Matteo e lAntico Testamento -
6. Matteo 23, 1-12
La scelta di questo brano difficile ed emotivamente coinvolgente, ancora più duro di quelli commentati la volta scorsa (Mt 20,1-16 e 21,33-44), è una provocazione o se si vuole una sfida al criterio al quale ci stiamo ispirando in queste nostre riflessioni, quelle cioè di sottolineare la radice ebraica del cristianesimo. La sfida sta nel saper rendere conto di queste parole di Gesù, apparentemente così chiare. Il risultato immediato è di sentirsi confermati nella convinzione stereotipata (ed errata!) che spesso i cristiani hanno avuto e purtroppo talora ancora hanno degli ebrei. Abbiamo però ormai imparato che i testi del Nuovo Testamento (NT), e quindi dei Vangeli, non vanno compresi fuori di contesto. Farlo significa cadere in quel fondamentalismo grottesco che spesso ha animato l’atteggiamento del cristiano verso l’ebreo. In realtà, all’epoca di Gesù e della stesura del NT non esistevano ancora due religioni contrapposte, ma due posizioni di confronto e di scontro tra chi accettava e chi rifiutava il senso della missione di Gesù di Nazaret, nel quadro di una osservanza religiosa che era quella del giudaismo. Certo, il giudaismo non era monolitico, non era in ogni caso quel giudaismo rabbinico posteriore che caratterizzerà la tradizione postbiblica. E tuttavia, la questione attorno al Cristo era in origine una questione tra ebrei, seguaci di una stessa religione. Sarebbe allora anacronistico trovare in un passo evangelico come quello scelto, dell’antigiudaismo religionista o peggio dell’antisemitismo. Come al solito, dobbiamo fare due cose: a) collocare il testo da interpretare nel contesto del Vangelo stesso; b) considerare nel contempo il contesto socio-religioso dell’epoca. Il discorso terribile che Gesù tiene contro i farisei segue a un’altra polemica che egli aveva appena fatto in 22, 23-33 contro i sadducei, l’altro grande partito del tempo, che negava la resurrezione dei morti, affermata invece dai farisei (“Gesù rispose [ai sadducei]: - Siete in errore, poiché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio”) (Mt 22, 29). Forti di tale sconfitta degli avversari (v.24), i farisei prima pongono a Gesù una questione, quella del comandamento più grande (22, 34-40) e poi rispondono a un’altra questione posta invece da Gesù, quella sulla persona del Messia (vv. 41-46). Riguardo alla prima, Gesù riprende quella che era una convinzione diffusa al suo tempo tra i credenti ebrei, come dimostrano i passi paralleli in Mc 12, 28,31 e Lc 10, 25-28, nei quali è il dottore della legge che usa le parole che Matteo fa pronunciare a Gesù: “ - Maestro, qual è il precetto più grande della legge? - . Egli rispose: - Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente” (22, 36-37). Gesù quindi si muove nell’atmosfera spirituale e di fede delle anime migliori del giudaismo del suo tempo, anche se la questione viene certamente posta in modo polemico contro una certa tendenza rigorista del fariseismo che moltiplicava i comandamenti fino a 613! Circa la seconda questione, quella della trascendenza del Messia, Gesù si rifà ad un procedimento esegetico tipico del suo tempo e di prassi tra i periti della legge come i farisei. Ma quello che soprattutto deve essere tenuto presente in questi due passi matteani è che non si tratta di due episodi di cronaca, avvenuti realmente così (lo abbiamo già notato più sopra, a proposito del comandamento più grande), bensì di due esempi in forma narrativa, ricreata dall’evangelista, dell’originalità propria del messaggio di Cristo e del mistero della sua persona. Questi due elementi vengono offerti al lettore nel quadro di un sentire religioso comune e nel contempo diversificato, il giudaismo e il cristianesimo. In base a quanto detto finora, risulta meno scandalosa la durezza del c. 23, che subito segue. Gesù, come un profeta antico, con la stessa durezza impietosa che nel passato gli “uomini di Dio” (i profeti) avevano adoperato nei confronti del popolo eletto e dei suoi capi, che pure essi amavano, si scaglia con un discorso violento e un’arringa spietata contro gli eccessi di un rigorismo e di un legalismo, resi poco credibili da un comportamento non coerente e contraddittorio. Da qui, la serie incredibile dei “guai” che Gesù emette al cospetto degli “scribi e dei farisei”. Ma è il grido lanciato nel passato anche da Is 5, 8-25:
Oppure le accuse fatte da Am 3, 1-2. 9-11; 4, 1-2; 5, 18-20
In altri termini, l’arringa profetica di Gesù contro gli scribi e i farisei ha la stessa potenza, ma anche lo stesso orizzonte dei profeti antichi. Essi non inveivano contro il popolo eletto e i suoi capi, in quanto... ebrei, ma in quanto corresponsabili nell’ingiustizia e nel male. Il Gesù che Matteo dipinge è meno il Gesù di Nazaret e più il profeta escatologico che inaugura l’era della giustizia (cf. Mal 3, 19-20. 23-24):
Il pubblico di Gesù non è il popolo ebraico e neanche le persone storiche individuali, bensì un archetipo del destinatario di sempre che ha da convertirsi, abbandonando la pretesa di giustizia negli altri e pretendendo da se stessi la propria giustizia al cospetto del Signore. È chiaro che uno scrittore ebreo del primo secolo non poteva trarre i suoi modelli che da rappresentanti della sua stessa cultura, ma sarebbe un errore identificare il modello socio-culturale con le persone concrete o con il gruppo nazionale che vi è dietro. Come si può notare, anche testi “scandalosi” per un dialogo con l’ebraismo, quali quello da noi appena commentato, rivestono tutto un altro significato, ben più profondo, se rivisitati con la scienza e la sapienza di chi si affida alla bontà rivelatrice del vero della Parola di Dio. | indietro | | home | | inizio pagina | |