Discorso pronunciato alla Conferenza dell'Anti
Defamation League
1. Il vecchio antisemitismo
Il resoconto pubblicato
nell'aprile 2004 dalla Anti Defamation League mostra che
l'antisemitismo in Europa è ancora maledettamente diffuso. Benché vi
siano segnali incoraggianti come la recente "Dichiarazione di
Berlino" dell'Osce, il dato complessivo è ugualmente
allarmante.
Solleverò qui due domande:
perché l'antisemitismo è ancora tanto diffuso in Europa? Che cosa
dobbiamo fare? Cominciando con la prima domanda, è importante fare una
distinzione preliminare: esiste un antisemitismo antico e un antisemitismo
moderno. Essi hanno gli stessi effetti e lo stesso scopo, ma non le stesse
cause. L'antisemitismo antico dipende da un pregiudizio, che ha
radici soprattutto religiose, in particolare cristiane. Si basa sull'idea
che proprio gli ebrei - il popolo di Dio - non abbiano riconosciuto il
figlio di Dio.
Questa idea - che è stata condannata formalmente dalla
Chiesa cattolica al Concilio Vaticano II nel 1965 - [dichiarazione
"Nostra Aetate" (ndR)] - ha attraversato la
storia dell'Occidente e, assieme ad altre, ha provocato intolleranza e
persecuzioni. Consciamente o inconsciamente, questo pregiudizio si insinua
nei luoghi comuni, negli scherzi, nelle battute, nel linguaggio
quotidiano. Faccio un esempio. Se si dice "un ebreo italiano",
s'intende prima un ebreo e in secondo luogo un italiano, cioè un
cittadino dimezzato. Se invece si dice "un italiano di religione
ebraica", s'intende correttamente un italiano di una certa religione,
la quale è irrilevante alla sua cittadinanza, e dunque un cittadino
pieno.
Una volta entrato nel
linguaggio, il pregiudizio antisemita si spande nella stampa, nei media,
nei libri, nelle scuole e poi tracima nella società. A quel punto
comincia a produrre i suoi effetti perversi: discriminazione, tensioni,
conflitti, fino alla violenza contro le sinagoghe e alla profanazione dei
cimiteri.
2. La memoria, la
tolleranza, il rispetto
Come si cura questo
fenomeno? La prima risposta è: con la coltivazione della memoria. Lo
facciamo. Insegnamo ai ragazzi nelle scuole. Teniamo corsi nelle
Università. Produciamo trasmissioni televisive. Proiettiamo documentari e
film nei cinema. Promuoviamo manifestazioni e partecipiamo a cortei.
In Italia, con una legge
approvata dal Parlamento, è stata dichiarata "giornata
della Shoah" la data del 27 gennaio, il giorno in cui si aprirono
i cancelli di Auschwitz nel 1945. Quest'anno il Senato l'ha organizzata a
Roma assieme alla Shoah Visual History Foundation, davanti a molti
giovani assieme al Presidente della Repubblica e membri del Governo.
Coltivare la memoria è importante; tuttavia, non basta. Perché la
memoria si perde. Si perde per stupore: chi non sa che l'Olocausto è
stata una tragedia accaduta proprio quando l'Europa era al meglio della
sua civiltà, spesso stenta a crederci. Si perde per senso di colpa: chi
prova rimorso preferisce non ricordare. Si perde per la sofferenza: chi ha
patito le pene dell'inferno talvolta non sopporta di rivedersele davanti
agli occhi o alla mente. Si perde per convenienza: chi ha altri interessi
o scopi preferisce manipolare il passato. Ecco perché la memoria non
basta; non solo perché è labile, ma perché la memoria di un evento
dipende da quale senso vogliamo dare a quell'evento.
La memoria non è passiva,
è selettiva. Dobbiamo allora fare un passo avanti. L'educazione è
certamente più efficace della memoria, perché mentre la memoria guarda
al passato, l'educazione si rivolge al futuro, mentre la memoria è
personale, l'educazione agisce sulla coscienza sociale, introduce abiti
mentali virtuosi, i quali, a loro volta, generano altri abiti virtuosi. E
però dobbiamo evitare un paradosso.
Per curare i mali prodotti
dall'Olocausto, per evitare gli errori tragici commessi dal comunismo
sovietico, il nazismo tedesco, il fascismo italiano, il collaborazionismo
francese, l'Europa si è data costituzioni democratiche. Esse contengono
grandi princìpi e grandi valori, primo fra tutti la tolleranza. Ma la
tolleranza può generare il rischio - qui sta il paradosso - di tollerare
anche quegli intolleranti ai quali noi, in nome della tolleranza, diamo
ospitalità. Per evitare questo rischio, dobbiamo restare fermi ai nostri
grandi princìpi. Se si comincia a metterli in discussione, a pensare che
i costi per difenderli siano troppo elevati, a cedere al ricatto o alla
paura, allora non si hanno più strumenti né contro il razzismo
antiebraico né contro il fondamentalismo e il terrorismo antioccidentali.
L'Europa di oggi, temo,
corre questo rischio. Essa è affetta da relativismo, nichilismo,
pacifismo, multiculturalismo, antiglobalismo, e forse anche da stanchezza
morale. Non c'è allora da meravigliarsi che non abbia preso posizione
contro i commenti antisemiti dell'ex-Primo Ministro della Malesia. O che
alla conferenza di Durban abbia consentito che si condannasse Israele. O
che in un questionario sull'antisemitismo abbia introdotto, fra i paesi
che minacciano la pace, Israele e gli Usa assieme a Iraq e Corea del Nord.
O che non sia stata capace di richiamare nella bozza di Costituzione
dell'Unione Europea le sue radici giudaico-cristiane.
La mia opinione è che il
problema principale dell'Europa sia culturale prima che politico. Credo
che l'Europa dovrebbe praticare il rispetto più che la tolleranza,
a cominciare dal rispetto dei suoi princìpi e valori. Se l'Europa ha
chiara la sua missione, allora alza la bandiera, se dubita del suo ruolo
allora alza le mani.
3. L'antisemitismo moderno
Il vecchio antisemitismo si
alimentava di un pregiudizio. Quello moderno ha radici diverse. Si chiama Israele.
Al suo meglio, si nutre di distinzioni sofisticate come quelle fra Israele
e lo stato ebraico, fra Israele e il Primo Ministro Sharon, fra
antisionismo e antisemitismo, fra ciò che si deve agli individui e ciò
che non si deve alle nazioni, fra lotta di resistenza e terrorismo.
Sembra buona dottrina, ma
è cattiva coscienza. Si tratta, sempre e comunque, di una forma di
antisemitismo, anche se più nascosto e più insidioso. Su questo punto
desidero essere esplicito. Israele è uno stato democratico che cambia i
suoi governanti con libere elezioni. È l'unica democrazia occidentale -
di fatto, è una parte di Europa - dentro il mondo arabo. Lo stato di
Israele ha diritto all'esistenza e alla sicurezza. L'esistenza e la
sicurezza di Israele sono messe in discussione da molti paesi arabi o
islamici e sono oggi minacciate dal terrorismo. L'antisemitismo è
l'alimento principale del terrorismo.
La mia conclusione è
semplice: se vogliamo combattere il terrorismo, dobbiamo combattere
l'antisemitismo. E qui il mio discorso torna all'Europa. Posta di fronte
ad una nuova minaccia, dopo quella del comunismo, l'Europa è tornata a
dividersi. L'Europa non ha ancora compreso quale guerra è stata
dichiarata all'Occidente l'11 settembre. Non tutta l'Europa è concorde
nel ritenere che essa stessa è un obiettivo di questa guerra. Una parte
dell'Europa inclina verso posizioni di "appeasement" con quelli
che la minacciano o di neutralismo, e pensa che gli Usa sbaglino e che
forse sarebbe meglio lasciarli soli. Neanche il massacro di Madrid dell'11
marzo è riuscita a svegliare decisamente la sua coscienza. Tutto questo
induce l'Europa a rinviare a domani le proprie decisioni. Ma domani è
oggi, in questo istante. Non vale niente condannare l'antisemitismo,
coltivare la memoria, predicare la tolleranza, praticare il rispetto, se
oggi noi - noi europei, americani, occidentali, ebrei, cristiani,
musulmani, uomini di buon volere di ogni credo - non ci assumiamo le
nostre responsabilità.
Cerchiamo di esser chiari.
Noi siamo impegnati per la pace, la convivenza, il confronto, il dialogo.
Sono cose che si possono decisively e si devono fare, ma non si
possono fare con gli occhi chiusi. Se invece pretendiamo di non vedere,
non comprendiamo chiaramente ciò che vediamo, non agiamo di conseguenza,
allora potremmo commettere il terribile errore di rivivere le nostre
passate atrocità. Noi non lo permetteremo.
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[Fonte: senato.it - maggio 2004]