Insieme ai testi integrali degli interventi di Rav Di Segni e Padre
Pizzaballa, vi offriamo la cronaca - così come l'abbiamo vissuta - di
quel che abbiamo visto e udito nel corso dell'importante e ormai consueta
celebrazione della "Giornata del dialogo"
C'eravamo anche noi a
Roma, ieri alle 18, a quello che ormai è diventato un consueto
atteso e sentito appuntamento tra il Rabbino Capo di Roma e figure
rappresentative della Chiesa Cattolica, che si avvicendano per 'spezzare
insieme' il pane della Parola, sviluppando il tema di volta in volta
proposto, nell'accogliente Aula multimediale dell'Università Lateranense.
Il tema di quest’anno –
“Ascolta, Israele! La prima delle Dieci Parole: "Io sono il
Signore, tuo Dio" – è presentato
nel
sussidio da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione episcopale
per l’ecumenismo e il dialogo della Cei e da Giuseppe Laras, presidente
dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. L’idea è di proporre, a
partire dal 2006 e per le Giornata successive, tutti i dieci comandamenti.
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Ieri sera, Rav Riccardo di Segni era
affiancato dal Custode di Terra
Santa, Padre Pierbattista Pizzaballa, con
l'ormai consueta moderazione di mons. Rino Fisichella, Rettore della
Pontificia Università ospite.
Rav
Di Segni e Padre Pizzaballa (Foto LnR)
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Il clima era intenso e sereno, l'attenzione
dei numerosi partecipanti che affollavano tutti gli spazi disponibili,
desta e vibrante. All'inizio, come negli intervalli tra un intervento e
l'altro, il "Duo Davka" - una chitarra struggente più una voce
calda, tenera e forte nello stesso tempo - ha creato un'atmosfera di
emozione, bellezza ed anche cultualità, scandendo le parole e i suoni di alcuni tra
i più significativi canti ebraici, rivolti ed in ascolto di una
"Presenza" davvero tangibile, che si è manifestata anche negli
insegnamenti proposti dai due relatori.
Gli interventi sono stati introdotti dal
Vescovo Fisichella con la presentazione dei due relatori e con un richiamo
forte e chiaro al significato ed all'intento di intessere e vivere una
crescente esperienza di unità, che puntualmente e significativamente ci si propone celebrando la "Giornata
dell'ebraismo".
Con la naturalezza di chi è di casa, il Rabbino si è
brevemente inserito con sorridente e compiaciuta complicità, esprimendo
il suo grazie a mons. Fisichella perché gli aveva consentito di fare
bella figura con il Papa - che
lo aveva ricevuto il giorno precedente - potendo rispondere alla sua
precisa domanda: "Cosa fanno, a Roma, le due comunità?",
"Incontrerò domani, alla Lateranense, Mons. Fisichella e Padre
Pizzaballa".
Il discorso di apertura quest'anno è
toccato a Padre Pizzaballa che, con la chiarezza e la precisione che gli
sono proprie, ha sviluppato il tema dalla sua angolatura, mettendo
innanzitutto in risalto la necessità di non enucleare il Decalogo, vera e
propria stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, dal
contesto in cui esso è inserito con riferimento alla sua antichità,
rispetto ai testi che lo contengono ma che sapientemente lo collocano nel
momento in cui Israele, salvato dall'Egitto, diviene davvero
"Popolo" e può ricevere Asseret Hadibberot "Le
dieci Parole". Esse sono, però,
anche il «grande codice» della civiltà etica dell’intera umanità,
dato che identificano bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso secondo i criteri della coscienza retta di ogni creatura.
Tuttavia esse - parole, insegnamenti, più
che comandi - segnano anche il legame
profondo e particolare, che scaturisce dalla teofania e dalla rivelazione,
insieme alla successiva - sia pur faticosa: timore e delega a Mosè di
dialogare con Dio - presa di coscienza e conseguenti risposta e
ininterrotto dialogo del popolo
dell'alleanza con il Signore. Costituiscono un momento fondante nel
dipanarsi della storia della Salvezza.
Questo legame profondo, esperienza
reciproca, tra Dio e il Suo Popolo, nasce dall' 'esperienza' di Dio e
dalla continua ricerca del suo 'Volto', ben lontana da uno spiritualismo
astratto, fondata sulla concretezza: cercare il volto significa osservare
le Parole. Viene ricordato a questo proposito il Salmo 17: "Ma io per
la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza."
Il termine comunemente tradotto con presenza è piuttosto
"immagine" (tmunàh). Unicità di Dio, divieto di
crearsene un'immagine costruita dall'uomo, che diviene un idolo. Tutto
ciò per tener desta l'attenzione agli autentici segni della Sua presenza
nella storia personale e collettiva e la capacità di riconoscerli e agire
di conseguenza.
Padre Pizzaballa sottolinea quindi la
continuità dell'esperienza cristiana, fondata anch'essa sull'Antico
Testamento:
Marco 12, 28-31 - Allora si accostò uno degli scribi
che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli
domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il
primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore;
amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua mente e con tutta la tua forza." E il secondo è
questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro
comandamento più importante di questi».
Anche perché presuppone di
essere nella giustizia e quindi l'osservanza della legge; non in senso
giuridico, ma come adesione, risposta e dialogo con il Signore.
Questa continuità tuttavia, conclude Pizzaballa, deve essere accompagnata
da un forte e sentito rifiuto della cosiddetta "espropriazione" che
un certo filone teologico, attestato fin dall’antichità, ha
interpretato secondo la “teologia della sostituzione”, nel
quadro di una concezione della chiesa come “nuovo Israele”. Perché
l'Alleanza, come le promesse, resta e non è mai stata revocata: il
Signore è un Dio fedele. La dichiarazione è sottolineata da un
grande applauso dell'assemblea.
Segue
l'intervento di Rav di Segni. Il Rabbino esordisce richiamando subito
l'attenzione sulle 'provocazioni' che scaturiscono dalla ricerca rabbinica
sulle Asseret Hadibberot, ricordando innanzitutto come, mentre la Scrittura indica
'Parole' al plurale maschile debarim, i rabbini le citino al
femminile dibberot. Sorge una grande domanda, ma la risposta appare
chiara. L'evoluzione linguistica ha comportato l'identificazione del
termine davar 'parola' con 'cosa', introducendo un elemento di
materializzazione. Appunto per questo i rabbini hanno voluto ridare alle
parole la loro essenza spirituale.
Una
piccola ma significativa digressione. Cita, il rabbino, quello che gli
appare - e lo è realmente - un grande paradosso nei rapporti tra ebraismo
e cristianesimo: "Ciò che ci unisce ci divide e ciò che ci divide ci
unisce". In effetti, per l'ebraismo, l'elemento di assoluta
inconciliabile possibilità di incontro è il riconoscere in Gesù il
Figlio di Dio incarnato; ma esso risulta il punto di maggiore unità, dal
momento che è proprio grazie a Gesù che i cristiani e tutta l'umanità
riconoscono la sacralità dell'Antico Testamento, che è Parola di Dio che
nutre la fede di tutta la cristianità e su cui si fonda il Nuovo
Testamento.
Tornando
al tema dell'incontro il rabbino ricorda come nella liturgia sinagogale, che
(analogamente a quella ecclesiale - ndr) suddivide in successive letture
settimanali i brani della Torah, in modo da esaurirli nell'arco
dell'anno, le 'dieci parole' compaiono in tre occasioni: in febbraio (Es
20), in autunno agosto/settembre (Dt 5) e durante la Festa di Shavuot
(pentecoste). Anche la modalità di ascolto dei brani biblici è tema di discussioni e di differenti pareri
in ambito rabbinico: fermo restando che è invalsa l'usanza di ascoltare
seduti la lettura dei testi, perché spesso risulta piuttosto lunga per
l'assemblea, sorge
discussione sul fatto di restare seduti o alzarsi in piedi alla lettura delle 'dieci parole', data la loro
importanza fondante. Il fatto non è
irrilevante, perché se ci si alza, si riconosce che quel brano della Torah
conta più di tutto il resto; mentre la Torah è tutta parimenti
sacra, è tutta Parola divina pronunciata sul monte Sinài.
Viene
accennato un altro motivo di divisione con il cristianesimo, che è proprio
l'importanza data da esso ai comandamenti in quanto principi morali. Resta
fermo che essi sono l'essenza, ma il resto non può essere trascurato.
Comunque
la questione è molto antica. Alcune fonti dicono che già nel Santuario
di Gerusalemme si cominciava con la lettura dei dieci comandamenti; ma
già allora ne è stato tolto l'uso per non far passare in secondo piano
il resto della Torah.
Significativo
il fatto che anche a Qumran si siano trovati due tipi di
Tefillin: alcuni ortodossi, senza i dieci comandamenti ed altri eterodossi, che li contengono.
Astuccio e testo - Qumran
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Tefillin
(astucci di cuoio nero, contenenti
delle pergamene su cui sono scritti dei passi biblici: Es 13, 1-10 /
Es 13, 11-16 / Dt 6, 4-9 e 11 / Dt 6, 13-21,
che vengono posti sulla fronte e sul braccio sinistro
all’altezza del cuore e fissati tramite delle cinghiette
anch’esse di cuoio nero. Vengono usati per la preghiera nei
giorni feriali - ndr) |
Tornando
all'affermazione (anche qui sorge discussione se sia un'affermazione tout
court o non contenga, implicito, un comando) "Io sono il Signore
tuo Dio", Nachmanide dice che essa fa pensare che Dio esiste, crea il
mondo ex nihilo e agisce nella storia, libera Israele chiamandolo a un
sacerdozio particolare. Non a caso si estraggono dalla Torah 620
precetti, in apparente contrasto con i 613 riservati al popolo ebraico; ma
in effetti, oltre a questi, comprendono anche i 7 precetti noachidi
riservati al resto dell'umanità tutta.
Viene infine
richiamato un midrash, secondo il quale "io - anochì"
è una parola egiziana. Dio si esprime sia attraverso allusioni che
attraverso messaggi chiari: l'Egitto viene chiamato anche Beit ha vadim
- "casa degli schiavi"; quindi Dio parla la lingua del paese
degli schiavi per farsi comprendere e perché la schiavitù non è perenne, il negativo si
trasforma in positivo, anche se sei in quel luogo e conosci solo quella
lingua, puoi uscirne. Messaggio potente... pronunciato con convinzione e
solennità, che provoca un attimo di sospensione nell'uditorio, prima
dello scrosciante applauso finale.
Conclude il Vescovo
Fisichella, dando appuntamento per l'anno prossimo - ormai si tratta di un
evento istituzionalizzato e fortemente atteso - nella nuova Aula Magna in
corso di allestimento.
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[Fonte: Le nostre Radici 18 gennaio
2006]
[Testi
integrali degli interventi]