Le Scritture e lepoca di Gesù - 4 |
Matteo e lAntico Testamento I tre articoli precedenti sono serviti a creare l'atmosfera storica culturale e religiosa nella quale vanno collocati gli scritti del Nuovo Testamento (NT) perché vengano da un lato compresi nel loro senso originario, ma anche, d'altro lato, perché mostrino quanti legami essi abbiano con il giudaismo, cioè con la religione di Gesù e degli Apostoli. Con questo quarto contributo, cominceremo ad esporre una serie di testimonianze concrete, prese dal NT, che dimostrino quanto è stato affermato finora in modo generico e introduttivo. Il campione è ora il Vangelo di Matteo. Matteo offre in certo qual modo il vangelo "più
ebraico", sia per linguaggio che per mentalità. Il vangelo dell'infanzia (Mt 1-2). Matteo
narra la nascita di Gesù ricorrendo, nei primi 17 versetti del primo capitolo, ad un
sistema molto diffuso a partire dal giudaismo postesilico (cioè dal VI sec. a.C. in poi):
la genealogia. Così come aveva fatto l'autore delle
genealogie di Genesi 5; 10 o l'autore dell'opera cronistica (1-2 Cronache -
Esdra - Neemia), il quale presenta la storia del mondo e d'Israele fino a Saul (1Cr
1-9) attraverso elenchi genealogici, altrettanto Matteo narra ed esprime il senso
della nascita di Gesù ricorrendo all'elenco genealogico delle generazioni che lo avevano
preceduto, cominciando dai patriarchi e arrivando fino a Giuseppe, padre legale di Gesù. La storia rispecchiata dall'avvicendarsi delle 14+14+14 generazioni (cf. Mt 1, 1-1 7) è quella che troviamo in Genesi (10;11,10-32), in 2 Re e nei libri del Cronista sopracitati. Nei vv. 18-25 l'evangelista descrive la nascita del Signore ricorrendo stavolta al genere letterario del "racconto di annuncio o di rivelazione", cosi come lo si trova diffuso nella storia dell'AT succitata: vedi ad es. la visione di Abramo (Gen 15,1-20), quella di Isacco (Gen 26,1-24), quella di Giacobbe (Gen 28,12-16). Il racconto matteano della nascita verginale ruota, quasi come un'esplicitazione, attorno all'oracolo d'Isaia 7,14: "Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele" (1,23). In realtà tutto l'episodio richiama l'atmosfera messianica degli oracoli isaiani (cf. Is 9,5ss; 11,Iss). Anche il secondo capitolo è intessuto di reminiscenze e di citazioni dell'AT. I sommi sacerdoti e gli scribi, interrogati dal re Erode sul luogo dove doveva nascere, il Messia, rispondono citando Mi 5, 1: "E tu, Betlemme, terra di Giuda... da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele" (2,6). La stella che indica il cammino ai Magi, evoca l'oracolo messianico di Balaam di Numeri 24,17.- "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele ...... Gli stessi magi che si rivelano credenti pur non essendo israeliti, rimandano ancora alle profezie isaiane sul concorso di popoli verso l'unica meta di Gerusalemme, ov 'è la dimora del Signore (Is 49,23; 60,5ss; cf anche 27,12-13). Certo, le reminiscenze messianiche di Matteo non vanno ricondotte solo a determinate citazioni, dato che la rilettura di tipo escatologico e messianico dell'epoca di Gesù copriva una vasta quantità di testi antichi, tuttavia, il libro d'Isaia faceva la parte del leone. Ma l'evangelista ci mostra che egli aveva in mente tutte le Scritture quando intesse il suo racconto, così che, man mano che procede, accompagna le immagini e gli eventi sia con le citazioni dirette di Os 11, 1 per la fuga in Egitto e di Ger 31,15 per la strage degli innocenti, sia con riferimenti indiretti, sebbene espliciti, alle vicende di Mosè bambino (cf. Es 1-2) o infine con evocazioni eloquenti della passata storia biblica, come il quadro del bambino Gesù e della madre di lui (Mt 2,11), che richiama la peculiarità della regalità davidica, la quale si esprimeva nella figura del re e nella citazione d'ufficio, allorché il re saliva al trono, di sua madre (cf 1 Re 14,21; 15,1, 9-10, ecc.). L esegesi di Matteo non è certo quella dei biblisti odierni, che usano il metodo storico - critico: il suo è il metodo in voga al suo tempo, di stampo tipologico; in atri termini, le citazioni matteane vanno intese rettamente: esse non vogliono essere una lettura fondamentalistica dell'AT, quasi che questo avesse predetto parola per parola quello che sarebbe avvenuto, bensì vogliono affermare che tutta la Scrittura, la Legge e i Profeti, è orientata all'evento escatologico realizzatosi in Cristo. Il discorso della montagna (Mt 5-7). È quanto scopriamo nel resto del vangelo, del quale per ora scegliamo solo una sezione importante: il discorso programmatico che Gesù tiene alla folla all'inizio della sua predicazione. Egli, novello Mosè, sale come l'antico legislatore il monte della promulgazione della volontà di Dio, e, così come la generazione di Gesù immaginava Mosè, maestro della Legge, si siede alla cattedra ideale del suo magistero (Mt 5,1-12). La dottrina di Gesù viene promulgata come compimento di quella mosaica (vv. 17- 19) e con essa si confronta in una serrata disamina che, più che il superamento della legge antica, ne esplicita il significato profondo e ne radicalizza la richiesta d'obbedienza, superando paradossalmente la lettera: ormai per il cristiano l'obbedienza a Dio esemplificata nella legge di Mosè, non trova più un supporto visibile scritto, che garantisca il minimo indispensabile, ma si deve allargare con la fantasia della fede alla volontà d'amore dello stesso Dio: "Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,46-48). Lo spirito nuovo che deve animare l'obbedienza alla legge del cristiano, trova espressione nel modo con il quale Matteo configura il Discorso della Montagna. Tenendo come probabile modello la legge di Esodo 20-23, che si apre con il Decalogo (20,1-17), l'evangelista fa aprire a Gesù il discorso della "nuova Legge" con le otto beatitudini, cioè con i "comandamenti" dei cittadini del nuovo regno (Mt 5,3-10). Il discorso che segue nei vv. 20-48 è, come si è accennato, la presentazione della nuova "giustizia", cioè del comportamento idoneo per il cristiano di fronte a Dio e di fronte agli uomini, sulla base della nuova interpretazione dei comandamenti. In 6,1-18 Gesù passa a considerare come debba essere vissuta la pietà religiosa, esemplificata nelle tre opere richieste dal giudaismo: l'elemosina, la preghiera e il digiuno. Ancora una volta il criterio che dà valore alla pratica religiosa giudaica è quello della interiorità. Il resto del discorso del Signore, in 6,19-34; 7,1-27, è una serie di insegnamenti che senza dubbio respirano religiosità giudaica e che in particolare hanno la funzione di presentare Gesù come maestro di sapienza. Ciò è possibile, perché insegnamenti biblici, come quelli del Siracide, identificavano la Torà di Mosè e la Sapienza di Dio, come grandezze di natura trascendente (cf. Sir 24). Continueremo nei prossimi articoli. Per ora, ci basti aver ricevuto una prova evidente e densa di supporto di come la Parola di Dio del Nuovo Testamento non possa essere adeguatamente compresa senza l'AT e lo sfondo storico-religioso giudaico.
|