5. Giovanni e l’Antico Testamento In linea con l’esame che andiamo facendo del Nuovo Testamento come radicato nell’Antico e nel giudaismo dell’epoca di Gesù, il Vangelo di Giovanni contribuisce grandemente a confermare il nostro assunto. In altri termini, non è possibile comprendere a fondo il quarto vangelo, se non lo si legge sullo sfondo dell’epoca e della cultura religiosa giudaica. Quest’affermazione è valida anche se curiosamente il vangelo giovanneo, nella sua redazione più tardiva, mostra ormai una certa distanza dagli eventi e addirittura stabilisce già una certa contrapposizione netta tra “i Giudei” e i credenti cristiani. È un fatto tuttavia che il testo evangelico parla una “lingua” ebraica, cioè adopera immagini e formule tipiche del giudaismo ellenistico, una cultura che pur rivolgendosi a una cerchia più ampia delle comunità ebraiche, trovava però in esse le prime destinatarie naturali. Nel comprendere il vangelo giovanneo, noi dobbiamo sempre essere consapevoli della complessità di quella situazione storico-religiosa e dobbiamo stare attenti a non mescolarvi quell’atteggiamento di lacerazione e di esclusione che solo molto dopo si sarebbe consumato, lasciando che da due correnti venissero fuori due religioni! Gv 1: introduzione tematica al quarto vangelo
Il primo capitolo del vangelo giovanneo è uno dei più bei testi che la Bibbia contenga, perché unisce la poesia all’alta speculazione: si tratta d’invitare i lettori a meditare sul mistero della persona del Cristo, Parola di Dio, venuto sulla terra per la salvezza degli uomini. Il lettore o l’ascoltatore viene invitato a contemplare la realtà divina del Verbo (vv.1-3); indi, viene portato a considerare il processo dell’incarnazione, inteso come un viaggio della vita e della luce verso il mondo degli uomini (vv.4-5.10). Il Verbo è “sceso tra la sua gente”, ma essa non l’ha accolto; potevano accoglierlo solo coloro che da Dio sono stati generati e non sulla base del sangue. Per questo la Parola “si è fatta carne” (v.14), perché se ne vedesse il mistero della persona che porta con sé grazia e verità e rivela il volto del Padre (vv.14.18). Ai cristiani queste parole e questo messaggio sono noti, sono la sua dottrina. Meno noto è il fatto che l’ordine d’idee presente nel prologo giovanneo era molto diffuso a partire dal III sec. a.C. in poi e ha trovato posto perfino nelle Sacre Scritture. Il testo dell’AT che più si avvicina a quello di Giovanni è Sir 24:
Come si può notare, questo testo del Siracide nel quale si parla di quel misterioso personaggio divino, la Sapienza, che ormai si era fatta strada nell’immaginario religioso di correnti del giudaismo, contiene gli stessi concetti e perfino alcune parole del prologo giovanneo. La Sapienza celeste, invitata a parlare di se stessa, si presenta innanzi tutto come colei che è uscita dalla bocca dell’Altissimo (vv.1-3): un’origine divina, dunque; essa proviene dallo stesso Dio, ne è addirittura la parola, se è uscita dalla sua bocca. Il suo ruolo è stato quello di essere onnipresente nella storia della salvezza, dalla creazione (vv.4-6) fino all’insediamento sul Sion, nel tempio di Gerusalemme (vv.7-12), dove ha diretto l’esercizio del culto, e fino al suo radicamento nella Terra promessa (vv.12ss). La sua dimora in Terra santa è detta un “mettere la tenda in Giacobbe” (v.8), proprio come in Gv 1,14 la dimora del Verbo sulla terra è detto appunto “è venuto a porre la sua tenda in mezzo a noi”. In realtà, questo modo di pensare lo si trova anche nel libro dei Proverbi, in 8,22-31:
Si può quindi affermare che l’autore del prologo giovanneo non abbia inventato l’immagine teologica dell’Inviato da Dio per la salvezza degli uomini. La sua originalità sta piuttosto nell’aver applicato tale ordine d’idee a Gesù di Nazaret o, detto diversamente, nel non aver saputo trovare di meglio che queste immagini dell’AT per approfondire e presentare il mistero di Cristo, rivelatore di Dio Padre (cf. Gv 1,18). | indietro | | home | | inizio pagina | |