I Rabbini capo di Israele 
invitano Benedetto XVI a Gerusalemme

I rapporti fra Chiesa cattolica, religione e stato ebraici sono ormai a un punto maturo anche per gli ebrei ortodossi, che in passato consideravano il cristianesimo un’idolatria politeista. Ma è necessario conversare con la società ebraica d’Israele, che comprende anche i “non credenti” e i “laici”. È urgente far crescere un “soggetto ecclesiale di espressione ebraica”, attento a tutte le componenti della popolazione. Il Padre Jaeger, francescano, cittadino israeliano di nazionalità ebraica, riflette sul dialogo all'indomani dell'udienza concessa dal papa ai Rabbini Capi di Israele.

Il Papa considera questa visita come un ulteriore passo nei rapporti reciproci

Giovedì 15 settembre, i due Rabbini capo di Israele, Shlomo Moshe Amar (sefardita) e Yona Metzger (askenazita), hanno invitato Benedetto XVI a visitare Gerusalemme, durante una udienza privata concessa loro dal Papa nella residenza pontificia di Castel Gandolfo.

Nel riceverli il Santo Padre ha detto che considerava la “visita un ulteriore passo nel processo di approfondimento dei rapporti religiosi tra cattolici ed ebrei”, hanno riferito i due Rabbini in una conferenza stampa tenutasi all'aeroporto di Ciampino prima di partire alla volta di Milano per la cerimonia di insediamento del neo Rabbino capo della città, Alfonso Arbib, 47 anni.

L’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oded Ben Hur, presente all’incontro con i giornalisti, ha rivelato che l’udienza è durata “fra i 40 e i 45 minuti” e che è stata “molto intima e molto calda”.

I due Rabbini hanno inoltre chiesto al Papa di proclamare il 28 ottobre, data della pubblicazione della Dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate” del 1965, che segnò un passo in avanti decisivo nelle relazioni fra cattolici ed ebrei, come giorno dedicato all’insegnamento di questo documento e alla lotta contro l’antisemitismo nel mondo cattolico. E proprio il 28 ottobre, se il Papa acconsentirà alla richiesta, potrebbe essere la data di una giornata che la Chiesa cattolica dedica alla condanna dell'antisemitismo. «Un ulteriore passo nel processo di costruzione di più profonde relazioni tra cattolici ed ebrei, un corso che ha ricevuto un nuovo impulso ed energia dalla Nostra Aetate e dalle molte forme di contatto, dialogo e cooperazione che hanno la loro origine nei principi e nello spirito del documento». 

“Il Papa ci ha detto che farà in modo di rispondere in maniera positiva ad almeno una parte di queste richieste”, ha rivelato Oded Ben Hur.

Durante il suo viaggio a Colonia (Germania) nello scorso mese di agosto, Benedetto XVI aveva visitato l’antica Sinagoga della città divenendo in questo modo il secondo Papa a mettere piede in un tempio ebraico, dopo la storica visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma del 13 aprile 1986.
Meno di un mese dopo l' evento di Colonia, il Papa ha così potuto aggiungere una nuova pagina al dialogo tra Chiesa ed ebraismo.

Benedetto XVI ha richiamato alla memoria l’inizio della svolta nei rapporti tra mondo cattolico e mondo ebraico maturati con il Vaticano II, in particolare con la “pietra miliare” della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, al centro di numerose commemorazioni per il 40.mo di promulgazione. Oggi, ha affermato il Papa, “dobbiamo continuare a cercare strade” per adempiere alla responsabilità della riconciliazione. Un tema che il Pontefice aveva affrontato anche a Colonia consegnando ai giovani, ha ricordato stamani, “la torcia della speranza che Dio ha dato sia ai cristiani sia agli ebrei”. Il valore simbolico di questo gesto, ha proseguito Benedetto XVI, vuole sottolineare “che mai più le forze del male possano conquistare il potere e che le generazioni future, con l’aiuto di Dio, possano essere capaci di costruire un mondo più giusto e pacifico, in cui tutti i popoli hanno uguali diritti e si sentano a casa loro”.

Il Papa ha poi spostato il discorso sulla Terra Santa: il Paese “considerato ‘santo’ da ebrei, cristiani e musulmani”. Purtroppo, ha osservato Benedetto XVI, “troppo spesso la nostra attenzione si rivolge ad atti di violenza e terrore, e questo è fonte di immensa tristezza per tutti quelli che ci vivono”. E qui il Papa ha espresso una convinzione, figlia di una ormai lunga tradizione di dialogo. “Dobbiamo continuare – ha asserito - ad insistere sul fatto che le religioni e la pace vanno di pari passo, perché la fede religiosa e la sua pratica non possono essere separate dalla difesa dell’immagine di Dio in ogni essere umano”. Spontaneo il pensiero di Benedetto XVI per le comunità cristiane di Terra Santa, da lui definite “presenza e testimonianza vivente fin dagli albori della cristianità e attraverso tutte le vicissitudini della storia. Oggi, questi fratelli e sorelle nella fede si trovano di fronte a sfide sempre nuove”.

La parte finale del saluto alle due personalità ebraiche è stata riservata dal Papa ad un commento sull’attuale situazione diplomatica tra Santa Sede e Stato d’Israele. “Siamo lieti”, ha notato Benedetto XVI, che tali rapporti “si siano attestati su forme di cooperazione più solide e stabili”, tuttavia, ha soggiunto, “rimaniamo in attesa dell’adempimento dell' Accordo Fondamentale su questioni ancora aperte”. “Cari Rabbini capo – ha concluso il Papa - in quanto leader religiosi, stiamo davanti a Dio con una grande responsabilità, quella dell’insegnamento che diamo e delle decisioni che prendiamo. Il Signore ci assiste al servizio della grande causa della promozione della sacralità della vita umana e della tutela della dignità di ciascuna persona umana, affinché la giustizia e la pace possano fiorire nel mondo”.

Da AsiaNews, il punto di vista di Gerusalemme                      torna su

L'udienza concessa dal Papa ai Rabbini Capi di Israele ieri 15 settembre è stata vista quasi come una "routine". Ciò è segno dell'avvenuta normalizzazione nei rapporti religiosi tra la Chiesa Cattolica e l'ebraismo. Un incontro come quello di ieri non è più "un avvenimento storico" - come lo si sarebbe definito in passato - ma un appuntamento che si inserisce naturalmente nel contesto dell'oramai avanzato dialogo inter-religioso con le collettività ebraiche del mondo. Fra queste, quella dello Stato di Israele occupa il primo posto.

Tradizionalmente la Santa Sede ha sempre voluto distinguere nettamente tra i rapporti religiosi con l'ebraismo e i rapporti di altra natura - diplomatica e giuridica - con lo Stato di Israele. Oggi però questa distinzione non si può più mantenere con lo stesso rigore. Ormai sembra che la maggioranza degli ebrei nel mondo si trova proprio in Israele. E in Israele i Rabbini Capi sono comunque funzionari dello Stato. La loro è essenzialmente una carica creata dalla legislazione dello Stato e fatta inserire nel servizio pubblico. Essi appartengono sempre alla corrente "ortodossa" dell'ebraismo, il che rende ancora più significativo il loro desiderio di essere ricevuti dal Papa. Fino a tempi recenti il loro ambiente avrebbe ritenuto illecito un tale incontro con il capo di una religione vista da molti ebrei ortodossi come una forma di idolatria politeista. In occasione di una precedente visita in Vaticano, un capo dell'ebraismo ortodosso in Israele aveva dovuto giustificarsi davanti ai correligionari dicendo che si era recato dal papa soltanto "per salvare vite ebraiche". Egli infatti ha chiesto l'intervento umanitario della Santa Sede per riportare a casa alcuni militari israeliani spariti molti anni prima in Libano.

Che ora i Rabbini Capi abbiano voluto "videre Petrum" è segno indiscutibile del progresso compiuto nei rapporti, merito soprattutto del papa stesso e del suo indimenticabile predecessore immediato. Nei loro discorsi e nei loro insegnamenti essi hanno entrambi riservato grande, grandissima attenzione al dialogo con l'ebraismo.

Ma il dialogo non si può, non si deve fermare lì. Oltre al dialogo specificamente inter-religioso con i rabbini, si impone un dialogo più vasto con il popolo ebraico: la grande maggioranza di esso non segue l'ortodossia religiosa, essendo - in Israele - o "non credente" o almeno "non praticante", e in ogni caso "laica".

Qui diviene necessario non un dialogo istituzionale, tra vertici, ma un dialogo "largo" con gli esponenti, i protagonisti, i componenti della "società civile”, della cultura, del mondo del lavoro, e così via. Per portarlo avanti, in Israele, si richiede la presenza, ben inserita nella società, di un soggetto ecclesiale adatto, visibile, che abbia la capacità e la voglia di intraprendere una conversazione con la società ebraica in Israele. Tutto ciò per manifestare le ricchezze del pensiero, della civiltà cristiana e nello stesso tempo mostrarsi aperto ed essere correttamente arricchito anch'esso dal confronto con i genuini valori sviluppati e custoditi anche dalle espressione "laiche" della Nazione ebraica rinata nella patria storica.

Questo soggetto ecclesiale "di espressione ebraica" - visibile, libero e effettivo - è ancora tutto da costruire. Ecco la prossima sfida, il prossimo impegno della Chiesa sulla strada del dialogo con il popolo ebraico.


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