Giornata
memorabile nella storia del dialogo ebraico-cristiano In occasione della «Giornata»
che si celebra oggi in tutta Italia, le due massime autorità religiose
d’Israele sono state ricevute in Vaticano da Giovanni Paolo II: franco e
cordiale il colloquio
Nel segno del dialogo e dell’amicizia. Un segno «di grande speranza»,
come ha sottolineato ieri il Papa. Per mettere definitivamente al bando
l’antisemitismo e dire basta al terrorismo. E per incrementare la
reciproca conoscenza.
Il 2004 è nato sotto i migliori auspici per il rapporto tra il mondo
ebraico e la Chiesa cattolica. E potrebbe continuare anche meglio. Perché
questo potrebbe essere l’anno del ritorno di Giovanni Paolo II alla
sinagoga di Roma, diciotto anni dopo la storica visita del 1986 (l’invito
è stato già formulato da tempo e potrebbe coincidere con i festeggiamenti
per gli 800 anni dalla morte di Maimonide, il grande studioso talmudista
sefardita, nato in Spagna e morto nel 1204 in Egitto).
Intanto, è un fatto sicuramente importante l’udienza concessa ieri dal
Papa ai due rabbini capo di Israele, l’askenazita Jona Metzgher e il
sefardita Slomo Amar, che sono rimasti per 35 minuti a colloquio con il
Pontefice, accompagnati dal direttore generale del Gran Rabbinato, Oded
Wiener. Un’udienza svoltasi, a detta degli stessi rabbini, in un clima
molto cordiale e amichevole, dalla quale «siamo usciti incoraggiati e
rinforzati – ha sottolineato Amar – perché fa crescere la speranza, la
riconciliazione e la fratellanza fra le due religioni».
Il buon momento delle relazioni ebraico-cattoliche è testimoniato anche
dalle parole del breve
discorso Papa. «Il dialogo tra la Chiesa cattolica e il rabbinato di
Israele – ha affermato Giovanni Paolo II – è un segno di grande
speranza. Non dobbiamo risparmiare nessuno sforzo nel lavorare insieme per
costruire un mondo di giustizia, di pace e di riconciliazione tra tutti i
popoli».
È stata questa, del resto, una delle grandi rotte seguite durante tutto il
suo ministero di successore di Pietro. E Papa Wojtyla, infatti, lo ha
sottolineato apertamente davanti ai due rabbini. «Nei venticinque anni del
mio pontificato – ha proseguito – ho compiuto ogni sforzo per promuovere
il dialogo e per far avanzare sempre maggior comprensione, rispetto e
cooperazione tra noi». Anzi, ha aggiunto, «il mio pellegrinaggio giubilare
in Terra Santa rimane uno dei momenti forti del mio pontificato». Per
questo Giovanni Paolo II ha concluso con un auspicio: «Possa la Divina
Provvidenza benedire il nostro impegno e coronarlo con il successo».
L’udienza papale è stata poi al centro anche della successiva conferenza
stampa che i due rabbini hanno tenuto al secondo piano della Sinagoga di
Roma, presente anche il rabbino capo, Riccardo Di Segni. Metzger, che
indossava il classico pastrano della tradizione askenazita e un cappello
scuro, e Amar (turbante e tunica nera con fregi d’oro, come nella
tradizione sefardita) hanno riferito di aver ringraziato il Pontefice per i
suoi ripetuti interventi «contro l’antisemitismo e contro il terrorismo»
e gli hanno chiesto di «esercitare il suo peso morale» per la liberazione
dei soldati israeliani detenuti dagli Hezbollah libanesi.
Papa Wojtyla, hanno sottolineato, «è stato molto caloroso con noi e
profondamente interessato ai temi del colloquio». Tra i quali,
naturalmente, la lotta all’antisemitismo e l’impegno contro il
terrorismo «che tiene in ostaggio la pace» hanno fatto la parte del leone,
come ha riconosciuto anche l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede,
Oded Ben Hur.
Quanto all’antisemitismo, i due rabbini israeliani hanno citato le parole
del Papa che più volte, in passato, ha detto: «Dobbiamo insegnare alle
coscienze a considerare l’antisemitismo e ogni forma di razzismo come
peccati contro Dio e l’umanità». «Il fatto stesso che l’incontro
odierno sia avvenuto – ha spiegato Amar – ci dà speranza che si
intensifichino sempre di più i rapporti fra noi, perché riteniamo che una
delle più grandi sciagure del mondo sia la mancanza di dialogo e di
comunicazione. Ognuno vive dentro i propri pensieri e così si creano
montagne d’odio».
Di qui, dunque l’invito al dialogo, anche in funzione della lotta al
terrorismo. Un invito che l’altro rabbino capo, Metzger, ha rivolto anche
ai leader religiosi dell’islam. «Tante volte abbiamo chiesto loro di non
approfittare della religione per alimentare il terrorismo – ha sostenuto
–. Siamo tutti figli dello stesso padre Abramo. E come può un padre
gioire quando vede un figlio che ammazza l’altro?».
A questo punto del discorso, poi, il rabbino askenazita si è riferito al
recentissimo attentato kamikaze al valico di Erez compiuto da una mamma
palestinese di 21 anni, «il cui mandante – ha accusato – si ritiene sia
il leader spirituale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin». «Come può questo
sceicco rivolgersi a Dio dicendo: facciamo questo per te?», si è chiesto
Metzger. «Basta col sangue – ha concluso – i leader islamici prendano
piuttosto esempio dal Papa e dalle sue parole di pace».
Infine lo scambio di doni. I rabbini hanno portato al Papa un candelabro, ma
gli hanno anche chiesto di prestare alcuni manoscritti, o altri oggetti
ebraici attualmente custoditi in Vaticano, per una mostra che si terrà in
Israele, in occasione degli 800 anni dalla morte di Maimonide. Un prestito
che sperano «possa diventare permanente, in segno di amicizia». Nessun
cenno, invece, alla famosa menorah del Tempio di Gerusalemme, trafugata da
Tito nel 70 d.C. e che, secondo una leggenda, si troverebbe a Roma. «Si è
aperta un’occasione di dialogo – ha concluso Amar –. Non vogliamo
sprecarla a parlare di questi argomenti».
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[Fonte: "Avvenire" del 18
gennaio 2004]