Giudaismo e Cristianesimo "falsi gemelli" [*] saggio di antiebraismo teologico e di polemica confessionale antigiudaica. A proposito di due libri recenti di André Paul Parte II |
Parte II (su Leçons paradoxales sur les Juifs et les Chrétiens) torna all'indice 2. La tela delle argomentazioni di Paul si scopre in maniera più palese nella seconda opera in esame, dove le tesi non hanno più paura di svelarsi pienamente in un antiebraismo e un antigiudaismo oramai consci di sé. Perché lezioni paradossali? Perché, spiega Paul, vanno contro la doxa diffusa anche presso la gerarchia cattolica, a cominciare dal cardinal Lustiger arcivescovo di Parigi. Ma veniamo allantefatto narrato dallo stesso A. Nel giugno del 1990 Paul scrive un articolo intitolato Les faux jumeaux sulla rivista "Esprit" in relazione ai fatti accaduti a Carpentras, dove un cimitero ebraico era stato gravemente profanato. In esso egli contestava decisamente alcune affermazioni correnti anche fra uomini di chiesa, come quella del menzionato arcivescovo di Parigi secondo il quale "Le Christianisme est un fruit du judaïsme" (p. 14). Che Lustiger pensasse ad una derivazione del cristianesimo dal giudaismo rabbinico? Fatto sta che un prete di Tolosa scrive una lettera a Paul in cui si complimenta per il contributo liberatore delle sue parole, perché "... si finiva col domandarsi se noi [cristiani] non eravamo altro che un semplice fratello bastardo del giudaismo". Ecco che allora Paul parte con tutto il suo impegno per dimostrare che, al contrario, il fratello bastardo è il giudaismo, poiché il vero erede dellantico Israele (o meglio di quello di buono, cioè di proto-cristiano, che in esso era presente) è il cristianesimo, che dunque alla fine è anche il vero giudaismo ed il verus Israel. La tesi soggiacente è che essi non solo sono gemelli falsi, ma che in realtà non lo sono affatto: al massimo potranno essere considerati fratelli, come Caino e Abele, dove il cristianesimo è al tempo stesso primogenito e vittima. Infatti - precisa Paul - il cristianesimo è "anteriore al giudaismo: il giudaismo, non i giudei". E prosegue: "È questo il paradosso centrale di queste lezioni paradossali. Linsegnamento banalizzato della gerarchia cattolica e la coscienza dei cristiani in generale sono largamente nella linea di queste dichiarazioni dellattuale arcivescovo di Parigi" (p. 15). Sullo stesso piano è parimenti contestata con decisione laffermazione del comitato episcopale per le relazioni col giudaismo secondo la quale "Dal popolo ebraico noi abbiamo ereditato la memoria". È fin troppo chiaro che tali affermazioni si riferiscono alla radice ebraica del cristianesimo, costituita dallIsraele biblico e dal giudaismo fino allepoca di Gesù; Paul, negando la verità di tale assioma in primis in relazione al giudaismo rabbinico, di fatto ne estende la portata anche al giudaismo prerabbinico. Il volume è sostanzialmente diviso in due parti dedicate rispettivamente al "primo nato dei falsi gemelli", il cristianesimo, e alla sua pre-istoria o proto-storia, e al secondogenito, che non solo non ha la primogenitura e il diritto alleredità, ma ha radicalmente deviato da quello che di più autentico, cioè di proto-cristiano, era presente nella matrice veterotestamentaria, condannandosi inesorabilmente alla condizione di figlio bastardo, diseredato, esule e peregrino come Caino il fratricida. La tesi di fondo ripercorre quelle già esaminate: non è, come ogni studioso reputa, il cristianesimo che si sviluppa come una delle tendenze particolari presenti nel giudaismo degli ultimi secoli prima dellèra volgare e quindi rispecchia in sé la sua radice ebraica, ma, al contrario, esso è la meta ultima, la tappa definitiva di uno sviluppo che proietta la sua impronta sul passato, sulla stessa religione dellantico Israele e del postesilio, qualificando gli elementi di continuità come proto-cristiani. Mentre la logica dice che senza la religione dellIsraele biblico e il giudaismo del secondo tempio non ci sarebbe stato il cristianesimo, qui laffermazione viene esattamente rovesciata: senza il cristianesimo, non ci sarebbe stato un proto-cristianesimo, ossia il giudaismo più in linea con il successivo sviluppo cristiano di cui esso conteneva le premesse. Cè dunque un passaggio dallimplicito allesplicito: "i risultati di questo passaggio sono acquisiti una volta per tutte: lèra cristiana è, come tale, definitiva ed essa è anche, a suo modo, lultima" (p. 17). LA. afferma che "la comparsa del cristianesimo nella storia è anteriore a quella del giudaismo" (p. 19) evidentemente rabbinico. Ciò si basa sul fatto che egli considera come data di nascita del giudaismo rabbinico il 200 d.C., data della redazione definitiva della Mishnah ad opera di Yehudah ha-Nasi. Ma oggi gli studiosi - in particolare Neusner per la letteratura rabbinica, Charlesworth per gli apocrifi e Sacchi per lapocalittica - hanno mostrato come il medio giudaismo, ossia quello che va dal III sec. a.C. al II d.C., sia un insieme di sistemi ideologici in tensione fra loro, una pluralità frammentaria di gruppi, movimenti e tradizioni in rapporto dialettico, e che tra questi in particolare il cristianesimo e il rabbinismo ebbero un lungo periodo di formazione allinizio del quale non erano neppure nettamente e consapevolamente distinti fra loro: solo a partire dal II sec. della nostra èra essi si configurarono come sistemi chiaramente distinti, prima non essendo stati che due tra i molti giudaismi allora esistenti, come osserva a ragione Boccaccini (Il medio giudaismo, cit., p. 35). Essi nascono e trovano la loro identità distinguendosi reciprocamente, e di conseguenza la loro nascita è sostanzialmente contemporanea. Se poi si accetta la tesi - oggi peraltro da alcuni contestata - che il rabbinismo è lo sviluppo della linea farisaica, allora i farisei sono contemporanei se non anteriori a Gesù. Nella parte dedicata al cristianesimo, il primo nato dei falsi gemelli, Paul riafferma che lapocalittica è proto-cristiana, poiché, citando Käsemann, essa è divenuta la madre di tutta la teologia cristiana (p. 25). Dunque - lavevamo già visto - egli compie una appropriazione cristiana dellapocalittica, il che è diverso dal rilevare che in essa, come in realtà è, sono presenti elementi di continuità e di affinità con quella forma particolare di apocalittica che è il cristianesimo. Per lA. dalla società del secondo tempio uscirà lembrione e il programma della struttura cristiana: "Là collocheremo la matrice e la gestazione del nuovo sistema, sempre vivo, che si chiama cristianesimo e che precederà nella storia il suo falso gemello" (ibid.,). Così lo sviluppo della concezione del tempio celeste presente in I Enoc "è significare, simbolicamente ma anche nellinsieme dei dati concreti della storia ... lavvenimento irresistibile di un ordine nuovo, proto-cristiano prima e cristiano poi" (p. 29). Così pure per Paul linstaurazione polemica (ossia anti-rabbinica) della Scrittura celeste, delle tavole ispirate dallo scriba celeste, della legge ispirata a Mosè trasfigurato, presenti in I Enoc, nei Giubilei e nei Testamenti dei dodici patriarchi, costituiscono un processo di vera e propria anticipazione del cristianesimo: "Noi possiamo senza riserve denominare proto-cristianesimo questo largo processo di interpretazione e poi di trasformazione che vide progressivamente e irresistibilmente levarsi lasse della verticalità, della trascendenza e anche della mediazione". Anche il Testamento di Giobbe è da considerarsi per lA. un testo proto-cristiano, che mostra una maturità proto-cristiana in quanto leredità delluomo da terrena diviene celeste. Lo schema di argomentazione in cui Paul si muove gli permette di dedicare anche un excursus a "Il proto-cristianesimo culturale di Erode il grande". Cristianesimo e giudaismo rabbinico (ma Paul omette sempre questa fondamentale precisazione) sono nella sua visione due figli che uccidono il padre o, semplicemente, lo negano. Infatti, prima della loro nascita non cera un giudaismo antico e medio con le sue variegate tendenze, ma solo le due anticipazioni dei fratelli: "Allo stesso modo in cui prima del cristianesimo si trova un vasto e vigoroso proto-cristianesimo, prima del giudaismo si trova parallelamente un proto-giudaismo. Ma la simmetria è solo apparente. Infatti, prima del giudaismo cerano certo dei giudei, giudei proto-cristiani così come giudei proto-giudei; ma prima del cristianesimo di cristiani non ce nerano affatto" (p. 97), mentre, corollario ovvio, prima del rabbinismo di rabbi ce nerano e come! Che prima del cristianesimo di cristiani non ce ne fossero è la sola affermazione sensata; che cosa sia un giudeo proto-giudeo sarebbe difficilissimo da capire se non avessimo scoperto che vuol dire già rabbino. E veniamo alla nascita del secondo falso gemello, collocata alla fine del II secolo della nostra èra. Il suo battesimo o, meglio, il suo peccato originale si consuma mediante la rottura che la Mishnah compie con la Scrittura, come lA. spiega con queste parole: "Allopposto del proto-cristianesimo e poi del cristianesimo, ... lermeneutica o linterpretazione come tale non ha spazio nella bella casa che è la Mishnah. Si può dire anche che cè incompatibilità tra il sistema che rappresenta la Scrittura e il sistema che rappresenta la Mishnah. Questo determinò profondamente il giudaismo a non essere affatto biblico" (p. 120), riducendosi alledificazione di unutopia culturale che ignora la salvezza. Del resto nella stessa pagina Paul scrive queste testuali parole: "Fino alla fine del XVIII° sec., la Bibbia e le tradizioni bibliche ... ebbero poco credito presso gli ebrei". Dunque niente Bibbia nel giudaismo rabbinico e niente salvezza, ma al massimo mera santificazione! Sicuramente niente salvezza intesa in senso cristiano come operata dalla morte e resurrezione di Gesù che rende il battezzato creatura nuova e gli toglie il peccato originale. Ma se fosse presente un altro concetto di salvezza come frutto dellosservanza dei precetti, in continuità con quella che Sacchi chiama lantica teologia del patto? No! per Paul è pura utopia culturale dove non cè neppure posto per la fede poiché "La fede, sia in senso oggettivo come soggettivo, non è che cristiana: essa non saprebbe essere una cosa ebraica" (p. 133). Come già aveva usato i concetti di centripeto e centrifugo per qualificare rispettivamente giudaismo e cristianesimo, ora Paul introduce quelli di orizzontalità e verticalità: evidentemente il giudaismo, come era grettamente incentrato su se stesso cioè centripeto, ora sarà anche orizzontale, più preoccupato degli uomini che di Dio. Ciò sarebbe dimostrato dalla reinvenzione della Torah come duplice, ossia scritta e orale: "Questa trasformazione non è affatto quella della verticalità propria, come abbiamo visto, del proto-cristianesimo e soprattutto del cristianesimo. Essa riposa al contrario su ciò che potremmo chiamare lorizzontalità rabbinica" (p. 128). Mi pare che laffermazione risulti semplicemente ridicola. Abbiamo già visto nellesame del primo libro luso che lA. fa dei concetti di diaspora e galut come categorie per definire lessenza dei falsi gemelli. La diaspora, che caratterizzò il giudaismo fino al 70, è intrinsecamente conversione culturale come seppero fare gli ebrei di Alessandria, in un equilibrio dialettico tra cultura locale (ellenismo) e cultura di riferimento (giudaismo). Ma dopo questa data tale condizione non può più essere giudaica e passa al cristianesimo. La nuova categoria che definisce il giudaismo fino alla fondazione dello Stato dIsraele è il concetto di esilio. Esso configura una condizione che, contrariamente alla spinta centrifuga del cristianesimo, è fortemente centripeta e centralizzata attorno allautorità rabbinica centrale. Del papato e dei concilii, del magistero e del ruolo della gerarchia nessuna menzione! Gli ebrei in galut si organizzano in comunità o kahal. Con gli interventi del concilio Laterano IV nel 1215 - prosegue Paul - e la bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555 al kahal si sostituisce il ghetto, istituzione che così viene da lui commentata: "Per quanto doloroso possa essere stato per gli ebrei e per quanto intollerabile sembri la discriminazione che esso significava, il ghetto fu tuttavia utile al mantenimento del kahal" (p. 144s). Ora, benché questa tesi sia accolta anche da alcuni storici ebrei, non può essere accettata in senso assoluto, senza riserve e senza una valutazione più articolata. Innanzitutto la storia non si può fare con i se: se non ci fosse stato il ghetto, le comunità ebraiche sarebbero scomparse. Ciò si potrebbe affermare se, laddove non vi fu il ghetto, le comunità si fossero effettivamente disgregate. Se il giudizio storico di Paul può avere in parte un qualche valore per situazioni in cui gli ebrei, come in Italia, rischiavano una certa assimilazione, non è valido per altre regioni. Anche per lItalia ho detto in parte, poiché ci furono nella Penisola città come Pisa e Livorno dove non ci fu mai il ghetto e dove ugualmente gli ebrei mantennero un forte senso di identità in grandi comunità, passate alla storia per il loro splendore culturale. In altri casi, in città sede di grandi e importanti comunità come Modena, il ghetto fu eretto nel 1638 quasi centanni dopo la bolla papale, senza che per questo nei decenni precedenti il kahal si disgregasse. Il ghetto inoltre non fu un istituto generalizzato in tutta Europa; anzi in molte regioni orientali non fu applicato, eppure gli ebrei in esse residenti mantennero forse nella maniera più forte la loro coesione e una solida identità culturale che lo sterminio nazista avrebbe quasi completamente distrutto quattro secoli più tardi. Per Paul il sionismo, pronto a espandersi in un imperialismo mondiale, è un istinto indelebile di ogni ebreo: "La prima mèta attesa dagli ... ebrei era di conquistare il controllo della Palestina e, da essa, di diventare padroni di tutto il mondo abitato" (p. 172); e, quanto al sionismo, "Anche se politicamente ostile allo Stato nazionale dIsraele, ogni ebreo è inconsciamente o malgrado se stesso sionista. Anche se convertito al cristianesimo e da qualsiasi luogo egli provenga, ogni ebreo è un marrano che ignora se stesso" (p. 191): la tesi evoca in maniera diretta la teoria della limpieza de sangre di sventurata memoria propugnata dallinquisizione spagnola. Concludendo le sue disinvolte carrellate storiche da Davide a Camp David (ma almeno il nome dice continuità!), Paul asserisce che tra la fine del sec. XVIII e il XIX lilluminismo ebraico o haskalah costituisce la destabilizzazione o, meglio, la fine dellèra giudaica. Quello che i padri della Chiesa dei primi secoli si aspettavano come prossimo, ossia la scomparsa del popolo deicida, ha dovuto aspettare diversi secoli, ma si è infine compiuto! Dopo ci sarà solo un post-giudaismo - immaginiamo noi in parallelo con il proto-giudaismo - cioè dei semplici juifs che hanno perso sia il judaïsme sia la judéité (p. 98). Daltra parte, a conclusione delle sue Leçons davvero paradoxales, perché non accetterebbero mai la doxa dellattuale successore di Pietro, che nella visita alla sinagoga di Roma nellaprile del 1986 ha definito gli ebrei fratelli maggiori, nè tanto meno quanto afferma la dichiarazione conciliare Nostra aetate, al n. 4 sui rapporti del cristianesimo con la religione ebraica, Paul ritiene che leroe ancestrale eponimo della nazione giudaica in diaspora sia Caino, destinato a vagare con la sua maledizione a causa del fratricidio: se si pensa ad Abele come linnocente ucciso tipo di Cristo, laccusa di deicidio è presto ristabilita, anche se poi si dice che Davide è il fondatore politico del primo stato e Mosè il fondatore della religione. Del resto la conferma ci viene dallo stesso A. che afferma: "Io non ho paura di dire che è insito nel destino degli ebrei di uccidere o di essere uccisi. (...) Io sottolineerei quanto la figura che guida storicamente ed irresistibilmente gli ebrei, quella che significa e annuncia la risposta necessaria della storia è certamente quella di Caino" (p. 196s). La conseguenza logica che ne deriva sembra dunque essere la seguente: uccidiamoli o loro uccideranno noi, difendiamoci dallassassino! Allora la secolare persecuzione contro i figli di Caino, culminata nella soluzione finale e nella Shoah, altro non sarebbe che la risposta necessaria della storia allirrefrenabile istinto omicida che cova nel subconscio giudaico ed è tragicamente "insito nel destino degli ebrei". Fra tante altre, la vicenda di "San Simonino" di Trento - che alla luce di siffatte affermazioni potrebbe rischiare di ripetersi - insegni! Al contrario la figura ancestrale eponima del cristianesimo è Isacco, figlio della promessa, figlio di Abramo, veramente sacrificato, da cui dipende la posterità tutta. Ai poveri ebrei non resta più nemmeno un po di Abramo: che sia opportuno dare una lezione paradossale anche a Gesù che nel Vangelo di Giovanni afferma la salvezza viene dai giudei? o a Paolo che nella Lettera ai Romani parla dellammissione dei gentili alla salvezza mediante il loro innesto, quali rami selvatici, sul tronco dellolivo buono che è Israele? Peraltro il concatenamento storico non ha più per Paul un gran valore poiché "per il cristiano, a differenza dellebreo, la genealogia è spezzata e spezzata due volte: una per la nascita a-genealogica di Gesù (il puntiglioso concatenamento delle genealogie dei Sinottici che si snoda con ritmo martellante è allora probabilmente superfluo!), laltra per la morte del secondo figlio della promessa, dichiaratosi figlio di Dio" (p. 202). Alla fine di questa defatigante rassegna delle tesi elencate, rileggendo le righe che precedono, mi è venuto da chiedermi se valesse la pena di occuparsene, e forte è stata la tentazione di rispondere di no. Ma poiché forse ad alcuni lettori, meno attenti o meno addentro allargomento, potrebbero sfuggire alcune delle implicazioni contenute nei due volumi presi in esame, ho pensato che ne valesse la pena.
Post scriptum Avevo terminato di scrivere queste pagine quando Carmine di Sante del SIDIC di Roma mi ha segnalato una nota assai più breve relativa al secondo volume da me esaminato intitolata Vers une théologie révisionniste antijudaïque? A propos dun ouvrage récent apparsa a firma di Menahem R. Macina in "Service international de documentation judéo-chrétienne", vol. XXVI - N. 3 (1993), pp. 29-32. Oltre ad alcune recensioni, lA. vi segnala la netta denuncia delle tesi di Paul compiuta da Jean-Miguel Garrigues nella sua recensione delle Leçons paradoxales apparsa in "Nouvelle Revue Théologique" 115 (1993), pp. 356-365 con il titolo Juifs et chrétiens: identité et difference. Réflexions sur les thèses de M. A. Paul; ad essa è seguita una replica di Paul Nouveau plaidoyer pour les "faux jumeaux". Réponse au R.P. Jean-Miguel Garrigues, Ibid., pp. 730-741.
Mauro Perani [*] Pubblicato in "Rivista Biblica" (it.) 44 (1996), pp. 455-473 con il titolo: Giudaismo e cristianesimo "falsi gemelli": saggio di antiebraismo teologico e di polemica confessionale antigiudaica. A proposito di due libri recenti di André Paul, CONTRO IL RISORGENTE ANTIGIUDAISMO TEOLOGICO. | indietro | | home | | inizio pagina |