I rapporti tra ebrei palestinesi e cristiani
J. Tondelli, su Il Riformista del 31 dicembre 2005

Un'analisi corretta ed equilibrata dal titolo: «L'Islam radicale spaventa i cristiani di Palestina»

Nella città vecchia di Gerusalemme ci è nato ma, probabilmente, non ci morirà. Daoud è un trentenne arabo cristiano con le idee molto chiare su tutto. Ma se gli si chiede se si senta palestinese o israeliano, allora lo si vede esitare. Proprio di fronte alla domanda a cui, soprattutto negli ultimi anni, gli arabi cittadini di Israele rispondono senza dubbi, professando la propria identità palestinese. «Ma voglio vedere quanti sono disposti a diventare cittadini palestinesi e a lasciare Israele, il giorno che ci sarà lo Stato» domanda ironico. «Soprattutto ai leader e ai capi cristiani, che sono sempre così duri nei confronti di Israele». 

Il riferimento, implicito ma chiarissimo, è al patriarca latino della Città, Michel Sabah da più parti accusato di non essersi adoperato abbastanza per condannare il terrorismo palestinese, né la debolezza e la corruzione della leadership storica di Fatah e dell’Anp. E soprattutto di non aver fatto sentire abbastanza la sua voce in difesa dei cristiani, proprio nella terra in cui il cristianesimo è nato. 

Già, perché ormai la foglia di fico della Palestina tollerante e laica vagheggiata da Arafat e dai  tunisini è caduta, e da un po’. E la realtà dei numeri parla chiaro, mostrando una perdita reale di migliaia di cristiani negli ultimi dieci anni, che significa anche una perdita in punti percentuali   sulla popolazione complessiva. Tra Israele e Territori Occupati, oggi, vivono infatti circa 140.000 cristiani di diverse confessioni, e cioè non più dell’1% del totale. Solo negli anni Ottanta erano circa il 3%. 

Città palestinesi dalla grande tradizione cristiana (Betlemme e Ramallah sono i casi più evidenti) vedono oggi le comunità cristiane ridotte a minoranza esigua, e non solo per ragioni fisiologiche. Tra queste, certo, c’è la bomba demografica delle famiglie musulmane che ha portato le proporzioni a mutare e Sharon, verosimilmente, a decidere il ritiro da Gaza. Ma accanto a questo dato, sta la crescita esponenziale dell’islamismo radicale, ormai candidato a vero competitore per il controllo dell’Anp. Una presenza che da un lato spaventa la minoranza cristiana di fronte al futuro, e dall’altro fornisce quel welfare promesso e mai mantenuto da Fatah, fino ad attrarre anche musulmani moderati e, seppur in misura minore, gli stessi cristiani. 

Non sono così infrequenti, nei Territori, le conversioni all’Islam di interi nuclei familiari cristiani, spesso scandalizzati dalla gestione dei patrimoni ecclesiastici. Esempio più evidente è stata, nei mesi scorsi, la vendita ad una società israeliana di un grosso complesso immobiliare di proprietà della Chiesa Greca Ortodossa, per un valore di alcune decine di milioni di dollari. [cfr. documentazione più completa ndr] Ben più significativo è poi il dato riguardante la borghesia cristiana che emigra verso Europa o America,abbandonando definitivamente la speranza di trovare un posto nella propria terra. O, come Daoud, decide non senza problemi di passare, anche simbolicamente, dall’altra parte della città. «Per me e per la mia famiglia ho comprato una casa a Gerusalemme Ovest », e cioè nella parte di città che apparteneva a Israele anche prima della Guerra dei Sei Giorni, occasione in cui fu annessa allo Stato ebraico la città vecchia. Dove stanno il Muro del Pianto e il Santo Sepolcro, e dove Daoud è nato e cresciuto. «Il giorno in cui la città vecchia dovesse diventare palestinese (ipotesi men che remota, invero, ndr.), quello stesso giorno lascerei il paese. E per questo ho voluto garantirmi un posto dall’altra parte, nel paese di cui sono cittadino», spiega pur senza tacere le proprie critiche alle politiche israeliane. Peraltro, la posizione di Daoud è apparentemente minoritaria tra gli arabi cristiani, soprattutto sul versante palestinese o, quantomeno, è molto difficile sentirla esporre con tanta decisione. Al contrario, capita di incontrare uomini di fede come il pastore luterano di Betlemme, il teologo palestinese Mitri Raheb, che lavora all’applicazione della teologia della liberazione alla realtà dell’occupazione. E dall’altra parte, in territorio israeliano, la composita galassia del sionismo cristiano, convinta sostenitrice di un conflitto globale tra civiltà con avamposto situato sulla Linea Verde. Il paradigma vuole che ai veri cristiani non sia data altra possibilità che un sostegno incondizionato ad Israele, ed è corroborato di moneta sonante. 

Di ben altro rilievo, comunque, sono le guerre intestine all’interno delle gerarchie cristiane, in particolare tra ortodossi e cattolici e, soprattutto, dentro al mondo cattolico stesso. Non è un mistero, infatti, che l’insediamento di Pierbattista Pizzaballa a Custode di Terra Santa, nel 2004, abbia segnato un profondo punto di rottura rispetto alla tradizione filopalestinese del potentato francescano in Israele e Palestina. E che sulla sostituzione di Sabah, calendarizzata per il 2006, si giocherà una partita in grado di spostare gli equilibri interni e di aprire una nuova fase nei rapporti tra Vaticano e Israele.


v. anche:
Uno strano patriarca
Mappe ufficiali palestinesi
Cristiani dei territori vittime del fondamentalismo islamico
Il Vaticano nomina con tre anni di anticipo il successore di Sabbah
Notizie sulla Custodia di Terra Santa
v. Sezione dedicata ai cristiani in Israele

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