rotolo.jpg (4733 byte) Le Scritture
e l’epoca di Gesù - 3


Le Attese

Nel numero scorso si è detto che il popolo di Israele dell’epoca che va grosso modo dal II sec. a.C. al I d.C., cercava di sopportare il dominio della potenza politica di turno, alimentando delle attese che gli provenivano dalla tradizione ed in particolare della Scritture che assumevano sempre più una fisionomia definitiva: quella che oggi noi chiamiamo l’Antico Testamento.

La riflessione su questi testi e la loro interpretazione attualizzante veniva spesso messa per iscritto e diventava essa stessa scrittura o perlomeno testo autorevole per la cerchia nella quale nasceva.

L’esempio più appariscente lo ricaviamo dalla Comunità di Qumran, cioè da quel gruppo di sacerdoti che si erano staccati dal clero di Gerusalemme, perché in disaccordo, e si erano ritirati nella zona desertica di Qumran, a nord-ovest del Mar Morto, in Palestina.

Qui avevano iniziato una vera e propria vita monastica (anche se probabilmente vi erano delle intere famiglie) che abbracciava tutto il corso della propria esistenza e si basava su idee ben precise.

I membri della comunità si ritenevano l'Israele vero, allontanatosi dai "figli di Beliar", cioè dei peccatori, in attesa del giorno dell'avvento di Dio. Il Signore sarebbe arrivato per condurre una battaglia suprema contro i figli delle tenebre, servendosi dei figli della luce, che in cielo erano gli angeli e in terra i membri di Qumran.

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  Avendo poi i Qumraniti abbandonato il tempio di Gerusalemme, perché contaminato, in attesa di un tempio futuro voluto e fatto da Dio stesso, ritenevano di essere essi stessi un tempio (vedi l'idea presente anche in s. Paolo in 1 Cor 3,16-17: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?...").

Questo modo di pensare e di vivere della comunità di Qumran si è protratto dal Il sec. a.C. circa, dalla data cioè della sua fondazione, fino al I sec. d.C., quando si è dissolta nella catastrofe generale della prima guerra giudaica antiromana (66- 70 d.C.). Ora, tali idee di elezione divina e di prossimi eventi apocalittici, che avrebbero visto il trionfo di Dio e dei suoi santi (cf. ancora Paolo Tess 3,13), si traducevano in letteratura, della quale gli studiosi di oggi hanno scoperto e studiato una gran parte, trattandosi di una testimonianza preziosa per conoscere i contemporanei di Gesù. I qumraniti trascrivevano testi biblici oppure ne tracciavano dei commenti o ancora componevano opere totalmente nuove, come la "Regola della congregazione", il "Documento di Damasco", la Regola della Guerra", gli "Inni", il "Rotolo del Tempio".

Quest'ultima opera s'ispirava al progetto del tempio di Ez 40-48 e sarà stato a sua volta probabile ispiratore dell'Apocalisse neotestamentaria (cf. Ap 21-22).

Alcune delle opere trovate nelle grotte di Qumran (cioè nei luoghi dove erano stati riposti i testi e dove dal 1947 in poi sono stati ritrovati) in realtà non erano esclusive della comunità dissidente, bensì anche di un pubblico più vasto, fino a coinvolgere la prima generazione cristiana, che era appunto di origine ebraica. Tra queste opere spiccano il "Libro di Enoc", cioè della letteratura attorno al patriarca antidiluviano di Gen 5,21-24, a cui viene attribuito addirittura la denominazione di "Figlio dell'Uomo", come si userà fare con Gesù, il "Libro dei Giubilei" e i "Testamenti dei XII Patriarchi".

Questo vuol dire che il fenomeno di Qumran, pur nella sua appariscenza, non era qualcosa d'isolato, bensì un'espressione peculiare e originale di quel vasto calderone che era il giudaismo dell'epoca di Gesù.

Modi di pensare, di scrivere e di vivere (si pensi ad esempio al pasto rituale col pane e il mosto della comunità di Qumran e ai riti battesimali dei gruppi battisti come quello di Giovanni il Precursore) avevano delle caratteristiche specifiche, ma anche delle note comuni. All'obbedienza religiosa incentrata sul culto al tempio o alla sinagoga, si accompagnavano dinamiche sociali e ideologiche orientate ad un riscatto finale del popolo d'Israele. Il futuro verso il quale marciava tale fantasia escatologica e apocalittica era costituito da tre fattori:

  1. aveva un aspetto temporale: si trattava di un'era nuova, paradisiaca, che sarebbe venuta ad insediarsi non si sa se a ridosso del tempo presente o in una dimensione completamente altra;

  2. vi era un aspetto spaziale: il futuro sarebbe stato l'era dei "nuovi cieli e della nuova terra" (cf. Is,,65,17 e Ap 2 1, 1), della Palestina diventata un nuovo Eden (cf. Ez 47,1-12 e Ap 22,1-2);

  3. forte era l'attesa di un personaggio escatologico, non sempre in senso strettamente messianico, cioè come messia o re, bensì come plenipotenziario di Dio con caratteristiche trascendenti: non si facevano elucubrazioni solo attorno a Davide e alla sua discendenza, ad Elia o a Mosè, ma anche a figure come Melchisedec, a cui farà riferimento l'autore della Lettera agli Ebrei al c.7. Questo personaggio veniva dalle promesse del passato, ma si caricava di coloriture proprie della nuova speculazione. Melchisedec veniva immaginato come un personaggio trascendente, al contrario di quanto si può arguire da Gen 14,18-20. Un racconto su di lui come lo troviamo nel cosiddetto "Libro dei segreti di Enoc" ne narra la nascita miracolosa.

Lo stesso Davide non aveva molto in comune con la figura storica del re d'Israele; egli era considerato un profeta e uno scriba sapiente, quindi l'incarnazione di tutta la Scrittura.

È questo il senso della storia che stava partorendo un personaggio reale: Gesù. Ma come interpretarne il significato? Il Nuovo Testamento è la collezione canonica delle risposte a questa domanda.

(indice) (continua)


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