Nelle ore più lunghe intorno al Vaticano i gesti di vicinanza di tanti uomini di fedi diverse hanno mostrato quanto la
straordinaria iniziativa del 1986 abbia lasciato il segno. Soffia anche nel dolore il vento di Assisi. Il rabbino capo di
Milano, Laras: «Un uomo coraggioso capace di gesti dirompenti» «Il suo esempio ha impresso una svolta decisiva al
cammino di riconciliazione»
Durante la sua serena agonia non sono mancati i segni dell'affetto del popolo ebraico a Giovanni Paolo II. I telegiornali hanno
trasmesso alcune testimonianze commosse raccolte nel ghetto di Roma. Hanno fatto vedere la visita in piazza San Pietro di
una delegazione della comunità ebraica di Roma, guidata dal rabbino capo Riccardo Di Segni. Abbiamo commentato questi gesti
significativi con Giuseppe Laras, rabbino capo di Milano. «I sentimenti di vicinanza a Papa Wojtyla sono antichi - ha
affermato il rabbino Laras -. Il suo Pontificato fin dall'inizio ha dato una svolta nei rapporti con l'ebraismo. Il dialogo
è stato influenzato in maniera forte e sostanziale dalla sua presenza, con alcuni gesti simbolici molto importanti».
Ad esempio?
«La visita alla Sinagoga di Roma dell'86. È stato un atto dirompente. Quando mai un Pontefice era andato in una Sinagoga a
parlare di radici comuni, di fratelli maggiori, di pace, di volontà di stare insieme? La storia dei rapporti ebraico
cristiani era caratterizzata da ben altri segni, venti o più anni fa. Sicuramente la visita dell'86 ha rotto positivamente
una tradizione di rapporti molto conflittuali e difficili».
Ancora prima non ci fu la visita ai campi di sterminio?
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«Quando si inchinò ad Auschwitz è stato un altro momento molto alto, che ha determinato un cambiamento sempre più
marcato dei sentimenti del popolo ebraico nei confronti del Papa e della Chiesa».
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E poi?
«Un momento importante che io ricordo fu a Praga in occasione di una visita analoga, quando pronunciò una famosa frase,
molto molto importante, anche se pronunciata occasionalmente, ma che poi ha ripreso ex cathedra, e cioè che un cristiano
che è antisemita non è un buon cristiano. Questa secondo me è stata una frase dirompente. Perché ha tolto alibi a quei
settori che ritenevano che essere antisemiti costituisse un merito agli occhi del Signore».
È stata un'accelerazione ad un processo già avviato?
«Anche Giovanni XXIII, aprendo il Concilio Vaticano II, ha dato la sua disponibilità al dialogo. Ha assecondato il
Cardinale Agostino Bea che è stato un grande protagonista del dialogo. Ha ricevuto anche Jules Isaac. Ma se non ci fosse
stato Papa Wojtyla, dubito che si sarebbero vinte le resistenze nei confronti del popolo ebraico e dello Stato di Israele.
Lui, invece, è stato coraggioso, determinato».
Quindi quali sono per lei le caratteristiche di Giovanni Paolo II?
«La determinazione e il coraggio di andare avanti in questa direzione, nonostante che lungo la strada di questo dialogo ci
siano state non poche difficoltà».
Dopo la «purificazione della memoria», è andato in pellegrinaggio in Israele...
«Infatti sono stati altri momenti altissimi. La visita al Yad Va Shem, il luogo della memoria della Shoah a Gerusalemme, la
visita al muro del pianto, con la deposizione di quel biglietto, sono tutte testimonianze molto forti della determinazione
del Papa di andare avanti per una strada accidentata e difficile, ma che deve essere percorsa».
Deve?
«Lui sapeva che questa era la strada da percorrere. La volontà di Dio, come la ha interpretata il Papa, era quella di
andare verso la riconciliazione. È stata sicuramente una politica molto coraggiosa e molto significativa. Questo non vuol
dire che all'interno del mondo cristiano non ci siano state e non ci siano delle resistenze a questa linea, come anche
all'interno del mondo ebraico. Ma queste grandi iniziative di Giovanni Paolo II hanno lasciato una traccia e sicuramente
verranno riprese e continuate. Questo è l'augurio che facciamo per il domani».
Da moschee e sinagoghe la sola stessa voce
torna su
Qualcosa di più di un semplice omaggio a un Papa che ha speso tante energie per il dialogo tra le
religioni. Ieri uomini di fedi diverse in tutto il mondo si sono ritrovati uniti nella preghiera durante le ultime ore di
vita del Pontefice. La sensazione è stata quella di vedere, almeno nell'ultima giornata della sua vita, tornare a soffiare
impetuoso il vento di Assisi, quello spirito di incontro tra le religioni inaugurato proprio da Giovanni Paolo II con la
preghiera per la pace dell'ottobre 1986. In tutta Italia ieri espressioni di solidarietà dalle comunità non cristiane: «Ore
drammatiche anche per noi» Dal rabbino capo sefardita Shlomo Amar una preghiera scritta per l’occasione
Qualcosa di più di un semplice omaggio a un Papa che ha speso tante energie per il dialogo
tra le religioni. Ieri uomini di fedi diverse in tutto il mondo si sono ritrovati uniti nella preghiera per il Pontefice in
agonia. Particolarmente sentita la preghiera nelle moschee italiane. «Oggi – ha detto ad esempio a Napoli l’imam Amar
Abdullah – ci rivolgiamo a Dio, il Creatore, al Dio comune, signore del mondo perché sia vicino al Papa in questo momento
difficile della sua vita. Sono ore dolorose, siamo accomunati tutti, islamici e cattolici, perché il mondo di oggi ha
bisogno di un uomo come Giovanni Paolo II». Parole analoghe si sono potute ascoltare alle moschee di Roma e Colle Val
d’Elsa.
Anche dal mondo arabo nelle sue ultime ore al Papa sono giunte parole di vicinanza. La tv
del Qatar Al Jazira ha trasmesso in diretta ieri pomeriggio la Messa celebrata in San Giovanni in Laterano dal
cardinale Ruini. L'evento è stato commentato dall'inviato a Roma della tv, Aymad Al Atrash. Per Giovanni Paolo II avevano
pregato anche i musulmani della Turchia, riconoscendo in lui un grande uomo di pace e di fratellanza tra le grandi religioni
monoteiste.
Espressioni di stima anche dalle comunità ebraiche italiane.«È il Papa che ha fatto di
più, concretamente e materialmente nei confronti del popolo ebraico con la visita storica alla Sinagoga di Roma – ha
ricordato il presidente dell’Ucei Amos Luzzatto – , lo scambio di delegazioni diplomatiche con lo stato di Israele e la
visita al Muro occidentale». «La simpatia che questo Papa ha saputo ispirare nel mondo ebraico – ha aggiunto il rabbino
capo di Roma Riccardo Di Segni – ha riscontro nella condivisione della gravità del momento che il Pontefice sta
attraversando».
Stessi atteggiamenti anche a Gerusalemme. Il rabbino capo sefardita Shlomo Amar, ha addirittura scritto per il Papa una
preghiera in ebraico e l’ha inviata in Vaticano mediante l’ambasciatore
di Israele presso la Santa Sede, Oded Ben Hur. Giovanni Paolo II, per il rabbino Amar, ha fatto molto per promuovere la pace
e principi di umanità. «La sua è stata una leadership che deve essere d'esempio anche per altre religioni» ha aggiunto.
«Giovanni Paolo II sarà ricordato dalla comunità ebraica mondiale come una figura coraggiosa e innovatrice che più di
ogni altro Papa nella storia si è adoperato per sanare le ferite del passato e per gettare ponti per il futuro tra le
nostre due religioni», è stato il commento del Rabbino Jack Bemporad, direttore del Center for Interreligious
Understanding.
Anche molte comunità islamiche irachene ieri hanno espresso vicinanza al Papa. «Abbiamo pregato anche per lui – , ha
detto Sheikh Jalal Alm Hanafi, predicatore della moschea di Khulafa –.
Con noi mussulmani ha sempre tenuto una posizione corretta, non dimenticheremo il suo nobile gesto di tre anni fa quando
baciò la copia del Corano che gli era stata consegnata».
La tv del Qatar Al Jazira ha trasmesso in diretta ieri pomeriggio la Messa celebrata in San Giovanni in Laterano dal
cardinale Ruini. L’evento è stato commentata dall’inviato a Roma della tv, Aymad Al Atrash.
Per Giovanni Paolo II pregano anche i musulmani della Turchia che riconoscono in lui un
grande uomo di pace e di fratellanza tra le grandi religioni monoteiste. Facendo memoria della visita del 1979 le tv turche
aggiornano in continuazione gli ascoltatori sullo stato di salute del Papa, segno evidente dell’interesse diffuso tra
larghi strati della popolazione.
«I filippini tutti, non solo i cattolici, ma anche i musulmani o gli appartenenti ad altre
fedi sono interessati alla salute del Papa e soprattutto alla sua sofferenza come essere umano», ha raccontato
all’agenzia Misna padre Josè Benedito de Morales Machado, un missionario brasiliano.
«Tutti esprimono solidarietà e intensa preghiera per il Papa – ha dichiarato
alla agenzia internazionale Fides un portavoce della Conferenza episcopale indiana –. In queste ore molti indù ci stanno
contattando per esprimere la loro vicinanza e dicono di pregare anche loro per il Santo Padre. Il Papa qui è molto
rispettato anche dai non cristiani».
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[Fonte: Avvenire - 2 aprile 2005]