Eppure l'iniziatore delle
associazioni di amicizia ebraico-cristiana, l'uomo che, dopo lo sterminio, si è
proposto come fine della propria sopravvivenza attivare questo dialogo è stato
Jules Isaac, un uomo che aveva perduto nei lager la moglie e la figlia e che nel
suo libro L'insegnamento del disprezzo fa risalire chiaramente la
responsabilità degli eccidi ebrei all'insegnamento diffuso nei secoli dalle
chiese cristiane, ai pregiudizi e stereotipi creati da loro e da molti dei loro
santi.
Jules Isaac era uno
storico e aveva capito che alla base di tanto orrore e negazione sta l'ignoranza
spontanea e voluta; che l'ignoranza voluta è tergiversazione e malafede, e che
è proprio questo che deve essere attaccato.
Con questo breve
chiarimento si può adesso tentare di rispondere alla domanda che molti si fanno
sul motivo e sull'eventuale utilità del dialogo ebraico-cristiano.
Ho ricordato l'esempio di
Jules Isaac che è l'esempio chiave. Il mio è molto più modesto e meno
drammatico, ma può essere indicativo perché facilmente riferibile ai più.
Appartengo alla generazione che ha assistito allo sterminio ed alla creazione
dello Stato d'Israele. Sono riuscita a fuggire dall'Europa in tempo per non
essere coinvolta nella deportazione dall'Italia; ma il mio allora giovanile
impegno con l'ebraismo e con il sionismo mi mantenne, anche lontano, in
un'attività febbrile ed a volte disperata.
Alla fine della guerra di fronte
alle notizie, ai lutti di ognuno di noi, ai dolori di ogni famiglia ebrea di
Europa, sorse in me, come in molti altri un nuovo pensiero; nella mia mente
cominciarono a risuonare due brevi parole: mai più. Un concetto simile nel
momento che nasce richiede in risposta un'azione. Non si può restare tranquilli
sperando ed aspettando che Dio aiuti.
Dopo Auschwitz erano e sono troppi gli
interrogativi in ognuno di noi su Dio e sull'aiuto dall'esterno. La risposta che
mi diedi allora fu, senza saperlo, la stessa che si era data Jules Isaac.
Bisognava risalire all'origine del male, e la radice per me come credo per molti
di noi è nella malevola diffusione di pregiudizi, di falsi storici, di
deviazioni che sono partiti e continuano a partire dalle chiese cristiane.
Il
nostro dovere allora di fronte a noi stessi, ai nostri figli, alla nostra
sopravvivenza è smascherare questa cattiva volontà degli altri, è far
conoscere quale è la verità storica e quale è la realtà della nostra identità
ebraica. Far capire che non siamo demoni come hanno voluto far credere; che le
nostre sinagoghe non sono luoghi di perdizione, ma centri di preghiere e di
studio; costringendoli a rivedere la loro teologia perché contrariamente a
quanto hanno asserito per secoli, noi continuiamo a vivere come il popolo che
Dio ha amato ed ama, e che è per testimoniare la nostra fede in Lui che abbiamo
sofferto le peggiori persecuzioni.
Per fare capire questo
dobbiamo accettare di dialogare, dobbiamo avvicinarci a spiegare; non stancarci
di spiegare. Prendere un salmo, leggerlo con loro e far capire che è stato
scritto da ebrei per ebrei, prima che per gli altri; far capire anche come fa D.
Flusser — che Gesù non è uscito dal seminato ebraico e che sicuramente non
si riconoscerebbe nelle chiese di oggi ma nemmeno in quelle del II e III secolo.
Forse se riusciremo a
farci conoscere per quello che siamo nella nostra realtà: senza coda, amanti
del denaro quanto tutti gli altri esseri umani, meno sporchi degli altri, non
fosse che per le nostre regole di purità, non vendicativi come abbiamo
dimostrato nei secoli ed ancora oggi dopo la Shoà, studiosi, applicati amanti
della pace e soprattutto fedeli alla nostra ebraicità, forse allora cadrà
qualche pregiudizio, migliorerà l'opinione sul singolo e sulla collettività, e
quella che oggi è una persona di coscienza di qualche eletto cristiano potrà
diffondersi e gli errori potranno attenuarsi. Sarà un lavoro lungo, forse di
generazioni, ma credo che sia uno sforzo che dobbiamo a noi stessi come ebrei.
Spesso chi lavora in
questo dialogo si sente scoraggiato e avvilito, ma le difficoltà non ci debbono
far abbandonare la lotta. Se ci scoraggiamo perché a volte si continuano ad ignorare gli stessi documenti della Chiesa, ricordiamo che
il Papa ha anche attuato la visita alla sinagoga di Roma in atto di riconciliazione, e
che questa visita in tutta la sua spettacolarità è stata trasmessa e vista in
tutto il mondo cristiano e non. [*]
Per portare avanti un
cammino di relazioni così difficili la costanza non deve abbandonarci, ma
soprattutto è necessario conoscere bene noi stessi. Se l'ebreo non ha chiara in
sé — per sé e per gli altri — la propria identità, il significato
intrinseco del suo essere ebreo, non può affrontare il compito del dialogo. [**]
Per
questo il primo impegno è imparare ad essere veramente e sanamente ebrei, e poi
dialogare senza timore con chiunque altro, cristiano e non. Se riusciremo a
farci conoscere per quello che siamo in realtà forse riusciremo un giorno a
distruggere l'antisemitismo.
[*] Oggi la
nostra coscienza di credenti e la nostra storia sono arricchiti dalla visita del
Papa in Terrasanta e dagli altri suoi gesti di
riconciliazione ed anche dalla dabru
emet, da parte ebraica. Il dialogo e la buona volontà stanno dando i loro
frutti...
[**] Lo
stesso vale per ogni cristiano e per qualunque uomo, che se non ha chiara la
propria identità non è capace di dialogo, che deriva
dal verbo dialeghein,
"discutere", e non significa "parlare a due", come
superficialmente si potrebbe essere portati a credere, ma partecipare a un colloquio o a una discussione, con due o più
persone, allo scopo di procedere insieme verso il logos,
dia-logos, verso la verità. Dunque ogni dialogo
presuppone un cammino in avanti.
[note della
redattrice]
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