Un'analisi corretta ed equilibrata dal
titolo: «L'Islam radicale spaventa i cristiani di Palestina»
Nella
città vecchia di Gerusalemme ci è nato ma, probabilmente, non ci morirà.
Daoud è un trentenne arabo cristiano con le idee molto chiare su tutto.
Ma se gli si chiede se si senta palestinese o israeliano, allora lo si
vede esitare. Proprio di fronte alla domanda a cui, soprattutto negli
ultimi anni, gli arabi cittadini di Israele rispondono senza dubbi,
professando la propria identità palestinese. «Ma voglio vedere quanti
sono disposti a diventare cittadini palestinesi e a lasciare Israele, il
giorno che ci sarà lo Stato» domanda ironico. «Soprattutto ai leader e
ai capi cristiani, che sono sempre così duri nei confronti di Israele».
Il
riferimento, implicito ma chiarissimo, è al patriarca latino della Città,
Michel Sabah da più parti accusato di non essersi adoperato
abbastanza per condannare il terrorismo palestinese, né la debolezza e la
corruzione della leadership storica di Fatah e dell’Anp. E soprattutto
di non aver fatto sentire abbastanza la sua voce in difesa dei cristiani,
proprio nella terra in cui il cristianesimo è nato.
Già, perché
ormai la foglia di fico della Palestina tollerante e laica vagheggiata da
Arafat e dai tunisini è caduta, e da un po’. E la realtà dei
numeri parla chiaro, mostrando una perdita reale di migliaia di cristiani
negli ultimi dieci anni, che significa anche una perdita in punti
percentuali sulla popolazione complessiva. Tra Israele e
Territori Occupati, oggi, vivono infatti circa 140.000 cristiani di
diverse confessioni, e cioè non più dell’1% del totale. Solo negli
anni Ottanta erano circa il 3%.
Città
palestinesi dalla grande tradizione cristiana (Betlemme e Ramallah sono i
casi più evidenti) vedono oggi le comunità cristiane ridotte a minoranza
esigua, e non solo per ragioni fisiologiche. Tra queste, certo, c’è la
bomba demografica delle famiglie musulmane che ha portato le proporzioni a
mutare e Sharon, verosimilmente, a decidere il ritiro da Gaza. Ma accanto
a questo dato, sta la crescita esponenziale dell’islamismo radicale,
ormai candidato a vero competitore per il controllo dell’Anp. Una
presenza che da un lato spaventa la minoranza cristiana di fronte al
futuro, e dall’altro fornisce quel welfare promesso e mai mantenuto da
Fatah, fino ad attrarre anche musulmani moderati e, seppur in misura
minore, gli stessi cristiani.
Non
sono così infrequenti, nei Territori, le conversioni all’Islam di
interi nuclei familiari cristiani, spesso scandalizzati dalla gestione dei
patrimoni ecclesiastici. Esempio più evidente è stata, nei mesi scorsi,
la vendita ad una società israeliana di un grosso complesso immobiliare
di proprietà della Chiesa Greca Ortodossa, per un valore di alcune decine
di milioni di dollari. [cfr.
documentazione più completa ndr] Ben più significativo è poi il dato riguardante
la borghesia cristiana che emigra verso Europa o America,abbandonando
definitivamente la speranza di trovare un posto nella propria terra. O,
come Daoud, decide non senza problemi di passare, anche simbolicamente,
dall’altra parte della città. «Per me e per la mia famiglia ho
comprato una casa a Gerusalemme Ovest », e cioè nella parte di città
che apparteneva a Israele anche prima della Guerra dei Sei Giorni,
occasione in cui fu annessa allo Stato ebraico la città vecchia. Dove
stanno il Muro del Pianto e il Santo Sepolcro, e dove Daoud è nato e
cresciuto. «Il giorno in cui la città vecchia dovesse diventare
palestinese (ipotesi men che remota, invero, ndr.), quello stesso giorno
lascerei il paese. E per questo ho voluto garantirmi un posto dall’altra
parte, nel paese di cui sono cittadino», spiega pur senza tacere le
proprie critiche alle politiche israeliane. Peraltro, la posizione di
Daoud è apparentemente minoritaria tra gli arabi cristiani, soprattutto
sul versante palestinese o, quantomeno, è molto difficile sentirla
esporre con tanta decisione. Al contrario, capita di incontrare uomini di
fede come il pastore luterano di Betlemme, il teologo palestinese Mitri
Raheb, che lavora all’applicazione della teologia della liberazione alla
realtà dell’occupazione. E dall’altra parte, in territorio
israeliano, la composita galassia del sionismo cristiano, convinta
sostenitrice di un conflitto globale tra civiltà con avamposto situato
sulla Linea Verde. Il paradigma vuole che ai veri cristiani non sia data
altra possibilità che un sostegno incondizionato ad Israele, ed è
corroborato di moneta sonante.
Di
ben altro rilievo, comunque, sono le guerre intestine all’interno delle
gerarchie cristiane, in particolare tra ortodossi e cattolici e,
soprattutto, dentro al mondo cattolico stesso. Non è un mistero, infatti,
che l’insediamento di Pierbattista Pizzaballa a Custode di Terra
Santa, nel 2004, abbia segnato un profondo punto di rottura rispetto alla
tradizione filopalestinese del potentato francescano in Israele e
Palestina. E che sulla sostituzione di Sabah, calendarizzata per il
2006, si giocherà una partita in grado di spostare gli equilibri interni
e di aprire una nuova fase nei rapporti tra Vaticano e Israele.
v. anche:
Uno strano patriarca
Mappe ufficiali palestinesi
Cristiani dei
territori vittime del fondamentalismo islamico
Il Vaticano nomina con tre anni di
anticipo il successore di Sabbah
Notizie sulla
Custodia di Terra Santa
v. Sezione dedicata ai cristiani in Israele