Padre Pizzaballa: "I
rapporti fra ebrei e cattolici
non siano condizionati dalla politica"
In occasione della 16°
giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra ebrei
e cattolici, raccogliamo dalla Terrasanta la voce di Padre
Pierbattista Pizzaballa. È una voce cristiana, autenticamente super
partes
Il
dialogo fra ebrei e cattolici “non deve essere determinato” dalle
vicende politiche, che sono “contingente”, ma deve essere improntato
“alla verità” e a “rapporti fraterni e amichevoli” perché “i conflitti non abbiano l’ultima parola”.
Lo ha
detto il custode di
Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, in occasione della 16° Giornata per l’approfondimento e
lo sviluppo del dialogo fra cattolici e ebrei che si celebra oggi. [17
gennaio 2005 ndr]
Padre Pizzaballa, che per
molti anni si è occupato della comunità cattolica di espressione
ebraica in Israele, ha inoltre definito “poco razionale e non
pacifica” la polemica su Pio XII e il suo presunto antisemitismo,
definendo “un’ingiustizia” il fatto che il dialogo fra ebrei e
cattolici si sia concentrato su papa Pacelli, invitando gli
interlocutori ad avere “orizzonti più larghi”.
Ecco l’intervista
rilasciata da p. Pizzaballa ad AsiaNews.
Il documento per
la Giornata del dialogo fra cattolici e ebrei invita a vincere guerra e
terrorismo con la giustizia e la carità: come cattolici ed ebrei
possono collaborare in questo?
Penso che si debba anche
considerare un terzo aspetto: la verità, e vivere secondo giustizia e
conservando al tempo stesso la carità. Si possono avere anche opinioni
diverse su come attuare la giustizia, strategie differenti su come
raggiungerla e idee diverse di giustizia, ma deve rimanere la carità.
Proprio rapporti amichevoli, corretti e fraterni fra le parti possono
fare in modo che in modo che i conflitti non abbiano l’ultima parola.
Se dal punto di
vista teologico il dialogo fra ebrei e cattolici ha fatto grandi passi
in avanti, a livello “politico” i rapporti sono più controversi: la
questione del Muro di separazione e la situazione Chiesa cattolica in
Israele, ad esempio ...
Anzitutto, non bisogna
avere fretta o aspettarsi risultati immediati: i rapporti fra
cristianesimo cattolico e ebraismo durano da migliaia di anni e non si
può pretendere di cambiare tutto in poco tempo. In secondo luogo, la
dimensione politica all’interno dei rapporti ebraico-cristiani non è
l’unico aspetto, e nemmeno il più importante. Bisogna fare in modo di
tener ben distinti i due aspetti: il dialogo ebraico-cattolico non può
essere determinato da situazioni politiche che, proprio per la loro
natura, sono contingenti.
Lei è stato
responsabile della comunità cattolica di lingua ebraica in Israele.
Quali ricchezze questi fedeli possono offrire alla Chiesa?
I cattolici di
espressione ebraica in Israele hanno sempre avuto una duplice vocazione:
verso Israele, mostrare che la Chiesa non è ostile, come generalmente
era ritenuto. Essi vogliono mostrare che essere cattolico non vuol dire
avere sentimenti antiebraici o rinunciare alla propria identità, ma
anzi indicare i molti aspetti che sono comuni fra le due religioni. Alla
Chiesa invece i cattolici ebraici hanno il compito di far comprendere
che per essere cristiani fino in fondo dobbiamo risalire alle nostre
radici, che sono nel giudaismo.
Un suo giudizio sulla
querelle su Pio XII, l’Olocausto e le responsabilità della Chiesa …
Sembra che il dialogo
ebraico-cattolico in questi ultimi anni ruoti tutto intorno a Pio XII. E
penso che questa sia un’ingiustizia verso i rapporti fra ebrei e
cattolici, che dovrebbero avere spazi e orizzonti molto più larghi di
questo aspetto. In merito alla polemica di questi
giorni, credo che ci
sia troppa passionalità e che si tratti di una discussione poco
razionale, non pacifica. Le posizioni sono troppo precostituite, sia da
parte degli storici che dei teologi. Forse è ancora presto parlarne,
perché - lo dico con molto rispetto - le ferite della Shoà sono ancora
molto radicate.
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[Fonte: AsiaNews del 17 gennaio 2005]