Emmanuel Lévinas si esprime sul cristianesimo *
Vorrei, in modo semplice, raccontare come, nel corso degli anni, la mia personale attitudine riguardo al cristianesimo ha subito un certo cambiamento, precisamente grazie alla lettura di Franz Rosenzweig.(1) Ho avvicinato il tema per la prima volta, come per caso, nell'angolo di un salotto, con un amico, il poeta Claude Vigeé. Ai suoi occhi ci fu una sorta di confessione di fede. Una professione di fede che impegna soltanto chi vi sta parlando. Noi Ebrei conserviamo ognuno la propria libertà di espressione; non abbiamo, nonostante la stabilità della Legge, orientamenti che sarebbero dettati dalla Sinagoga. Né obbligatori e nemmeno ufficiali. Ognuno è, perciò, in un certo senso, libero di dichiarare i suoi "eventi interiori". È con questo spirito che vorrei raccontare qui quanto dissi per la prima volta a un amico. Nella mia infanzia - tre quarti di secolo fa - il cristianesimo mi parlava come un mondo completamente chiuso da cui, come ebreo, non potevo aspettarmi niente di buono. Le prime pagine di storia del cristianesimo che ho potuto leggere raccontavano l'Inquisizione. Avevo già otto o nove anni quando appresi la sofferenza dei marrani in Spagna. Un poco più tardi ci fu la decisiva lettura della storia delle Crociate. Da bambino vivevo in un paese in cui non c'era alcun contatto sociale tra ebrei e cristiani. Sono nato in Lituania, un bel paese con belle foreste e brave persone molto cattoliche, ma dove non ci si frequentava tra ebrei e cristiani se non per motivi puramente economici. Più tardi lessi il
Vangelo. Penso che quella lettura, che non mi contrariava più, sottolinei
un'antitesi. La rappresentazione e la dottrina dell'uomo che vi trovavo mi
sembravano sempre vicine. Più tardi, dopo aver appreso i concetti teologici di transustanziazione e di eucarestia, mi dicevo che la vera eucarestia era nell'incontro con altri piuttosto che nel pane e nel vino, e che è in questo incontro che risiedeva la presenza personale di Dio; e tutto questo l'avevo già letto nell'Antico Testamento, al capitolo 58 di Isaia. Il senso era lo stesso: uomini già "spiritualmente raffinati" che vogliono vedere il volto di Dio e godere della sua prossimità vedranno il suo volto solo quando avranno affrancato i loro schiavi e nutrito quanti hanno fame. Questa l'antitesi. E, mi permetto di dire, questa fu anche la comprensione della figura di Cristo. Quanto rimaneva incomprensibile non era tale figura, ma la teologia realista che la circondava. L'intero dramma del suo mistero teologico rimaneva inintelligibile. Ed è ancora così, nonostante concetti come la Kenosi di Dio, l'umiltà della sua presenza sulla terra, siano così vicini alla sensibilità giudaica con tutto il vigore del loro senso spirituale. Ma non è tutto. La cosa peggiore era che tutti quegli atti spaventosi dell'Inquisizione e delle Crociate erano legati al segno di Cristo: la Croce. Tutto ciò sembrava incomprensibile e richiedeva una spiegazione. Qui l'essenziale: cristiana, l'Europa non poteva fare nulla per
raddrizzare le cose. È la prima cosa che devo dire. E rimane sempre molto viva
in me; la lettura del Vangelo è sempre stata compromessa, ai miei occhi - ai
nostri occhi - dalla Storia. Giunge allora ciò che voi chiamate Olocausto e noi
Shoah. Qui esplosero due evidenze. Innanzitutto il fatto che tutti coloro che
parteciparono alla Shoah avevano ricevuto nella loro infanzia il battesimo
cattolico o protestante: non vi trovarono alcun divieto! Seconda cosa, molto
importante: è in questo tempo che mi si mostrò chiaramente ciò che voi
chiamate carità e misericordia. Devo la vita della mia piccola famiglia a un monastero in cui mia moglie e mia figlia furono salvate. Sua madre era stata deportata, ma mia moglie e mia figlia trovarono rifugio e protezione presso le suore di San Vincenzo de' Paoli. Quanto devo loro oltrepassa la gratitudine e la riconoscenza va molto più lontano. La cosa più importante, in quel periodo, era la possibilità di parlare con qualcuno. Ma tutto ciò è, in fin dei conti, sentimentalismo. Già prima della guerra
leggendo Rosenzweig ho conosciuto la sua tesi sulla possibilità filosofica di
pensare la verità come apertura verso due forme: l'ebraica e la cristiana.
Posizione straordinaria: il pensiero non procede verso il suo compimento
attraverso una sola via. La verità metafisica sarebbe possibile essenzialmente
attraverso due espressioni. Non sempre sono d'accordo con tutte le articolazioni
del sistema Rosenzweig. Non credo che le articolazioni, così come le sviluppa,
siano valide definitivamente. Ho capito il
cristianesimo nel suo "vivere e morire per tutti gli uomini". I
cristiani attribuiscono molta importanza a quanto chiamano fede, mistero,
sacramento. A tale riguardo, vi racconto una piccola storia: Hannah
Arendt, qualche tempo prima della sua morte, raccontava alla radio francese
che quando era bambina, nella sua città natale Königsberg, un giorno disse al
rabbino che le insegnava religione: "Ho perduto la fede". E il rabbino
le rispose: "Chi ve la chiede?". * Roma, 12 settembre 2000 (CIP) ___________________ Articolo originale : Emmanuel Lévinas, « Judaisme et christianisme », in Zeitgewinn, Joseph Knecht Verlag, 1987. Ripreso in E. Lévinas, À l’Heure des Nations, Paris, Ed.de Minuit, 1988. | home | | inizio pagina | |