L'umanista Lévinas
Élodie Maurot, su Avvenire 6 giugno 2006
Catherine Chalier
rilegge l'opera del filosofo a cent'anni dalla nascita:
«Nell'apertura all'Altro l'etica va oltre tutti i relativismi». «C’è
un punto della nostra psiche alleato al bene che si sveglia davanti
alla fragilità del volto altrui Non è un solido fondamento ma una
vulnerabilità a orientarci verso l’altro, fonte di speranza»
A cent'anni dalla nascita di Emmanuel Lévinas, il
filosofo ebreo che fu testimone dell'orrore nazista, affrontiamo
l'attualità del suo pensiero con Catherine Chalier, sua allieva e
insegnante di Filosofia all'università di Nanterre-Paris X.
In che misura l'orrore nazista ha segnato la
filosofia di Lévinas?
«Lévinas studiò filosofia in Germania con
Heidegger. Là è stato testimone dell'ascesa del nazismo. Più tardi
parlerà della "continua disperazione" in cui viveva in quegli
anni. I suoi scritti prima della guerra sono segnati dal presentimento
dell'orrore incombente. Dopo la guerra, la sua filosofia è intrisa del
ricordo dell'orrore nazista. Un ricordo che non era meramente
intellettuale, poiché egli è stato prigioniero di guerra per cinque
anni e tutta la sua famiglia ebrea, rimasta in Lituania, fu
assassinata».
Come inciderà tale prova sul lavoro filosofico?
«Penso che ciò che ha consentito alla sua filosofia
di non cedere alla disperazione sia il fatto che essa evita sempre di
accusare qualcun altro della sofferenza subita. È una filosofia che si
è spinta molto più lontano della disperazione, costretta e forzata
dalla storia e dalla tragedia, ma è anche una filosofia che trasmette
un pensiero esigente verso se stesso. Un pensiero centrato sull'idea di
responsabilità per l'altro e di giustizia per tutti gli altri».
Al centro c'è la figura dell'altro e la scoperta che
l'etica è «la filosofia prima». In che modo ciò costituisce una
rottura?
«La domanda per eccellenza della filosofia è
"cos'è?": una domanda che verte sull'essere, sull'essenza
delle cose, che affronta la conoscenza. Senza rinunciare a tale domanda,
il gesto filosofico di Lévinas è di subordinarla a un altro
interrogativo: quello del mio rapporto con l'altro, della mia risposta
al suo richiamo».
Com'è stata accolta la sua opera filosofica?
«In Francia pochi si sono interessati a lui prima
della fine degli anni Settanta. Jacques Derrida è stat o fra i primi.
Lévinas ha cominciato a insegnare tardi, dopo la tesi di dottorato del
1961, Totalità e infinito. Era attento a cosa succedeva in
filosofia e, in particolare, alla corrente antiumanista legata a
Foucault, Lacan e Lévi-Strauss. L'umanesimo dell'altro uomo, del
1972, è una risposta a quella corrente».
Come risponde alla crisi dell'umanesimo?
«Lévinas accetta la sfida della sconfitta del
soggetto, segnato dall'inconscio, da parte del linguaggio che s'impone
su di lui e della relatività delle culture. Prova a cercare in modo
ancora più profondo una dimensione dell'umano che sopravviva al
naufragio dell'umanesimo classico. E scopre un punto del nostro
psichismo che è alleato al bene e che può svegliarsi davanti alla
fragilità del volto altrui. Non è un solido fondamento, bensì una
vulnerabilità, a orientarci verso l'altro. È una fonte di speranza».
Lévinas parla dell'altro e dell'Altro. Come si pone
la questione della religione e di Dio?
«Lévinas non usa molto il termine religione. Ne
parla come di un legame che si stabilisce tra il medesimo e l'altro,
senza costituire una totalità. È un legame sempre aperto, sia
all'altro sia a Dio».
Ebreo devoto, praticante, è anche molto critico
verso la religione.
«Ha parole severe su come le religioni si servono di
Dio per l'uomo: un Dio per consolarmi, per rispondere alle mie
aspettative, per ricompensarmi, anche per punirmi. Lévinas chiama
questo il "Dio economico". Di contro, difende una religione da
adulti consapevole che Dio non è lì per rispondere ai miei bisogni.
Per lui, il Dio della Bibbia corre il rischio dell'ateismo, inteso
positivamente come la possibilità per l'uomo di cercare Dio "da
lontano", senza farne l'oggetto di un bisogno. Al contrario, il
pensiero di Dio viene a scavare in me una mancanza che non gli
preesiste».
«Dio è quando un uomo aiuta un altro», scrive
Lévinas. Come lega la questione di Dio all'etica?
«Quando un uomo risponde al volto altrui che lo
cerca, quando risponde "Eccomi" alla richiesta dell'altro,
allora in quell'istante Dio "viene" in mente, dice Lévinas.
"Venire" è quello che conta, poiché è un avvenimento, una
discesa. Il cammino verso Dio non prescinde mai da questa riposta
all'altro».
Come va letta la sua opera, oggi?
«Certi lettori filosofi ritengono che la dimensione
ebraica dei suoi scritti non vada considerata filosofia. Gli
rimproverano di fare della teologia, accusa che Lévinas ha sempre
respinto. Altri fanno una lettura opposta e vogliono appropriarsi di
Lévinas dal lato dell'ebraismo, ritenendo che si sia sviato facendo
filosofia. C'è infine un modo di leggere Lévinas che trovo più
pertinente: pensare la sua opera nella tensione tra due fonti, quella
greca della filosofia e quella ebraica delle Scritture. In Totalità
e infinito egli parla di una "doppia fedeltà", ai profeti
e ai filosofi. In tal senso, la sua opera è eccezionale».
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[Tratto dal quotidiano "La Croix"
traduzione di Anna Maria Brogi]
v.anche
E.
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umane
Emmanuel Lévinas,
Monoteismi: le tre religioni più unite che divise
Emmanuel
Lévinas si esprime sul cristianesimo
Per le strade di
Atene e Gerusalemme. Biografia di Lévinas di Salomon Malka