“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia” (Sal 126)
“Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133)
Signor Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma,
Signor Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
Signor Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Signori Rabbini,
Distinte Autorità,
Cari amici e fratelli,
1. All’inizio dell’incontro nel Tempio Maggiore degli Ebrei di Roma, i
Salmi che abbiamo ascoltato ci suggeriscono l’atteggiamento spirituale più
autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia: la lode
al Signore, che ha fatto grandi cose per noi, ci ha qui raccolti con il suo
Hèsed, l’amore misericordioso, e il ringraziamento per averci fatto
il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e
continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità.
Desidero esprimere innanzitutto viva gratitudine a Lei, Rabbino Capo, Dottor
Riccardo Di Segni, per l’invito rivoltomi e per le significative parole che
mi ha indirizzato. Ringrazio poi i Presidenti dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, Avvocato Renzo Gattegna, e della Comunità Ebraica di
Roma, Signor Riccardo Pacifici, per le espressioni cortesi che hanno voluto
rivolgermi. Il mio pensiero va alle Autorità e a tutti i presenti e si
estende, in modo particolare, alla Comunità ebraica romana e a quanti hanno
collaborato per rendere possibile il momento di incontro e di amicizia, che
stiamo vivendo.
Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato
Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire
un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre
comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita
si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con
sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la
stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera
Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche
sparse nel mondo.
2. La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un
punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti
con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento
conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere
un cammino
irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è
approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti
importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente
la
storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile
1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche
durante i Viaggi Apostolici internazionali, il
pellegrinaggio giubilare in Terra
Santa nell’anno 2000, i
documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione
Nostra Aetate, hanno offerto
preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed
Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia
vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo
nel mio cuore tutti i momenti del
pellegrinaggio che ho avuto la gioia di
realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti
incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli
nelle Sinagoghe a
Colonia e a New York.
Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e
sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in
qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr
Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo,
Noi Ricordiamo: una
riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere
sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio
in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona
vera e sincera nel profondo del nostro cuore: “Dio dei nostri padri, tu hai
scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli:
noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso
della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e
domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità
autentica con il popolo dell’Alleanza”.
3. Il passare del tempo ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo
un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato
distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili
che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello
stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il
fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta,
in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo
dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo.
Come
dissi nella visita del 28 maggio 2006 al campo di concentramento di Auschwitz, ancora profondamente impressa nella mia memoria, “i potentati del
Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità” e, in
fondo, “con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio
che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi
dell’umanità che restano validi in eterno” (Discorso al campo di
Auschwitz-Birkenau: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1[2006], p. 727).
In questo luogo, come non ricordare gli Ebrei romani che vennero strappati
da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi
ad Auschwitz? Come è possibile dimenticare i loro volti, i loro nomi, le
lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini? Lo sterminio del popolo
dell’Alleanza di Mosè, prima annunciato, poi sistematicamente programmato e
realizzato nell’Europa sotto il dominio nazista, raggiunse in quel giorno
tragicamente anche Roma. Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti,
anche fra i Cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento
cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli
Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e
meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione
di soccorso, spesso nascosta e discreta. La memoria di questi avvenimenti
deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre
di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza.
4. La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia –
in ebraico Sifre Qodesh o “Libri di Santità” – il fondamento più solido e
perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre
radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che
condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di
Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei,
scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola (cfr
Catechismo della Chiesa Cattolica, 839). “A differenza delle altre religioni
non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella
Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono ‘l’adozione a figli,
la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i
patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne’ (Rm 9,4-5) perché ‘i
doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!’ (Rm 11,29)” (Ibid.).
5. Numerose possono essere le implicazioni che derivano dalla comune eredità
tratta dalla Legge e dai Profeti. Vorrei ricordarne alcune: innanzitutto, la
solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico “a livello della loro
stessa identità” spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di
promuovere “un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico
Testamento” (cfr Pontificia Commissione Biblica, Il
popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001,
pp. 12 e 55); la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di
valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità;
l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella “cura del
creato” affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca
responsabilmente (cfr Gen 2,15).
6. In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr
Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè,
costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella
polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche
il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella
giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le
“Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul
giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni
persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è
necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare
nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17). In questa prospettiva, sono
vari i campi di collaborazione e di testimonianza. Vorrei ricordarne tre
particolarmente importanti per il nostro tempo.
Le “Dieci Parole” chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la
tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro
mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per
la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si
inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione
trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e
Cristiani possono offrire assieme.
Le “Dieci Parole” chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro
ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana,
creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della
terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i
diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita
contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui
regni la giustizia e la pace, lo “shalom” auspicato dai legislatori, dai
profeti e dai sapienti di Israele.
Le “Dieci Parole” chiedono di conservare e promuovere la santità della
famiglia, in cui il “sì” personale e reciproco, fedele e definitivo
dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica
umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita.
Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della
società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù
umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal
volto più umano.
7. Come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma
nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono
nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola
impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità
speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i
deboli, i bisognosi. Nella tradizione ebraica c’è un mirabile detto dei
Padri d’Israele: “Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre
cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Aboth 1,2). Con
l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono
chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che
viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza.
8. In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle
differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad
unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del
Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della
terra. I passi compiuti in questi quarant’anni dal Comitato Internazionale
congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista
della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, sono un segno della comune
volontà di continuare un dialogo aperto e sincero. Proprio domani la
Commissione Mista terrà qui a Roma il suo IX incontro su “L’insegnamento
cattolico ed ebraico sul creato e l’ambiente”; auguriamo loro un proficuo
dialogo su un tema tanto importante e attuale.
9. Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in
comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono
spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata
di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del
reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza
di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il
bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il
Misericordioso.
10. Infine un pensiero particolare per questa nostra Città di Roma, dove, da
circa due millenni, convivono, come disse il Papa Giovanni Paolo II, la
Comunità cattolica con il suo Vescovo e la Comunità ebraica con il suo
Rabbino Capo; questo vivere assieme possa essere animato da un crescente
amore fraterno, che si esprima anche in una cooperazione sempre più stretta
per offrire un valido contributo nella soluzione dei problemi e delle
difficoltà da affrontare.
Invoco dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo,
soprattutto in Terra Santa. Nel mio pellegrinaggio del maggio scorso, a
Gerusalemme, presso il Muro del Tempio, ho chiesto a Colui che può tutto:
“manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia
umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano
umilmente il cammino della giustizia e della compassione” (Preghiera al Muro
Occidentale di Gerusalemme, 12 maggio 2009).
Nuovamente elevo a Lui il ringraziamento e la lode per questo nostro
incontro, chiedendo che Egli rafforzi la nostra fraternità e renda più salda
la nostra intesa.
[“Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre”.
Alleluia” (Sal 117)]
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