17 gennaio 2006 - «Giornata del dialogo»
Una preghiera per amare, un dialogo per conoscere
Roma, Pontificia Università Lateranense

Insieme ai testi integrali degli interventi di Rav Di Segni e Padre Pizzaballa, vi offriamo la cronaca - così come l'abbiamo vissuta - di quel che abbiamo visto e udito nel corso dell'importante e ormai consueta celebrazione della "Giornata del dialogo"

C'eravamo anche noi a Roma,  ieri alle 18, a quello che ormai è diventato un consueto atteso e sentito appuntamento tra il Rabbino Capo di Roma e figure rappresentative della Chiesa Cattolica, che si avvicendano per 'spezzare insieme' il pane della Parola, sviluppando il tema di volta in volta proposto, nell'accogliente Aula multimediale dell'Università Lateranense.

Il tema di quest’anno – “Ascolta, Israele! La prima delle Dieci Parole: "Io sono il Signore, tuo Dio" – è presentato nel sussidio da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei e da Giuseppe Laras, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. L’idea è di proporre, a partire dal 2006 e per le Giornata successive, tutti i dieci comandamenti.

Ieri sera, Rav Riccardo di Segni era affiancato dal Custode di Terra Santa, Padre Pierbattista Pizzaballa, con l'ormai consueta moderazione di mons. Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università ospite.

Rav Di Segni e Padre Pizzaballa (Foto LnR)

Il clima era intenso e sereno, l'attenzione dei numerosi partecipanti che affollavano tutti gli spazi disponibili, desta e vibrante. All'inizio, come negli intervalli tra un intervento e l'altro, il "Duo Davka" - una chitarra struggente più una voce calda, tenera e forte nello stesso tempo - ha creato un'atmosfera di emozione, bellezza ed anche cultualità, scandendo le parole e i suoni di alcuni tra i più  significativi canti ebraici, rivolti ed in ascolto di una "Presenza" davvero tangibile, che si è manifestata anche negli insegnamenti proposti dai due relatori. 

Gli interventi sono stati introdotti dal Vescovo Fisichella con la presentazione dei due relatori e con un richiamo forte e chiaro al significato ed all'intento di intessere e vivere una crescente esperienza di unità, che puntualmente e significativamente ci si propone celebrando la "Giornata dell'ebraismo". 

Con la naturalezza di chi è di casa, il Rabbino si è brevemente inserito con sorridente e compiaciuta complicità, esprimendo il suo grazie a mons. Fisichella perché gli aveva consentito di fare bella figura con il Papa - che lo aveva ricevuto il giorno precedente - potendo rispondere alla sua precisa domanda: "Cosa fanno, a Roma, le due comunità?", "Incontrerò domani, alla Lateranense, Mons. Fisichella e Padre Pizzaballa".

Il discorso di apertura quest'anno è toccato a Padre Pizzaballa che, con la chiarezza e la precisione che gli sono proprie, ha sviluppato il tema dalla sua angolatura, mettendo innanzitutto in risalto la necessità di non enucleare il Decalogo, vera e propria stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, dal contesto in cui esso è inserito con riferimento alla sua antichità, rispetto ai testi che lo contengono ma che sapientemente lo collocano nel momento in cui Israele, salvato dall'Egitto, diviene davvero "Popolo" e può ricevere Asseret Hadibberot "Le dieci Parole". Esse sono, però, anche il «grande codice» della civiltà etica dell’intera umanità, dato che identificano bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso secondo i criteri della coscienza retta di ogni creatura.

Tuttavia esse - parole, insegnamenti, più che comandi - segnano anche il legame profondo e particolare, che scaturisce dalla teofania e dalla rivelazione, insieme alla successiva - sia pur faticosa: timore e delega a Mosè di dialogare con Dio - presa di coscienza e conseguenti risposta e ininterrotto dialogo del popolo dell'alleanza con il Signore. Costituiscono un momento fondante nel dipanarsi della storia della Salvezza.

Questo legame profondo, esperienza reciproca, tra Dio e il Suo Popolo, nasce dall' 'esperienza' di Dio e dalla continua ricerca del suo 'Volto', ben lontana da uno spiritualismo astratto, fondata sulla concretezza: cercare il volto significa osservare le Parole. Viene ricordato a questo proposito il Salmo 17: "Ma io per la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza." Il termine comunemente tradotto con presenza è piuttosto "immagine" (tmunàh). Unicità di Dio, divieto di crearsene un'immagine costruita dall'uomo, che diviene un idolo. Tutto ciò per tener desta l'attenzione agli autentici segni della Sua presenza nella storia personale e collettiva e la capacità di riconoscerli e agire di conseguenza.

Padre Pizzaballa sottolinea quindi la continuità dell'esperienza cristiana, fondata anch'essa sull'Antico Testamento:

Marco 12, 28-31 - Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza." E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi».

Anche perché presuppone di essere nella giustizia e quindi l'osservanza della legge; non in senso giuridico, ma come adesione, risposta e dialogo con il Signore.

Questa continuità tuttavia, conclude Pizzaballa, deve essere accompagnata da un forte e sentito rifiuto della cosiddetta "espropriazione" che un certo filone teologico, attestato fin dall’antichità, ha interpretato secondo la “teologia della sostituzione”, nel quadro di una concezione della chiesa come “nuovo Israele”. Perché l'Alleanza, come le promesse, resta e non è mai stata revocata: il Signore è un Dio fedele. La dichiarazione è sottolineata da un grande applauso dell'assemblea.

Segue l'intervento di Rav di Segni. Il Rabbino esordisce richiamando subito l'attenzione sulle 'provocazioni' che scaturiscono dalla ricerca rabbinica sulle Asseret Hadibberot, ricordando innanzitutto come, mentre la Scrittura indica 'Parole' al plurale maschile debarim, i rabbini le citino al femminile dibberot. Sorge una grande domanda, ma la risposta appare chiara. L'evoluzione linguistica ha comportato l'identificazione del termine davar 'parola' con 'cosa', introducendo un elemento di materializzazione. Appunto per questo i rabbini hanno voluto ridare alle parole la loro essenza spirituale.

Una piccola ma significativa digressione. Cita, il rabbino, quello che gli appare - e lo è realmente - un grande paradosso nei rapporti tra ebraismo e cristianesimo: "Ciò che ci unisce ci divide e ciò che ci divide ci unisce". In effetti, per l'ebraismo, l'elemento di assoluta inconciliabile possibilità di incontro è il riconoscere in Gesù il Figlio di Dio incarnato; ma esso risulta il punto di maggiore unità, dal momento che è proprio grazie a Gesù che i cristiani e tutta l'umanità riconoscono la sacralità dell'Antico Testamento, che è Parola di Dio che nutre la fede di tutta la cristianità e su cui si fonda il Nuovo Testamento.

Tornando al tema dell'incontro il rabbino ricorda come nella liturgia sinagogale, che (analogamente a quella ecclesiale - ndr) suddivide in successive letture settimanali i brani della Torah, in modo da esaurirli nell'arco dell'anno, le 'dieci parole' compaiono in tre occasioni: in febbraio (Es 20), in autunno agosto/settembre (Dt 5) e durante la Festa di Shavuot (pentecoste). Anche la modalità di ascolto dei brani biblici è tema di discussioni e di differenti pareri in ambito rabbinico: fermo restando che è invalsa l'usanza di ascoltare seduti la lettura dei testi, perché spesso risulta piuttosto lunga per l'assemblea, sorge discussione sul fatto di restare seduti o alzarsi in piedi alla lettura delle 'dieci parole', data la loro importanza fondante. Il fatto non è irrilevante, perché se ci si alza, si riconosce che quel brano della Torah conta più di tutto il resto; mentre la Torah è tutta parimenti sacra, è tutta Parola divina pronunciata sul monte Sinài. 

Viene accennato un altro motivo di divisione con il cristianesimo, che è proprio l'importanza data da esso ai comandamenti in quanto principi morali. Resta fermo che essi sono l'essenza, ma il resto non può essere trascurato.

Comunque la questione è molto antica. Alcune fonti dicono che già nel Santuario di Gerusalemme si cominciava con la lettura dei dieci comandamenti; ma già allora ne è stato tolto l'uso per non far passare in secondo piano il resto della Torah.

Significativo il fatto che anche a Qumran si siano trovati due tipi di Tefillin: alcuni ortodossi, senza i dieci comandamenti ed altri eterodossi, che li contengono.


Astuccio e testo - Qumran

Tefillin (astucci di cuoio nero, contenenti delle pergamene su cui sono scritti dei passi biblici: Es 13, 1-10 / Es 13, 11-16 / Dt 6, 4-9 e 11 / Dt 6, 13-21, che vengono posti sulla fronte e sul braccio sinistro all’altezza del cuore e fissati tramite delle cinghiette anch’esse di cuoio nero. Vengono usati per la preghiera nei giorni feriali - ndr)

Tornando all'affermazione (anche qui sorge discussione se sia un'affermazione tout court o non contenga, implicito, un comando) "Io sono il Signore tuo Dio", Nachmanide dice che essa fa pensare che Dio esiste, crea il mondo ex nihilo e agisce nella storia, libera Israele chiamandolo a un sacerdozio particolare. Non a caso si estraggono dalla Torah 620 precetti, in apparente contrasto con i 613 riservati al popolo ebraico; ma in effetti, oltre a questi, comprendono anche i 7 precetti noachidi riservati al resto dell'umanità tutta.

Viene infine richiamato un midrash, secondo il quale "io - anochì" è una parola egiziana. Dio si esprime sia attraverso allusioni che attraverso messaggi chiari: l'Egitto viene chiamato anche Beit ha vadim - "casa degli schiavi"; quindi Dio parla la lingua del paese degli schiavi per farsi comprendere e perché la schiavitù non è perenne, il negativo si trasforma in positivo, anche se sei in quel luogo e conosci solo quella lingua, puoi uscirne. Messaggio potente... pronunciato con convinzione e solennità, che provoca un attimo di sospensione nell'uditorio, prima dello scrosciante applauso finale.

Conclude il Vescovo Fisichella, dando appuntamento per l'anno prossimo - ormai si tratta di un evento istituzionalizzato e fortemente atteso - nella nuova Aula Magna in corso di allestimento.
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[Fonte: Le nostre Radici 18 gennaio 2006]

[Testi integrali degli interventi]

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