Desideriamo che il nostro lavoro possa servire ad aiutare molti nel rispondere ad interrogativi che generalmente purtroppo noi cristiani non ci poniamo abbastanza ed anche a destare la consapevolezza che nella Chiesa di oggi è ancora viva l'impronta del mondo in cui Gesù ha vissuto nella sua vita terrena e che negli atti della nostra vita di credenti possiamo riconoscere il riflesso, anche formale, dell'ambiente religioso in cui Gesù ha predicato, ha agito, è vissuto. È nutrimento profondo per la nostra fede scoprire lo sfondo cultuale in cui ha risuonato il suo annuncio che la salvezza era - come è - presente, « oggi » nella sua Persona. Infatti l'atto supremo del suo amore si è inserito in un contesto cultuale preesistente di cui era - ed è - degna corona. Gesù, nel Vangelo, appare circondato da ebrei di ogni genere; fra essi, anche i tanto deprecati scribi e farisei ascoltano la sua parola e non sono pochi quelli che l'accolgono. Gesù parla la loro lingua e condivide la loro "visione del mondo" a tal punto che, se noi non conosciamo, almeno con minore approssimazione, il complesso di idee e di tradizioni vivo nella mente dell'ebreo di quel tempo e ancor vivo e custodito da quello di oggi, infinite ricchezze della parola del Signore sono per noi perdute irrimediabilmente. Le prime folle che fanno ressa intorno a Gesù sono costituite da ebrei ed è innegabile che essi hanno anche una parte preponderante nella Chiesa primitiva. L'antica eloquenza distingueva tra Ebrei Cristiani e Cristiani Gentili. Possiamo reperire tracce di ciò nel vecchio mosaico romano di S. Sabina (422-430 A.D.). Infatti nel gran mare della Chiesa ex gentibus si distingue, per lungo tempo, un filone che conserva caratteristiche giudaiche: la Chiesa ex circumcisione; fra queste caratteristiche risulta particolarmente evidente l'uso dei « segni », cioè l'uso di concretizzare in una raffigurazione materiale quel « mistero », che per sua natura trascende ogni materializzazione. Si tratta di un metodo, il cui valore si va ora vieppiù riscoprendo, proprio della Chiesa giudeo-cristiana; ma scopriamo anche come la nostra Chiesa lo ha fatto suo nella liturgia. Purtroppo si può correre il rischio di perdere il significato profondo ed autentico di celebrazioni che, quando non sono disertate a causa dell'indifferenza, più che partecipate, sono in molti casi scadute ad abitudini e ridotte a sterili ritualismi; il che vanifica anche, di conseguenza, la loro valenza salvifica e "poietica". Approfondiremo ulteriormente questo punto così emozionante e significativo; intanto un piccolo contributo è dato in "Banchetto Pasquale Ebraico ed Ultima Cena" e in "Banchetto Pasquale ed antiche anafore Cristiane" ed in altri documenti presenti su questo sito, che sottolineano ed approfondiscono la continuità e la novità insieme dell'insegnamento di Gesù. Nella letteratura patristica e in quella rabbinica, nella quale riconosciamo il riflesso delle affinità tra il parlare di Gesù e quello dei Rabbini, possiamo cogliere spunti comuni; i Padri della Chiesa erano ben consapevoli che per comprendere a pieno l'insegnamento di Gesù era necessario conoscere l'ambiente in cui egli era vissuto, e non disdegnavano di farsi scolari dei Rabbini, per penetrare in quel mondo che il Figlio di Dio aveva scelto in modo particolare perché fosse il suo mondo. Gesù ha scelto la Sinagoga per annunciare ritualmente il suo messaggio (1), trovandovi evidentemente l'ambiente, materiale e morale, adatto. La Chiesa non ha dimenticato questo fatto e ne conserva il ricordo anche nella struttura architettonica delle sue antiche basiliche (2); fino ad oggi la Liturgia della Parola e lo svolgimento dell'anno liturgico cristiano presentano numerosi punti di contatto con il culto giudaico, così che succede che talvolta il cristiano e l'ebreo ascoltino nello stesso periodo l'annuncio degli stessi brani della Parola di Dio, e spesso rispondano ad essa, nella preghiera, con formule simili. Questo studio fa parte, in particolare, dei nostri approfondimenti, di cui vi renderemo via via partecipi. E infine, pensiamo a come Gesù ha inserito nel quadro della liturgia giudaica anche l'atto supremo della sua vita terrena: Gesù muore - secondo il Vangelo di Giovanni - nell'ora in cui nel Tempio si immolavano gli agnelli pasquali, e l'anticipazione sacramentale del suo sacrificio, l'Ultima Cena, non si può separare dal contesto liturgico della pasqua degli ebrei. Con la sua morte e risurrezione, Gesù porta al momento culminante quella lunga storia delle gesta di Dio a favore del Suo popolo, che gli ebrei commemorano e attualizzano nel rito pasquale; la liturgia eucaristica cristiana, lungo i secoli e ancor oggi qua e là nel mondo, commemora la storia della salvezza d'Israele, che è diventata salvezza di tutti gli uomini, celebrandone la realizzazione completa nel Sacrificio della Messa; e mentre l'ebreo, nel rito pasquale, si volge all'invocazione di Colui che deve venire « nel Nome del Signore », il cristiano ne adora la presenza e ne invoca nello stesso tempo il secondo glorioso avvento. Dobbiamo anche tener conto che nel contesto ebraico, la celebrazione dell'Ultima Cena da parte di Gesù, poteva esser vista come la celebrazione di un sacrificio Todà (di Lode) celebrato da chi alzava - insieme ai suoi familiari - il "calice delle salvezze" a Dio che lo aveva scampato da un pericolo di morte. La celebrazione contemplava l'offerta del vino e del pane lievitato (3). Questo coincide con quanto troviamo nei Vangeli Sinottici: Matteo (26,26); Marco (14,22); Luca (17, 19), chiamano espressamente árton (pane lievitato) il pane offerto e spezzato insieme ai suoi discepoli da Gesù. Possiamo pensare con indicibile commozione che il Signore - consapevole del fatto che il Padre lo avrebbe risuscitato - celebra con i suoi, nel Cenacolo, il Sacrificio Todà. Le stesse parole che il Signore pronuncia sulla croce: Elì, Elì, lemà sabactàni? Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? vengono dal Salmo 22,2 che dal v. 23 alla fine è un inno alla resurrezione, come salvezza operata dal Signore per i suoi 'poveri'. L'immolazione dell'agnello, la vera Pasqua, avviene sulla Croce. Poi l'ottavo giorno, quello della creazione nuova, il primo dopo il sabato... Senza tuttavia dimenticare, che quello sulla Croce, Actio del Signore ripresentato al Padre ad ogni Eucaristia fino alla fine dei tempi, è un Sacrificio di espiazione (oltre che di ringraziamento) che ci libera dalla schiavitù del peccato e ci nutre col Corpo e Sangue della Vittima immolata, ora Gloriosa, che con la Risurrezione ha restaurato la nostra natura ferita dalla disobbedienza iniziale, ricongiungendola al Padre con l'Ascensione. E così i "Suoi" continuano ad essere vivificati, nutriti - e dunque 'cristificati' fin dalla Pentecoste, grazie alla Presenza del Signore Risorto nella Sua Chiesa e, attraverso essa, nella storia degli uomini. (Luca 4, 14 ss.) Lo stesso Gesù inserisce il suo insegnamento nel culto giudaico (lettura nella sinagoga di Nazareth di Is, 61, 1-2) (2) La teoria più diffusa sulle origini della basilica cristiana è quella che la fa risalire alla basilica pagana; ma essa, oltre ad essere piuttosto tardiva (Leon Battista Alberti, sec XV), si rivela non esatta alla luce delle nuove conoscenze acquisite (ricerche archeologiche di Kohl e Watzinger, 1916; Graber, Recherches sur les sources juives de l'art paléocrétien, in "Cahier Archéologique", 1960, p.54 ss.; ecc). La prima e non secondaria distinzione è che nella basilica pagana - peraltro non destinata a pratiche cultuali ma profane - mancano l'atrio e il transetto. Una analogia col transetto è data dai mosaici trasversali che si trovano in alcune antiche sinagoghe ed indicano la sacralità di quello spazio con i loro motivi: Tempio, Arca santa sormontata dalla lampada perenne (sempre presente accanto ai nostri Tabernacoli) e dai principali sacra giudaici (la menorah, lo shofar, lulab ed ethrog). Quanto all'atrio, come in quello sinagogale si svolgevano alcuni riti a carattere penitenziale, così nella chiesa - quando vigeva ancora la penitenza pubblica - alcune categorie di penitenti erano obbligate a fermarsi "in vestibulo", senza varcare le soglie della chiesa. Un altro elemento comune alla chiese ed alle sinagoghe è quella che nel vangelo è chiamata "cattedra di Mosè", che non può non indurci ad un raffronto con la cattedra del vescovo (nella sua funzione di sorvegliante della sua comunità e maestro del suo popolo) collocata in fondo all'abside di ogni antica basilica. La stessa presenza dell'abside, che può apparire come una differenza, non è più tale se consideriamo che, mentre si riscontra al centro della parete di fondo una piccola abside nella Sinagoga di Dura Europos, pure in alcune antiche sinagoghe è stata rinvenuta una nicchia ad una certa altezza dal suolo. Ed ancora: l'aula sinagogale era per lo più anch'essa ripartita in tre navate, mentre un'altra corrispondenza può individuarsi tra il luogo elevato destinato alla "lettura" in alcune sinagoghe e gli amboni (pulpiti dai quali veniva proclamata la parola della Scrittura). (3) A differenza degli azzimi della Pasqua, che poi sono entrati nell'uso successivo ed attuale da parte dei cristiani, che celebrano come loro 'Pasqua' la morte, risurrezione e ascensione al cielo del Signore | home | | inizio pagina | |