Il nuovo corso
del dialogo tra ebraismo e cristianesimo. Sintesi delle più
recenti riflessioni da entrambi i punti di vista, con riferimento
a documenti basilari.
Nel tempo di Pasqua, la liturgia cattolica riflette sulla sua
nascita, a partire dalla morte e risurrezione del Signore. In essa
ricorre una frase degli Atti che si legge nella quarta
domenica di Pasqua. Pietro
termina il suo discorso di difesa davanti al Sinedrio con queste
parole: “Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi,
costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro
c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini
sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”
(At 4,11-12).
La
dichiarazione Dominus
Jesus, della Congregazione della Fede (6 agosto 2000) ha
ribadito il valore di questo dato di fede. È vero però che
questa “centralità” di Gesù nella “storia della salvezza”
è stata vissuta dalla chiesa lungo la sua storia in diversi modi.
Due fatti più recenti sembrano introdurre una nuova comprensione
e un nuovo atteggiamento della Chiesa cattolica a questo riguardo
nei confronti degli ebrei.
Gli
ebrei hanno fatto più attenzione di noi al testo della preghiera
che il papa ha deposto il 26 marzo 2000 fra le pietre del Muro
Occidentale a Gerusalemme. Esso diceva: “Dio dei nostri padri,
tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome
fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per
il comportamento di
quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi
figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un'autentica
fraternità con il popolo dell'alleanza. Per Cristo nostro
Signore. Amen”.
Ora,
gli ebrei si sono detti: se il papa dice che noi "siamo"
ora il popolo dell'alleanza, vuol dire che la fa finita con la
teoria della "sostituzione", cioè con la convinzione
dei cristiani di essere il “nuovo”popolo dell’alleanza, in
sostituzione dell’“antico”.
Che
cosa questa affermazione comporta lo hanno esplicitato i vescovi e
gli ebrei americani in un documento del 12 agosto 2002. Si tratta
di una Dichiarazione congiunta, titolata “Riflessioni
sull'Alleanza e sulla Missione", della Consulta della
Assemblea Nazionale delle Sinagoghe e del Comitato Episcopale per
le Questioni Interreligiose e Ecumeniche della Conferenza
Episcopale Cattolica degli Stati Uniti, al termine di venti anni
di incontri biannuali.
Le
riflessioni dei vescovi cattolici descrivono il crescente rispetto
per la tradizione giudaica sviluppatosi nella Chiesa dopo il
concilio Vaticano II.
Il
rispetto e l’apprezzamento sempre più profondo della eterna
alleanza tra Dio e il popolo Ebraico, insieme con il
riconoscimento della missione affidata ai Giudei di testimoniare l’amore
fedele del Signore, conducono alla conclusione che le “campagne”
miranti alla conversione dei Giudei al cristianesimo non sono più
teologicamente accettabili nella Chiesa Cattolica.
In
particolare, i vescovi elencano i numerosi documenti ecclesiali
che hanno segnato questo cammino dopo la dichiarazione Conciliare Nostra
Aetate del 1965, includendo i tre documenti preparati
dalla Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo:
Linee guida e
orientamenti per l’applicazione della Dichiarazione Conciliare
Nostra Aetate n. 4 (1974); Note
sul modo corretto di presentare i Giudei e il Giudaismo nella
predicazione nell’insegnamento nella Chiesa Cattolica Romana
(1985); e Noi
ricordiamo: Una riflessione sulla Shoà (1988)
Dopo
aver riconosciuto che i rapporti del cristianesimo con l’ebraismo
non soltanto sono unici, ma anche che cristianesimo e giudaismo
condividono un compito centrale e decisivo di testimonianza in
favore dell’alleanza di Dio, i vescovi americani si chiedono,
dunque, quali implicazioni ne derivino per l’annuncio del
vangelo di Gesù Cristo. Devono i cristiani, come facevano un
tempo, invitare gli ebrei a farsi battezzare?
Si
tratta, dicono i vescovi, di una questione complessa, non solo per
la consapevolezza della teologia cristiana, ma anche a causa dei
momenti storici in cui i cristiani costringevano gli ebrei al
battesimo in modo forzato.
I
vescovi americani cominciano la loro risposta ricordando una
importante comunicazione presentata al Sesto incontro del Comitato
Cattolico-Giudaico a Venezia, venticinque anni fa, in cui il Prof.
Tommaso Federici esaminava le conseguenze “missionarie” della
dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Su basi storiche e
teologiche, egli allora concludeva che non ci doveva essere nella
Chiesa nessuna organizzazione di nessun tipo che fosse dedicata
alla conversione dei Giudei. Di fatto, questa fu la pratica
seguita dalla Chiesa cattolica negli anni seguenti.
Più
recentemente, il Card. Kasper, Presidente della Commissione per i
rapporti con l’Ebraismo, spiegò questa prassi affermando che in
senso stretto “missione” significa “proclamazione” della
conversione dai falsi dei al vero Dio, con il conseguente invito
al battesimo e alla catechesi, e che, pertanto, in questo senso,
queste iniziative non possono essere in modo appropriato rivolte
agli Ebrei. Dal punto di vista della Chiesa, il Giudaismo è una
religione che sgorga dalla rivelazione divina. Come notava il
card. Kasper, “la grazia di Dio, che secondo la nostra fede è
la grazia di Gesù Cristo, è disponibile per tutti. Perciò la
Chiesa crede che il Giudaismo, cioè la fedele risposta del popolo
giudaico alla alleanza irrevocabile di Dio, è per essi fonte di
salvezza, poiché Dio è fedele alle sue promesse”.
Tale
cambiamento di prospettiva è stato ripreso da parte ebraica nel Jerusalem
Post del 10 gennaio 2003. In esso Yossi Klein Halevi
scrive che "questi cambiamenti
rivoluzionari formano la più straordinaria storia del nostro
tempo: il processo di guarigione dell’umanità dalle più
profonde ferite religiose. Nessuna altra religione ha mai sfidato
la sua propria teologia negativa verso un’altra fede in modo
così profondo come ha fatto il Cattolicesimo e parte del
Protestantesimo”.
Da annotare
un'altra tappa importante: dopo
un incontro preliminare a Gerusalemme il 5 giugno 2002,
delegazioni di alto livello della Commissione della Santa Sede
per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e del Gran
Rabbinato d’Israele si sono incontrate a Villa Cavalletti (Grottaferrata
- Roma), dal 23 al 27 febbraio 2003.
Argomento centrale delle discussioni, svoltesi in un’atmosfera
cordiale e amichevole, è stato la ricerca su come promuovere la
pace, l’armonia e i valori religiosi nelle società
contemporanee. Ne è scaturito un Comunicato
congiunto incentrato su due punti: La santità della vita
umana e la centralità della famiglia.
Nel dicembre 2003,
le delegazioni d'alto livello delle due parti hanno convenuto a
Gerusalemme di discutere sul tema de "l'importanza
dell' insegnamento di base della Scrittura nella società
contemporanea e per l' educazione delle giovani generazioni".
I dibattiti si sono
svolti in un clima d'amicizia e di mutuo rispetto. Constatiamo con
soddisfazione che le due delegazioni hanno già stabilito delle
solide basi che permettono d'intravedere in avvenire il seguito di
una efficace collaborazione.
Da
parte nostra, ci chiediamo se questi cambiamenti sono davvero
compresi, accolti, diffusi e favoriti nei nostri ambienti
ecclesiastici. Soprattutto il linguaggio della predicazione
risente ancora molto della teoria “sostitutiva”. Basterebbe
ricordare le spiegazioni della parabola dei vignaioli omicidi (in
cui il termine greco “ethnos” viene ancora tradotto e
compreso come “nazione”); cfr. anche alcune riflessioni sul popolo
ebraico sullo sfondo del linguaggio giovanneo, quando si dice che “i
suoi” non lo accolsero.
Speriamo
che sia un discorso sempre più raro e destinato presto a
scomparire del tutto
il riferire ancora oggi “i suoi” del
vangelo di Giovanni, così come il corrispondente modo del quarto
vangelo di intendere “i Giudei”, a tutto il popolo ebraico,
considerato in blocco come rifiutante
l’annuncio di Gesù e per di più giudicato negativamente
proprio nella sua fedeltà alla legge e all’alleanza mosaica.