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Amicizia,
ecco il tono nuovo
Andrea Riccardi, su Avvenire
del 20 agosto 2005
Un cammino
religioso non si giudica dalle novità, quanto dalla fedeltà. È la fedeltà
mostrata da Benedetto XVI nella visita alla sinagoga di Colonia al suo secondo
giorno di Gmg: fedeltà al Concilio Vaticano II, a Giovanni Paolo II (che nel
1980 incontrò i leader dell’ebraismo tedesco e nel 1986 visitò il tempio
di Roma), soprattutto fedeltà al popolo ebraico. Non era scontato che,
all’interno delle giornate della gioventù, ci fosse una visita come questa.
Il Papa ha voluto che avvenisse proprio in Germania. Sull’ebraismo tedesco
incombe il ricordo di antichi odi e dolori, ma soprattutto quello della Shoà,
che - dice il Papa - ha segnato il "tempo più buio della storia tedesca
ed europea". È il buio delle leggi razziali di Norimberga del 1935, poi
della Notte dei Cristalli del 1938, infine della soluzione finale. Tutto viene
dalla "folle ideologia razzista di matrice neopagana". Per il Papa
la scaturigine è chiara: "non si riconosceva più la santità di Dio, e
per questo si calpestava anche la sacralità della vita umana".
Benedetto XVI guarda al futuro, davanti a superstiti della Shoà e a un
giovane rabbino che gli ricorda come gli ebrei, tra tanti dolori, non abbiano
mai smesso di sperare. Una domanda aleggia: come far sì che "mai più le
forze del male arrivino al dominio, e le generazioni future… possano
costruire un mondo più giusto e pacifico in cui tutti gli uomini abbiano
uguale diritto di cittadinanza"? Il Papa non la elude. Risponde con la
dottrina del testo conciliare Nostra Aetate (e la ricorda rivolta anche a
musulmani ed altri credenti).
Questo testo è ben più che un discorso congiunturale. Con Benedetto XVI, la
Chiesa ribadisce l’impegno di trasmettere "questa dottrina alle nuove
generazioni che non sono state testimoni degli avvenimenti terribili accaduti
prima e durante la seconda guerra mondiale". I cristiani saranno sempre
testimoni del valore dell’ebraismo, mai del suo disprezzo. È un messaggio
inequivocabile ai giovani riuniti a Colonia che, magari, nel loro ambiente di
provenienza non incontrano comunità ebraiche ma possono subire suggestioni.
No, "mai più".
Agli ebrei, il Papa rivolge un invito: "dobbiamo ricordarci insieme di
Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da Lui creato". Il Decalogo va
ricordato al mondo e ai giovani, che - leit motiv caro a Benedetto XVI - non
debbono sentirlo come un peso bensì come "l’indicazione di un cammino
verso una vita riuscita". Il dialogo ebraico-cristiano è anche questo
"ricordarsi insieme". Ma - aggiunge - non vanno minimizzate le
differenze. Il nostro mondo è affascinato e ossessionato dalle alterità. Il
Papa parla di nuovo antisemitismo e di ostilità generalizzata allo straniero.
Indica l’interiorità come condizione per vivere con l’altro, anzi nel
rispetto della "dignità della differenza" (per usare
l’espressione del rabbino inglese Sacks).
Solo uomini spirituali, solo cristiani veri potranno rendere questo mondo più
umano e far abitare in pace gente diversa. È una speranza che emerge
dall’insegnamento di Benedetto XVI, offerta all’umanesimo contemporaneo.
Egli, proprio dalla sinagoga di Colonia, riafferma che "la Chiesa
cattolica si impegna… per la tolleranza, il rispetto, l’amicizia e la pace
tra tutti i popoli, le culture e le religioni".
Ecco, l’amicizia è la sottolineatura fresca che il Papa introduce tra
principi che potrebbero suonare scontati, quando invece non lo sono se
guardiamo alla pratica di vita. Lui conosce bene il linguaggio evangelico
dell’amicizia anche come cifra del rapporto con gli altri. Ed ora, da amico
nella sinagoga, indica una via e tende una mano, perché le forze del male non
dominino mai più.
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