Chouraqui, cittadino di tre universi
abramitici |
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La lingua ebraica non consente di parlare del volto dell’uomo, ma solo dei suoi volti: la parola panim ha solo il plurale. Chouraqui costituisce un buon esempio di questa verità linguistica: è l’uomo dai molti volti, è africano, europeo, asiatico, è l’abitante delle tre culture, ebraica, greco-latina e araba, è il cittadino dei tre universi spirituali abramitici, ebraismo, cristianesimo, islamismo. I suoi tre nomi Natan André Chouraqui indicano colui che è donato e che dona (in ebraico), l’uomo (in greco) e il saraceno, l’orientale (in arabo). Ha tradotto in francese l’intero corpus delle Scritture abramitiche: la Bibbia ebraica, il Nuovo Testamento e il Corano, nella convinzione che solo la conoscenza integrale dei testi rivelati consente di ascoltare la Chiamata che il Creatore dei cieli e della terra ha inviato e continua ad inviare all’umanità. È autore di una trentina di libri, tradotti in venti lingue, e di centinaia di articoli. Tredici titoli sono stati finora tradotti in italiano, tra cui: Il pensiero ebraico; Forte come la morte è l’amore; Mosè; Gesù e Paolo figli d’Israele; I dieci comandamenti; Storia del Giudaismo; Il mio testamento. Non sono stati ancora tradotti: Lettre à un ami chrétien; Procès à Jérusalem; Théodore Herzl, l’inventeur de l’Etat d’Israël; Lettre à un ami arabe; Jérusalem; L’Etat d’Israël ; Histoire des Juifs en Afrique du Nord. André nasce il 23 del mese di Av dell’anno 5677 (corrispondente all’11 agosto 1917) nella piccola Comunità ebraica di Aïn-Témouchent in Algeria, a mezzogiorno di un giorno di Shabbat, nono dei dieci figli di Isaac Chouraqui e Meléha Meyer, entrambi sefarditi. La Shabbat successiva viene circonciso: un nuovo figlio d’Israele è entrato nell’ alleanza di Abramo. Potrebbe essere il Messia o, almeno, deve contribuire alla sua opera, che è quella di avvicinare i lontani. L’arabo (e il judio-espanol) erano la lingua dei suoi nonni e dei suoi genitori, a casa e con il numeroso clan dei parenti parla dunque arabo, in Sinagoga impara l’ebraico e a scuola il francese. All’età di 7 anni viene colpito dalla poliomielite. A 11 anni entra come convittore nel Liceo francese di Oran: «Di colpo venivo trapiantato in un universo geografico e culturale che non aveva nulla a che vedere con quello che lasciavo. Il mondo arabo in seno al quale ero nato, là dove i miei antenati erano vissuti per più di un millennio, di cui parlavano la lingua, condividevano i costumi, spesso le credenze e talvolta le superstizioni, questo universo così vario e così ricco era completamente sparito per me, come inghiottito da qualche cataclisma, quando mi trasferii dalla rue Pastor di Aïn-Témouchent al liceo maschile di Orano». In sette anni, degli eccellenti professori erano riusciti a trasformare gli alunni in perfetti francesini, fieri della propria Patria e del proprio Impero: «I nostri maestri avevano radicalmente eliminato il nostro passato, tanto più facilmente poiché loro stessi non conoscevano nulla di Israele e del giudaismo o degli arabi e dell’Islam». La sua cara Bibbia, mai citata da quei brillanti intellettuali, venne relegata nel magazzino degli oggetti inutili: «Dall’asilo all’esame di Stato, superati tutti i gradi del sistema educativo francese, non credo di aver sentito citare la Bibbia più di due o tre volte, e in modo incidentale, a proposito di Galileo o di Voltaire». A 17 anni si reca per la prima volta in Francia, per un’operazione alla gamba malata. Lo assistono due infermiere protestanti, Evelyne e Yvonne, con le quali scopre simultaneamente l’amore e la forma cristiana dell’amore di D. Le lettere di Yvonne accompagnano il suo ultimo anno di liceo ad Oran: inizia a studiare Filosofia, legge Pascal, Teresa d’Avila, Juan de la Cruz. L’anno dopo la famiglia decide di inviarlo a Parigi per iniziare gli studi di Diritto. Poiché sull’Europa si stendeva già l’ombra del Terzo Reich, egli decide di seguire contemporaneamente anche i corsi dell’”Ecole Rabbinique de France”. Gli studi giuridici lo porteranno alla Licenza, al Diploma di II grado, al Dottorato. A volte entra nella Cattedrale di Notre Dame per ascoltare concerti d’organo o per raccogliersi in meditazione silenziosa. Scopre in Europa «le cattedrali, le chiese, la musica sacra, l’arte cristiana, i conventi e i monasteri in cui tanti uomini e tante donne di qualità pregavano giorno e notte il Dio d’Abramo, d’Isacco, di Giacobbe, il Dio dei miei antenati». Si trova però in un vicolo cieco, nel quale era stato spinto dall’antisemitismo algerino, dal laicismo repubblicano, dalla propaganda antiebraica nazista. Neppure le radiosi illuminazioni mistiche di Yvonne lo aiutano, poiché quello che lei desidera per lui è la conversione: «Yvonne mi assediava con il suo esempio sconvolgente unito alle più radiose e più autentiche illuminazioni mistiche che si potessero concepire, con una soluzione: la sparizione del problema, intendo dire dell’ebreo che ero, trasformato in buon cristiano». In quel momento di crisi incontra il pastore Louis Dallière che gli parla di Israele in termini per lui nuovi: «Credo nella vocazione messianica d’Israele, chiamato, sulle orme di Abramo, ad essere il primo, al centro del Regno del Messia che viene». Egli aveva fondato a Charmes una Comunità che cercava di tornare allo spirito e alle pratiche della Chiesa delle origini. Nel 1971 scriverà: «Noi, le nazioni, non dobbiamo attendere, desiderare, domandare la conversione degli ebrei. Israele è già il figlio di Dio. È il figlio maggiore della parabola, al quale il Padre dice: “Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo” (Lc 15)». E ancora: «Se Gesù è il Cristo, sarà Israele, il figlio primogenito, a fare l’unità della Chiesa, attorno al solo Dio, invitando tutte le nazioni a salire a Sion». Chouraqui scopre un nuovo Israele attraverso gli occhi di un cristiano: il suo ebraismo non era un inutile retaggio di cui vergognarsi e liberarsi il più velocemente possibile, ma qualcosa che aveva un significato per l’intera umanità. Questa consapevolezza contribuisce a dargli la forza di entrare nella Resistenza, nascondendo le persone, soprattutto i bambini, in pericolo di essere deportate e procurando loro documenti falsi: «Mi trovavo all’improvviso nel cuore di una tragedia spaventosa. L’immagine che mi facevo dell’Ebreo cambiò bruscamente: non più l’Ebreo dei Salmi della mia infanzia, ma il Crocifisso di cui potevo vedere e toccare le piaghe sanguinanti. (…) Uccisi, scherniti, cacciati, braccati, rifiutati, vedevo sfilare ogni giorno davanti a me un popolo martire, ed ero impotente a soccorrerlo». Nel 1939 incontra Colette Boyer, una musicista ammalata di tubercolosi. Viveva alla frontiera della morte e si interessava più di quello che si trova al di là che al di qua del visibile. D. e la Bibbia erano al centro dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. André aveva la Torah aperta sul suo tavolo giorno e notte e i suoi studi biblici gli portavano un’illuminazione interiore «di quelle che trasportano gli alumbrados alla soglia dell’estasi». Conoscendolo, Colette inizia a capire l’importanza dell’ebraico per comprendere la Bibbia. Si sposano nel 1940 a Aïn-Témouchent, con una cerimonia ebraica che segue di qualche settimana la sua conversione all’ebraismo. Nel 1948 però Colette farà ritorno al cristianesimo, scegliendo la vita contemplativa tra le Piccole sorelle di Gesù. Morirà nel 1981, tra le sue braccia. Nel 1947 Chouraqui viene nominato Segretario generale aggiunto dell’”Alliance Israélite Universelle”, di cui diventa anche lo storiografo. Inizia a compiere lunghi viaggi in Africa e in America per incontrare e ridare fiducia alle Comunità ebraiche. Inizia una collaborazione con René Cassin che durerà per trent’anni. Il 15 novembre 1948 consegue il Dottorato in Diritto internazionale discutendo una tesi su La creazione dello Stato d’Israele. Contemporaneamente pubblica la sua traduzione dal giudeo-arabo de I doveri dei cuori di Bahia ibn Paquda (che considera il suo Rabbino, la sua guida spirituale), dei Salmi e del Cantico dei cantici. Nel 1950 sale per la prima volta a Gerusalemme: «Sì, la scoperta di Gerusalemme fu per me sconvolgente. Questa città offriva un gusto che non avevo mai provato: per la prima volta mi sentivo a casa mia, per la prima volta appartenevo a un Paese il cui suolo non si sarebbe più allontanato dai miei piedi». Dal 1950 al 1956 vi ritorna regolarmente, finché nel 1956 compie la sua alyiah insieme alla sua seconda moglie, Annette Lévy. Sarà per tre anni consigliere di David Ben Gurion per il misuy galuyot, l’integrazione delle Comunità provenienti da cento Paesi del mondo, parlanti ottanta lingue diverse, e per otto anni collaboratore di Teddy Kollek, come Vice-Sindaco di Gerusalemme. Nel 1967 è tra le centinaia di migliaia di pellegrini che sfilano davanti al Muro del Pianto, trasformato in Muro della Gioia, rinnovando una tradizione che era stata interrotta dalla distruzione del Tempio, 1897 anni prima. Fa parte del Consiglio comunale che si reca a far visita al Consiglio comunale della parte araba. Nessuno osa rispondere alla domanda: «Che cosa sarebbe accaduto se i vincitori foste stati voi?». Le barriere tra le due parti vengono levate il 29 giugno a mezzogiorno: «Gerusalemme visse quel giorno una delle ore commuoventi della sua storia. Decine di migliaia di arabi invasero la città ebraica, mentre la città araba vide sfilare nelle sue strade folle ebraiche senza numero: tutti erano spinti dalla curiosità di vedere o rivedere la parte proibita della città della divisione, ciascuno desiderava scoprire il volto della città riunificata». È suonata l’ora della riconciliazione. Chouraqui nel 1957 aveva incontrato Pio XII, che aveva sentito estraneo alle realtà di cui era andato a parlargli. Nel 1963 aveva assistito a San Pietro all’ultima apparizione pubblica di Giovanni XXIII. Nel 1965 era stato invitato alla seduta del Concilio Vaticano II in cui era stata promulgata Nostra Aetate. Nel 1967 prende parte a una serie di incontri pubblici in dialogo con il Cardinale Jean Daniélou. Nel 1985 viene ricevuto in udienza privata da Giovanni Paolo II. Chiede che siano stabilite regolari relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele, invita il Papa in Israele e chiede che venga riconosciuta personalità propria alla Cristianità di lingua ebraica stabilita in Israele. Nel 1977 viene invitato dal Re del Marocco Hassan II. Nella sua qualità di Comandante dei credenti egli progetta una Conferenza mondiale dei musulmani, dei cristiani e degli ebrei che dovrebbe portare a una conciliazione religiosa della Fraternità di Abramo. Quanto al problema politico viene discusso il progetto che Chouraqui aveva presentato nella Lettera a un amico arabo: la creazione di uno Stato confederale o federale che associ tre popoli, israeliani, palestinesi e giordani, all’interno dell’intero territorio del Mandato Britannico. In quegli stessi anni Chouraqui inizia a collaborare con la “World Conference on Religion and Peace” e in Thailandia, India, Cina, Giappone scopre le religioni orientali, oltre i confini del “monoteismo”. Già Abramo sapeva che il suo Elokim è unico ma plurale, e un po’ provocatoriamente Chouraqui osserva: «Riconoscevo l’universo della Bibbia più nei tempietti politeisti o buddhisti dell’Asia che nelle sinagoghe, nelle chiese, nei templi o nelle università dell’Occidente». Testimone della resurrezione di un popolo, della sua lingua, della sua cultura, Chouraqui è anche portatore e testimone del Nome. Il messaggio contenuto nella Torah non è che vi è un solo Dio (il mio, mentre quelli degli altri sono falsi) ma che gli Elokim sono Uno: «Shema Israel, Adonai Elokenu, Adonai Ehad». Le parole si possono tradurre, non i nomi. Eppure nelle quasi 2000 traduzioni della Bibbia esistenti il Nome non compare, sostituito dalle innumerevoli Divinità dei Panteon locali. Il testo che avrebbe dovuto portare la rivelazione del Nome all’umanità è divenuto così il ricettacolo di tutti gli idoli. La quarta delle Dieci Parole proclamate da Adonai sul Sinai è: «Non porterai invano il Nome di Adonai Elokim». La vocazione d’Israele «è consistita nel portare questo Nome verso e contro tutti, fin nelle prigioni e nei forni crematori, da Faraone a Hitler, e appartiene al nostro tempo il dire se ciò sia stato fatto invano» André Choraqui vive a Yerushalayim, circondato dall’amore della moglie Annette, dei suoi cinque figli e dei suoi undici nipoti. Le grandi vetrate del suo studio si aprono sul Monte Sion, nella parte della città in cui risiedevano gli esseni e i primi noserim. Se il Messia è ha-meqarew et ha-rehoqim, colui che avvicina i lontani, allora la vita di Chouraqui è una vita messianica. Biblista più che talmudista o cabbalista, Chouraqui accenna appena al tema dell’Alleanza noachide, ritenendo invece che le Dieci Parole siano state proposte all’intera umanità. Anche se tende ad affrontare in modo poetico piuttosto che teoretico i grandi nodi problematici, va evidenziata l’energia instancabile con la quale egli ha operato per far conoscere Israele alla Cristianità, per la reconnaissance (riconoscimento, riconoscenza, nuova conoscenza) tra i figli di Abramo e per la pace tra tutti i figli di Adamo. Accanto al sionismo culturale di Ahad ha-Am (1856-1927), politico di Theodor Herzl (1860-1904), messianico e religioso di Abraham Kook (1865-1935), il sionismo di Chouraqui potrebbe essere definito messianico e interreligioso, in quanto sottolinea il significato del ritorno a Sion non solo per Israele, ma anche per l’umanità. Per una umanità però che non si sostituisca, ma riconosca Israele. Marco Morselli
1 L’Univers de la Bible, 10 voll., 1982-85 ; Un pacte neuf, Brépols 1984 ; Le Coran, Laffont, Paris 1990. 2 A. Chouraqui, Il pensiero ebraico, tr. di A. Bigarelli, Queriniana, Brescia 1989; Forte come la morte è l’amore, tr. di P. Fiorini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994; Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di una utopia possibile, tr. di M. Morselli, Marietti, Genova 1996; Gesù e Paolo. Figli d’Israele, tr. di A. Mello, Qiqajon, Bose 2000; I dieci comandamenti. I doveri dell’uomo nelle tre religioni di Abramo, Mondadori, Milano 2000; Storia del Giudaismo, tr. di R. Tonetti, Gribaudi, Milano 2002; Il mio testamento. Il fuoco dell’Alleanza, tr. di F. Savoldi, Queriniana, Brescia 2002. 3 Id., Lettre à un ami chrétien, Fayard, Paris 1971; Proces à Jérusalem, Cerf, Paris 1980; Théodore Herzl, l’inventeur de l’Etat d’Israël, Laffont, Paris 1991; Lettre à un ami arabe, Lattès, Paris 1994; Jérusalem. Une ville sanctuaire, Rocher, Monaco 1996; L’Etat d’Israël, P.U.F., Paris 1998;Histoire des Juifs en Afrique du Nord, Rocher, Monaco 1998. 4 Id., Forte come la morte è l’amore, cit., pp. 68-9. 5 op. cit., p. 74. 6 op. cit., p. 76. 7 Le lettere sono state pubblicate: Y. Jean, Lettres à André Chouraqui, Rocher, Monaco 1997. 8 op. cit., p. 119. 9 op. cit., p. 135. 10 op. cit., pp. 145-6. 11 op. cit., p. 177. 12 A Colette è dedicato: A. Chouraqui, Ton étoile et ta croix, Rocher, Monaco 1998. 13 Id., L’Alliance israélite universelle et la renaissance juive contemporaine (1860-1960), P.U.F., Paris 1965. 14 René Cassin (1887-1976), il principale estensore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), Premio Nobel per la Pace nel 1968. 15 Queste traduzioni sono state a loro volta tradotte in italiano : Il Cantico dei cantici e Introduzione ai Salmi, tr. di V. Burattini, Città nuova, Roma 1980 e I doveri dei cuori, tr. di E. de Rosa, Paoline, Cinisello Balsamo 1988. 16 op. cit., p. 313. 17 op. cit., p. 382. 18 Les Juifs. Dialogue avec le Cardinal Daniélou, Beauchesne, Paris 1966. 19 Si veda anche: La Reconnaissance. Le Saint-Siège, les Juifs et Israël, Laffont, Paris 1992. Il primo punto viene realizzato nel 1993, il secondo nel 2000, quanto al terzo: non si tratta soltanto della lingua ebraica, ma della rinascita della Ecclesia ex circumcisione. 20 op. cit., 470. 21 Cfr. il Terzo Portico «Il Nome tradito» e il Quinto Portico «Il ritorno del rimosso» del Mosè. 22 ivi, p. 336. 23 Noserim è il primo nome che ricevono i discepoli di Rabbì Yeshua ben Yosef, che solo in seguito verranno chiamati cristiani. È il termine che è stato ininterrottamente utilizzato in ebraico e che anche oggi viene utilizzato in Israele.
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