Shalom! Illustri signori, cari
fratelli!
Vi ringrazio per le amichevoli e
sincere parole di saluto. Questo incontro era per me una esigenza del
cuore nel quadro di questo viaggio apostolico, e vi ringrazio, che siete
venuti incontro al mio desiderio.
Possa la benedizione di Dio
aleggiare sopra questa ora!
1. Dovendo i cristiani sentirsi
fratelli di tutti gli uomini e comportarsi di conseguenza, questo
obbligo sacro vale ancor più quando si trovano di fronte ad
appartenenti al popolo ebraico! Nella “dichiarazione sul rapporto
della Chiesa con l’ebraismo” dell’aprile di quest’anno, i
Vescovi della repubblica federale tedesca hanno posto all’inizio
questa affermazione: “Chi incontra Gesù Cristo, incontra il
Giudaismo”. Questa parola vorrei farla anche mia. La fede della Chiesa
in Gesù Cristo, figlio di David e figlio di Abramo (cf. Mt 1,1),
contiene di fatto ciò che i Vescovi in quella dichiarazione chiamano
“l’eredità spirituale di Israele per la Chiesa” (Pars altera),
una eredità viva, che da noi cristiani cattolici va intesa e conservata
nella sua profondità e ricchezza.
2. Le concrete relazioni fraterne
tra ebrei e cattolici in Germania assumono un valore del tutto
particolare sullo sfondo fosco della persecuzione e della tentata
eliminazione dell’ebraismo in questo paese. Le vittime innocenti in
Germania ed altrove, le famiglie distrutte o disperse, i valori di
cultura o tesori di arte distrutti per sempre, provano tragicamente dove
possono condurre la discriminazione ed il disprezzo della dignità
umana, specie se sono animate da perverse teorie su una eventuale
diversità di valutazione delle razze o sulla divisione degli uomini in
uomini di “alto valore” e “degni di vivere” e “indegni di
vivere”. Davanti a Dio tutti gli uomini sono dello stesso valore e
importanza.
In questo spirito anche dei
cristiani si sono impegnati, spesso con pericolo di vita, durante la
persecuzione, per impedire oppure mitigare i dolori dei loro fratelli
ebrei. Ad essi desidero esprimere in quest’ora riconoscimento e
gratitudine. Così pure a quelli che da cristiani, affermando la loro
appartenenza al popolo ebraico, hanno percorso la “via crucis” dei
loro fratelli e sorelle fino in fondo - come la grande Edith Stein,
chiamata nel suo istituto religioso Teresa Benedetta della Croce, il cui
ricordo giustamente è tenuto in grande onore -.
Desidero inoltre ricordare anche
Franz Rosenzweig e Martino Buber, i quali, con la loro familiarità
creativa con le lingue ebraica e tedesca, hanno creato un ammirevole
ponte per un incontro approfondito di ambedue gli ambiti culturali.
Voi stessi, nelle vostre parole di
saluto, mettete in rilievo che nei molteplici sforzi per edificare in
questo paese una nuova convivenza con i concittadini ebrei, i cattolici
e la Chiesa hanno dato un contributo decisivo. Questo riconoscimento e
la necessaria collaborazione da parte vostra mi colma di gioia. Da parte
mia, desidero esprimere grata ammirazione anche alle vostre rispettive
iniziative, compresa la nuovissima fondazione della vostra università
ad Heidelberg.
3. La profondità e la ricchezza
nella nostra comune eredità ci si aprono in maniera particolare nel
dialogo amichevole nella collaborazione fiduciosa. Mi rallegro che tutto
ciò è curato in questo paese coscientemente e di proposito. Molte
iniziative pubbliche e private nel campo pastorale, accademico e sociale
servono a tale intento, anche in occasioni molto solenni come
recentemente al Katholikentag di Berlino. Un segno incoraggiante fu
anche il raduno del comitato di collegamento internazionale tra la
Chiesa romana-cattolica ed il giudaismo l’anno scorso a Ratisbona.
Non si tratta soltanto della
correzione di una falsa visuale religiosa del popolo ebraico, che nel
corso della storia fu in parte concausa di misconoscimenti e
persecuzioni, ma prima di tutto del dialogo tra le due religioni, che -
con l’islam - poterono donare al mondo la fede nel Dio unico e
ineffabile che ci parla, e lo vogliono servire a nome di tutto il mondo.
La prima dimensione di questo
dialogo, cioè l’incontro tra il popolo di Dio del Vecchio Testamento,
da Dio mai denunziato (cf. Rm 11,29), e quello del Nuovo Testamento, è
allo stesso tempo un dialogo all’interno della nostra Chiesa, per così
dire tra la prima e la seconda parte della sua Bibbia. In proposito
dicono le direttive per l’applicazione della dichiarazione conciliare
“Nostra Aetate”: “Ci si sforzerà di comprendere meglio tutto ciò
che nell’Antico Testamento conserva un valore proprio e perpetuo...,
poiché questo valore non è stato obliterato dall’ulteriore
interpretazione del Nuovo Testamento, la quale al contrario ha dato
all’Antico il suo significato più compiuto, cosicché reciprocamente
il Nuovo riceve dall’Antico luce e spiegazione” (Nostra
Aetate, II)
Una seconda dimensione del nostro
dialogo - la vera e centrale - è l’incontro tra le odierne Chiese
cristiane e l’odierno popolo dell’alleanza conclusa con Mosè. Ciò
importa “che i cristiani - così le direttive postconciliari - tendano
a capire meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa
del giudaismo, e apprendano quali linee fondamentali sono essenziali per
la religiosa realtà vissuta dai giudei, secondo la loro propria
comprensione” (introduzione). La via per questa reciproca conoscenza
è il dialogo. Io vi ringrazio, venerati fratelli, che anche voi lo
conducete con quella “apertura ed ampiezza di spirito”, con quel
“ritmo” e con quella prudenza, che vengono raccomandati a noi
cattolici dalle citate direttive (Nostra
Aetate, I). Un frutto di tale dialogo ed una direttiva per il
suo fruttuoso proseguimento è la dichiarazione dei Vescovi tedeschi
citata all’inizio “sul rapporto tra Chiesa e giudaismo”
dell’aprile di quest’anno. È mio caldo desiderio che questa
dichiarazione diventi bene spirituale di tutti i cattolici in Germania!
Desidero inoltre accennare ad una
terza dimensione del nostro dialogo. I Vescovi tedeschi dedicano il
capitolo conclusivo della loro dichiarazione ai compiti che abbiamo in
comune. Giudei e cristiani, quali figli di Abramo, sono chiamati ad
essere benedizione per il mondo (cf. Gen 12,2ss), in quanto si impegnano
insieme per la pace e la giustizia tra tutti gli uomini e popoli, e lo
fanno in pienezza e profondità, come Dio stesso le ha pensate per noi,
e con la disponibilità ai sacrifici, che questo alto intento può
esigere. Quanto più questo sacro dovere impronta il nostro incontro,
tanto più diventa una benedizione anche per noi stessi.
4. Alla luce di questa promessa e
chiamata abramitica guardo con voi al destino e al ruolo del vostro
popolo tra i popoli. Volentieri prego con voi per la pienezza dello
shalom per tutti i vostri fratelli di nazionalità e di fede e anche per
la terra, alla quale tutti i giudei guardano con particolare
venerazione. Il nostro secolo poté vivere il primo pellegrinaggio di un
Papa in terra santa. Desidero, per concludere, ripetere le parole di
Paolo VI all’ingresso in Gerusalemme: “Implorate con noi nel vostro
desiderio e nella vostra preghiera rispetto e pace sopra questa terra
unica e visitata da Dio!
Preghiamo qui insieme per la
grazia di una vera e profonda fratellanza tra tutti gli uomini, tra
tutti i popoli!... Beati quelli che ti amano. Sì, la pace abiti nelle
tue mura, la prosperità nei tuoi palazzi. Io chiedo per te la pace, io
desidero per te la felicità” (cf. Sal 122,6-9).
Possano tutti i popoli in
Gerusalemme essere presto riconciliati e benedetti in Abramo! Egli,
l’ineffabile, di cui ci parla la sua creazione; egli, che non
costringe la sua umanità al bene, ma la guida; egli, che si informa del
nostro destino e tace; egli, che ci sceglie per tutti come suo popolo;
egli ci guidi sulle sue strade nel suo futuro!
Il suo nome sia lodato! Amen.