L'etica non è fatta di regole ma di attenzione alle realtà umane: è il messaggio di Levinas 
Julia Urabayen, Pamplona 16 agosto 2005

Julia Urabayen, dottore in filosofia presso l’Università di Navarra, ha studiato le radici dell’umanesimo di Emmanuel Levinas (1906-1995), uno dei maggiori filosofi del secolo XX, ebreo lituano che ha vissuto in Francia e Germania, e che ha sofferto l’Olocausto.

Autrice del volume intitolato “Las raíces del humanismo de Levinas: el judaísmo y la fenomenología”, edito da Ediciones Eunsa, in cui illustra la concezione dell’etica in Levinas, la Urabayen in questa intervista concessa a ZENIT ricorda che “il suo messaggio etico potrebbe essere riassunto nel riconoscimento della dignità umana che si rende manifesta nel volto vulnerabile dell’essere umano, specialmente delle persone più indifese (le vedove, gli orfani e gli stranieri)”.

Julia Urabayen afferma che Levinas amava definirsi un “ebreo cattolico” e parla dell’impronta lasciata da questo filosofo nel pensiero cristiano, e in particolare in quello di Karol Wojtyla.

Da dove nasce l’originalità di Levinas?

Urabayen: La filosofia di Levinas origina da un pensiero personale nel quale confluiscono diverse tradizioni e culture – l’ebraismo lituano, intellettualista e non mistico; la letteratura russa; la filosofia francese, in particolare quella di Bergson; la fenomenologia di Husserl e Heidegger – che si integrano tra loro in una unità elaborata grazie alla sua riflessione e la sua personale esperienza di vita, segnata molto dalla Seconda Guerra Mondiale e dai campi di concentramento.

Cosa si intende per “umanesimo dell’altro”?

Urabayen: In un momento di grave crisi relativa alla persona e alla sua concezione filosofica, nasce il dibattito sull’umanesimo, in cui primeggiano le figure di Sartre e Heidegger, e la risposta strutturalista che proclama la morte dell’uomo e l’antiumanesimo.

Levinas, da parte sua, elabora una profonda critica ai precedenti umanesimi, per la loro insufficienza nel definire e proteggere l’essere umano, come è risultato evidente nella barbarie nazista, e propone di decentrare il soggetto per intenderlo come accoglienza ed eteronomia.

Con la prevalenza dell’aspetto etico dell’essere umano, l’altro viene sempre prima dell’io e sul suo volto è impresso il precetto di “non uccidere”. In questo ambito si collocano gli elementi chiave dell’umanesimo dell’altro: l’accoglienza, la responsabilità, la dipendenza, la colpa…

Levinas è un ebreo filosofo o un filosofo dell’ebraismo?

Urabayen: Levinas è un ebreo filosofo e anche un filosofo dell’ebraismo. Il pensatore lituano non ha mai vissuto una rottura tra la sua religione e la filosofia. Ha vissuto il passaggio dall’una all’altra come un qualcosa di naturale, in quanto entrambi tentano di comprendere e interpretare il senso della verità. Inoltre, la filosofia ha bisogno di un suolo fecondo, che nel caso di Levinas era rappresentato dal giudaismo.

Le verità di questa religione si ritrovano alla radice della sua filosofia e sono la linfa di cui si nutre, ma esse sono accolte e giustificate in modo razionale. D’altra parte, Levinas si è dedicato, anche se tardivamente, allo studio del Talmud. Esiste infatti un ampio gruppo di opere che sono una riflessione filosofica sull’ebraismo e sul senso di questa religione.

Si tratta di opere di carattere confessionale che egli ha fatto pubblicare da un’altra casa editrice, rispetto a quella che ha pubblicato le sue opere filosofiche, al fine di evidenziarne la diversità di genere. Ciò nonostante, entrambe le dimensioni sono profondamente unite nella sua persona e nel suo pensiero.

Quale sarebbe la sua proposta etica, e in che senso essa sarebbe universale?

Urabayen: Per Levinas, come per quasi tutti i filosofi contemporanei, l’etica non è fatta solo di regole o direttive, ma anche di attenzione alle realtà umane, specialmente alle azioni e alla responsabilità di ogni essere libero.

Il suo messaggio etico potrebbe essere riassunto nel riconoscimento della dignità umana che si rende manifesta nel volto vulnerabile dell’essere umano, specialmente delle persone più indifese (le vedove, gli orfani e gli stranieri), di fronte al quale non si può esercitare né potere, né violenza. È un’etica universale poiché, porsi di fronte all’altro è un’esperienza umana che non dipende da alcuna cultura o forma sociale; è semplicemente propria dell’essere umano.

Giovanni Paolo II ha parlato in più di un’occasione di Levinas: in che senso il suo pensiero impregna il cattolicesimo?

Urabayen: Giovanni Paolo II ha citato Levinas in diverse occasioni e conosceva bene il suo pensiero, come anche quello di altri filosofi che potrebbero essere considerati personalisti, in quanto nelle sue riflessioni filosofiche si scorge un’attenta preoccupazione per l’essere personale e per la difesa della dignità umana.

Il pensiero di Levinas, come quello di ogni filosofo, deve essere letto in prospettiva alla sua universalità e alla verità che esso tenta di rendere manifesta. In questo senso esso può essere accolto da persone appartenenti a culture e religioni diverse rispetto a quelle dell’autore che l’ha originato.

La filosofia di Levinas è sempre più presente nell’ambito della filosofia cristiana e il suo pensiero è sempre più conosciuto. Nelle opere di Levinas appaiono alcune riflessioni sul rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Tra i diversi elementi, Levinas ha messo in evidenza la necessità della reciproca comprensione, pur mantenendo le loro differenze essenziali. Ma la sua prossimità al cattolicesimo è stata tale che egli è arrivato al punto di considerare se stesso come “un ebreo cattolico”.
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[Fonte: Zenit.org 16 agosto 2005]

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