 153-154.
4. Cf Pirqè Avot, V,1 in A. MELLO, Detti di rabbini, Qiqajon, Magnano
(BI) 1993, 154-155.
5. Mekhilta de-Rabbi Ishmael, Bachodesh, 6. Cf A. MELLO (ed.), Il dono
della Torah. Commento al Decalogo di Es 20 nella Mekilta di R. Ishmael,
Città Nuova, Roma 1982, 63.
6. G. BORGONOVO, Introduzione alla storia della salvezza: Antico
Testamento. Esodo, dispense Facoltà Teologica dell’Italia
Settentrionale di Milano, Ciclo Istituzionale, anno accademico 1991/92,
127.
7. La presentazione del Signore come Dio “geloso” si trova anche in
Dt 4,24; 5,9; 6,15.
8. G. BRAULIK , “Il Deuteronomio e la nascita del monoteismo”, in N.
LOHFINK – E. ZENGER – G. BRAULIK – J. SCHARBERT, Dio l’Unico.
Sulla nascita del monoteismo in Israele, Morcelliana, Brescia 1991,
60-63.
Rav
GIUSEPPE LARAS
Presidente dell'Assemblea dei
Rabbini d'Italia |
S.E. Mons.
VINCENZO PAGLIA
Vescovo di Terni-Narni-Amelia e Presidente Commissione
Episcopale per l’ecumenismo
e il dialogo della CEI |
v.anche
Lateranense, 17 gennaio 2005: (e
precedenti)
Intervento
Rav Riccardo Di Segni - Intervento
Mons. Gianfranco Ravasi
01.01.2006 - Messaggio
dell'Arcivescovo di Milano