L'onore che
mi fate assegnandomi il Premio Internazionale per il Dialogo
fra gli Universi Culturali è racchiuso nella parola
"dialogo". Dialogos, termine usato
innanzitutto dai filosofi, in primo luogo da Aristotele e da Platone,
deriva dal verbo dialeghein,
"discutere", e non significa "parlare a due", come
spesso si crede, ma partecipare a un colloquio o a una discussione, con
due o più persone, allo scopo di procedere insieme verso il logos,
dia-logos, verso la verità. Dunque ogni dialogo
presuppone un cammino in avanti.
Ciò mi
induce a ringraziare voi tutti, ideatori e organizzatori di questo
incontro, e voi tutti, amici cari provenienti da ogni orizzonte dello
spirito, qui riuniti per l'assegnazione di questo premio, conferito nel
1997 al nostro amico Mohamed Talbi e oggi al sottoscritto.
Tale premio
non è dovuto a meriti puramente individuali, bensì giunge a coronamento
di un'azione essenzialmente collettiva, suscitata dall'incontro e dal
dialogo di tutti gli amici che mi hanno accompagnato lungo il cammino da
me percorso, presenti oggi così numerosi intorno a noi.
Tale
cammino ebbe per me inizio sulla soglia della casa in cui nacqui, l'11
agosto 1917, ad Ain-Temouchent, nell'Algeria coloniale. All'età di sette
anni fui colpito da un attacco di poliomielite, malattia a quell'epoca
difficilmente curabile. Immobilizzato, vedevo passare lungo il Viale
della Rivoluzione, dove abitavo, ebrei come me, cristiani,
che erano i colonizzatori, e musulmani. Questi tre gruppi convivevano
ignorandosi totalmente, spesso nutrendo un profondo disprezzo gli uni per
gli altri. Chi erano? Perché si ignoravano? Quale era la causa dei loro
conflitti e come era possibile sperare di riconciliarli? Tali domande, che
da bambino mi ponevo, non hanno mai cessato di animare la mia ricerca di
verità, sia durante l'adolescenza sia negli anni della vita adulta.
Gli studi
all'Università di Parigi, intrapresi in varie direzioni per approfondire
la mia conoscenza del giudaismo, del cristianesimo e dell'islam, furono
brutalmente interrotti dal 1939 al 1945, a causa della seconda guerra
mondiale. Non mi restava altra scelta che unirmi alle file della
Resistenza. Alla macchia nella Francia centrale, eravamo trentatré
compagni, uniti da un'azione comune al servizio della Resistenza. Il
nostro gruppo crebbe durante quel periodo e nel 1945 giunse a contare
circa cinquecento combattenti. Ma dei trentatré compagni iniziali
ventinove erano morti, vittime della shoà. Noi, i
quattro sopravvissuti, avevamo come primo dovere quello d'impedire che
massacri così orrendi potessero ripetersi; essi avevano causato in cinque
anni circa cinquanta milioni di vittime, fra le quali sei milioni di ebrei
morti nei campi di sterminio.
Quanto a
me, pensavo che occorresse riprendere il dialogo a partire dalle sue
stesse radici e ciò mi spinse, durante la mia vita, a tradurre e
commentare, in uno spirito di pace e di riavvicinamento e non certo di
rivalità, la Bibbia, il Nuovo Testamento e il Corano.
Le attuali
dimensioni planetarie riacutizzano i problemi relativi al linguaggio e
alla comunicazione fra lingue e culture differenti. Ciò concerne non
soltanto la problematica e la metodologia della traduzione, ma anche la
teoria e la critica letteraria alla pari della storia culturale,
soprattutto nel campo della filosofia e della religione.
I ricercatori
dovranno affrontare i problemi di traduzione - e non di interpretazione -
tenendo conto del significato essenziale di tale termine. Linguisti e
filosofi dovranno risolvere svariati problemi tecnici per fondare una
nuova teoria del linguaggio, annunciatrice di una comunicazione umana.
Ogni traduttore, invece di essere attento al messaggio che traduce, se ne
impadronisce per amalgamarlo al proprio tessuto culturale e ideologico,
senza preoccuparsi delle conseguenze di tale egocentrismo linguistico
sulla comunicazione degna dell’uomo.
Così il nome di JHVH-Adonai,
Elohim, viene reso con decine di soprannomi che non hanno niente a che
vedere con il suo autentico significato. Di conseguenza la traduzione,
destinata al riavvicinamento delle culture, finisce per erigere fra di
esse ostacoli talvolta invalicabili.
Preso fra
le esigenze contraddittorie della fedeltà al testo e del desiderio di
essere compreso e apprezzato dai suoi lettori, il traduttore si sente
lacerato, spesso tentato di "fare meglio" del testo originale,
che egli riveste di un'estetica estranea; tutto ciò ha conseguenze
incalcolabili quando si tratta dei testi su cui si fondano le grandi
religioni.
Le
condizioni della sopravvivenza che il mondo ricerca andrebbero
innanzitutto rintracciate nella padronanza di un nuovo linguaggio. L'arte
di tradurre, nel significato più autentico di tale termine, deve
diventare una scienza destinata a rendere più permeabili le frontiere che
separano le lingue e le culture, per facilitare una comunicazione fra le
discipline e all'interno di esse che sia rispettosa delle peculiarità di
ciascuna cultura. Perciò la traduzione deve cessare di essere ciò che
attualmente è, vale a dire un campo ancora riservato all'arte o, più
spesso, all'artigianato per diventare una scienza viva aperta alle radici
delle culture poste a confronto.
Per ciò
che concerne la Bibbia, si renderà necessario un nuovo orientamento delle
sue traduzioni, in modo tale da restituirla all'Asia, in cui nacque, senza
tuttavia strapparla all'Occidente, che essa fecondò dando origine al
cristianesimo.
In verità,
la Bibbia è stata e rimane l'ambasciatore della saggezza orientale presso
le nazioni occidentali. Gli ambasciatori che restano troppo tempo lontani
dalla madrepatria rischiano, come è noto, di dimenticarne le sembianze
autentiche. Lo stesso è avvenuto con la Bibbia. È possibile riscoprirla
nei santuari del Giappone, del Nepal, dell'India, della Thailandia e di
altri paesi d'Oriente, come sicuramente in molte sinagoghe, chiese,
conventi, moschee e perfino università d'Occidente.
Sarebbe
illusorio, e per certi aspetti nefasto, immaginare che una lingua
universale possa imporsi a tutti i popoli, tuttavia occorrerebbe che, in
ogni lingua esistente, metodi di traduzione nuovi venissero ad arricchire
il linguaggio di valori nuovi, armonizzandone i significati globali. In
verità, solo il silenzio può forgiare l'unità del linguaggio umano.
Solo il silenzio permette di penetrare il mistero della pluralità delle
voci interiori dell'umanità.
Una nuova scienza, fondata su un'analisi
della natura del linguaggio, deve superare i problemi sollevati da Babele
e riavvicinarci al giorno salvifico in cui l'umanità avrà reintegrato
nella propria vita reale la trasparenza che nasce dal silenzio. Una nuova
umanità è in procinto di nascere. Se qualche cataclisma, ahimè fin
troppo prevedibile, non ne brucerà i germogli, essa cercherà di dare
vita all'utopia oggi inconcepibile, laddove, alle sorgenti del silenzio,
ogni traduzione si rivelerà inutile, una volta istituite fra gli esseri
umani nuove forme di comunicazione.
Ci troviamo
a Torino, non lontano dalle rive del Mediterraneo, dove come voi anch'io
sono nato. Ho trascorso la mia lunga vita a solcare le acque di questo
mare e a viaggiare per i paesi che vi si affacciano, fra i quali la
luminosa Italia, i cui tesori spirituali, letterari e artistici non
cessano di nutrire i nostri spiriti. Gli universi culturali dell'ebraismo,
del cristianesimo e dell'islam, nati dalla fecondità della Bibbia, devono
perciò aprirsi gli uni agli altri, in uno spirito di riconoscenza e di
complementarità.
Da quel
giorno di ottobre, del 1934, in cui, per la prima volta, attraversai
questo mare per scoprire in Europa gli splendori delle culture che in essa
videro la luce, il mondo è cambiato: lo spazio e il tempo hanno assunto
direzioni e dimensioni che erano sconosciute all'epoca in cui nacqui.
Noi
dobbiamo pensare al Mediterraneo e al mondo con urgenza tanto maggiore
quanto più tutto si trasforma continuamente. L’esigenza di un approccio
globale ai problemi è ormai una questione di sopravvivenza per tutti ed
è inevitabile che i popoli affacciati alle coste del Mediterraneo si
avvicinino gli uni agli altri, dal momento che la terra è diventata un
villaggio globale e altresì si trasforma la natura dello spazio e del
tempo.
I popoli
costieri del Mediterraneo, legati dall'impero romano per circa
quattrocento anni, hanno in seguito conosciuto innumerevoli conflitti di
carattere religioso e nazionale, dai quali sono stati condotti
sistematicamente alla rovina. È così che prende forma l'iniziativa degli
spagnoli e degli italiani, i quali, a partire dagli anni novanta,
inaugurano un nuovo capitolo di storia mediterranea: il partenariato
euro-mediterraneo ha sostituito i rapporti di forza del passato, trovando
conferma nella conferenza di Cannes (giugno 1995).
Il 18 novembre dello
stesso anno, la conferenza euro-mediterranea di Barcellona riuniva per la
prima volta i ministri degli Affari esteri di ventisette paesi europei,
nordafricani e mediorientali. La dichiarazione cosiddetta di Barcellona
completava i numerosi accordi bilaterali già esistenti, attraverso
convenzioni multilaterali che schiudevano le porte di un nuovo avvenire
alle risorse umane e agli scambi fra i popoli e le culture del
Mediterraneo.
Un nuovo
modo di pensare si sostituiva ormai al passato conflittuale delle economie
e delle religioni mediterranee, consentendo la mobilizzazione non solo
delle autorità ma anche dei popoli prima contrapposti. Era necessario
offrire un’opportunità all'unificazione auspicata dai pionieri di tale
riconciliazione. La conferenza di Malta, il 16 maggio 1997, ha confermato
l'autorevolezza della dichiarazione di Barcellona. Essa ha preso atto dei
rapidi progressi attuati dopo il 1995, creando il clima di fiducia
necessario per aprire il Mediterraneo alla sua nuova riunificazione.
Nel 1998,
il Multaqha [incontro, NdT] di Agrigento promosso
dall'UNESCO ha rappresentato il punto d'arrivo delle tendenze di cui si è
parlato, giacché vide riunirsi una rappresentanza significativa di tutti
i popoli del Mediterraneo. Barcellona aveva affermato la volontà dei
governanti di cambiare il corso della storia. Il Multaqha
di Agrigento confermava tale nuovo orientamento attraverso la massiccia
adesione delle associazioni della società civile che, sotto l'egida
dell'UNESCO, erano state create dopo Barcellona. Un'identica volontà si
manifestava, con lo scopo di realizzare un partenariato fra i quindici
governi dell'Unione Europea e i tredici paesi mediterranei invitati a
riunirsi.
È
sufficiente aprire gli occhi per rilevare che, su tutte le rive del
Mediterraneo, prevale lo stesso ambiente geografico e umano, all'ombra
degli ulivi e sotto la luce abbagliante e l'azzurro di questo mare. Il suo
sviluppo economico a livello regionale non potrà non fondarsi sulla
cooperazione, il partenariato e l'integrazione dei popoli e delle loro
culture. La soluzione dei conflitti che insanguinano ancora il
Mediterraneo nei Balcani, alle frontiere turche o in Medio Oriente offrirà,
alle soglie del terzo millennio, nuove opportunità al sogno profetico
della nascita di una terra nuova e di un uomo nuovo, sotto il suo cielo
azzurro.
Era per me
assolutamente evidente che il dialogo fra gli universi culturali doveva
passare attraverso il dialogo fra l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam,
sempre alimentato e mai interrotto. Il sangue delle vittime della guerra
doveva fecondare la nascita dei primi movimenti d'Amicizia
Ebraico-Cristiana e, in Algeria, delle associazioni d'amicizia fra
religioni monoteiste. Occorre ricordare i nomi di pionieri quali furono
Jules Isaac, i padri Riquet e Daniélou, Edmond Fleg, il gran rabbino
Jacob Kaplan, lo Cheikh Hamza Boubakeur e numerosi altri. Il sogno, comune
a molti di noi, di un riavvicinamento a partire dalle fonti scritturali
non tardò a far sentire i suoi effetti.
Il conflitto bimillenario che
contrapponeva cristianità ed ebraicità ebbe una svolta grazie all'umile
operato di quelle associazioni d'Amicizia
Ebraico-Cristiana. Alcune riforme concernenti la liturgia e la
catechesi permisero d'intraprendere l'opera di riconciliazione che
auspicavamo. Tale riconciliazione, avviata nel primo dopoguerra, proseguì
sotto il pontificato di Giovanni XXIII e ricevette una ratifica storica
durante il Concilio Vaticano II e nei documenti da esso promulgati, in
modo particolare nella dichiarazione Nostra
Aetate e nelle varie iniziative che a essa si ispirarono. Questo
stesso movimento condusse, in seguito, a un avvicinamento fra la Santa
Sede e lo stato d'Israele e infine a un riconoscimento reciproco, il 30
dicembre 1993.
La
creazione dello stato d'Israele l'indomani della shoà aveva
suscitato autentica commozione in tutto il mondo. Dopo il 15 maggio 1948
gli ebrei si avviarono numerosi verso il loro antico e insieme nuovo
paese, in cui assistettero e contribuirono alla risurrezione del loro
popolo, del loro stato, dello loro lingua e della loro cultura.
Entro i
confini dell'antico regno di Davide essi presero coscienza
dell'universalità del loro popolo, Israele, impresso nell’essere
dell'intera umanità. Grande fu la nostra sorpresa nel constatare che
provenivamo da ben centodue paesi e che parlavamo novantanove lingue
differenti, per rinascere nella lingua della Bibbia, l'ebraico, anch'essa
risuscitata. La commozione non fu minore fra gli arabi.
Gerusalemme
rappresenta uno dei crocevia più importanti di quell'incontro fra l'Asia
e il Mediterraneo da cui sono nati la Bibbia e il Corano, e un punto
d'incontro d'importanza storica fra nord e sud, fra paesi ricchi e paesi
poveri. Essa è anche il luogo in cui si sono formati la Toràh, il Nuovo
Testamento e il Corano, che pure ha qui le sue radici.
Alle soglie
del terzo millennio la città, per la sua posizione geografica e storica,
è l'epicentro di un confronto e di un conflitto permanente fra i popoli e
le religioni che a essa si richiamano. Gerusalemme può e deve, invece,
diventare il centro della loro riconciliazione esemplare, dove si
incontrano l'Asia, l'Africa e il Mediterraneo.
Capitale
nazionale d'Israele, capitale religiosa dell'ebraismo, del cristianesimo e
dell'islam, Gerusalemme avrà dunque il compito di realizzare le speranze
nutrite dai suoi fondatori e, lungo i secoli, dai suoi abitanti ebrei,
cristiani e musulmani, i quali hanno tutti cullato la visione di
un'alleanza universale di pace. La riconciliazione dei suoi abitanti –
ebrei provenienti da tutti i paesi del mondo, musulmani appartenenti a
tutti i gruppi etnici e a tutti i riti dell'islam e cristiani che, con le
loro trentacinque differenti confessioni, rappresentano in modo perfetto
l'ecumenicità della Chiesa – costituisce il vero volto della nostra
città, a immagine del "villaggio globale" del mondo.
Una
Gerusalemme realmente pacificata in tutti i suoi abitanti potrebbe
diventare uno dei luoghi privilegiati dell'incontro fra il Creatore e le
Sue creature, fra Dio e gli uomini. Sarà sufficiente riconoscere in
ognuna delle creature il suo rapporto di filiazione con il Creatore dei
cieli e della terra: ebrei, cristiani e musulmani, uomini di ogni razza e
provenienza, siamo tutti figli Suoi, figli dell'Alleanza originale su cui
si fondano le nostre tre religioni abramitiche, che contano oltre due
miliardi di fedeli, ebrei, cristiani e musulmani, uomini che dovrebbero
riconoscersi fratelli e assomigliare all'uomo nuovo annunciato già dai
nostri profeti.
Al termine di tante migliaia di anni da Abramo, da
Mosè e al termine del secondo millennio da Gesù, è infine tempo che il
popolo dell'Alleanza tenga fede alle promesse fatte, giacché tale popolo
esiste: esso non annovera solamente circoncisi e battezzati, ma ogni uomo
vivente, costruttore di pace, sorgente di vita. Quanto al paese
dell'Alleanza, solo la terra intera oggi potrebbe esserlo, definitivamente
votata alla luce dell'amore.
Ecco dunque
che la risurrezione si accompagna a un lungo e difficile cammino, quello
dell'intera umanità in cerca della propria pacificazione e della propria
unificazione. Il mondo nuovo che sta per nascere tende a comporre le
fratture provocate dal conflitto fra le nazioni e le religioni.
Attraverso
gli universi culturali, la cui ricchezza è altrettanto varia quanto gli
innumerevoli fiori della primavera piemontese, celebriamo qui il dialogo e
l'incontro dell'uomo con l'Uomo. Noi siamo i figli di una generazione che
si è mostrata capace dei più grandi crimini perpetrati nella storia, le
cui vittime si contano in decine di milioni. Questa stessa generazione ha
inoltre disvelato con il suo genio i segreti più riposti sia
dell'infinitamente piccolo sia dell'infinitamente grande, e oggi si eleva
nella stratosfera per contemplare direttamente Giove o Venere. Saprà
scoprire il Volto del Creatore dei cieli e della terra?
Sulla
terra, questa stessa generazione ha riconciliato ebrei e cristiani, i
figli di Cristo e quelli d'Israele, grazie al genio dei grandi papi della
seconda metà del secolo attuale, cioè Giovanni XXIII, Paolo VI e
Giovanni Paolo II. Ci auguriamo che, alla vigilia dell'anno giubilare, la
riconciliazione dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam inauguri la
via regale dell'autentico dialogo fra tutti gli universi culturali, sia
quelli nati sulle rive del Mediterraneo sia quelli sorti in Asia, in
Africa e nelle Americhe. Rabbini, preti e imham dovranno
privilegiare, aldilà delle loro divergenze teologiche, l'ideale
dell'Alleanza, cioè del dialogo fra gli universi culturali.
Sottolineamolo con forza: la Toràh è il libro
dell'Alleanza, Berith, il Nuovo Testamento è il
libro della Nuova Alleanza così come il Corano impone ai suoi figli il
compito di realizzare le alleanze di Abramo, di Mosè e di Gesù.
Nella
Bibbia la piramide dell'Alleanza ha inizio con l'atto creatore dei cieli e
della terra: "Bere'/shi/t bara' Elohim 'et ha-/samayim ve-'et
ha-ere#s", "In principio Dio [Elohim] creò i cieli e la
terra". Tale atto creatore fonda l'alleanza fondamentale di Elohim
con tutte le creature delle quali Egli è Padre. Noè e Abramo confermano
tale alleanza, estesa a tutti i popoli della terra, mentre Mosè stipula,
nella cornice drammatica del Sinai, l'alleanza di Elohim con il popolo
d'Israele. Gesù e i Suoi apostoli rinnovano la validità dell’alleanza
nel Nuovo Testamento. Altrettanto avviene, a questo riguardo,
nell’islam: Mu#hammad, ispirato da Dio, intende realizzare l'ideale di
Mosè e di Gesù, la cui autenticità è riconosciuta e confermata dal
Corano in cinquecentodue versetti.
L’inveramento
di tale visione, che è al primo posto sia nell'ebraismo sia nel
cristianesimo e nell'islam, potrebbe salvare il mondo dalle conflagrazioni
sin troppo prevedibili e dai pericoli mortali che lo minacciano.
La mia Lettre
à un ami arabe, pubblicata in francese nel 1968 e tradotta
in inglese e in arabo, prefigurava una soluzione durevole al conflitto fra
israeliani e palestinesi, con la proposta di una confederazione che
riunisse entrambi i popoli. A quell'epoca, tale soluzione sembrava una
chimera. "È un'utopia", dicevano i critici. Poi, con il
trascorrere del tempo, la Giordania ha firmato un trattato di pace con
Israele, mentre l'entità palestinese e lo stato d'Israele sono arrivati
al riconoscimento reciproco il 13 settembre 1993. Anche il Marocco e la
Tunisia hanno instaurato nuove relazioni con Israele.
Il fuoco
della guerra continua a mietere vittime in attentati nella maggior parte
dei casi provocati da forze estranee al paese, terroristi istigati e
prezzolati da estremisti quali gli Hezbollah. Tuttavia, la pace non è
certamente più considerata impossibile dai due popoli, che fanno le spese
della guerra. Nel profondo, i nostri due popoli aspirano a una
riconciliazione reale, che apra le porte a un avvenire degno della loro
trascorsa grandezza.
È così che le idee seminate da tutti coloro che
sono animati dall'ideale di riconciliazione si sono fatte strada: fin dal
1988 il nostro Movimento per la Confederazione si è preoccupato di
assicurare solidi fondamenti giuridici alla pace, nel quadro di una
confederazione di due stati associati sotto il controllo di una Corte di
giustizia che tuteli i diritti e la sicurezza di tutti gli abitanti.
Infatti, sarebbe un errore cercare la pace in un luogo che non sia il
cuore dei nostri popoli. La soluzione di tale conflitto non verrà mai da
una mera spartizione territoriale, qualunque essa sia.
Lo stato di tipo
hegeliano, napoleonico o prussiano è ormai anacronistico e in Medio
Oriente costituirebbe un'assurdità ancora più grave, laddove le
nazionalità, le etnie e le religioni sono strettamente intrecciate le une
alle altre. Occorre abbandonare in modo risoluto lo jus soli
per adottare il principio dello jus personae,
anteponendo il diritto personale al diritto del suolo su cui avviene la
convivenza. Invece di dividerlo, è dunque necessario unificare il paese,
separando le competenze amministrative in modo tale da garantire i diritti
legittimi di ciascuno.
Solo una
trattativa diretta fra israeliani e palestinesi potrà permettere
l'edificazione di tale confederazione mediorientale, bicefala (Israele e
Palestina) o tricefala (Israele, Giordania e Palestina) che sia.
Gerusalemme, capitale d'Israele, svilupperà la vocazione di capitale
della confederazione, come già lo è dell'ebraismo, del cristianesimo e
dell'islam. Il suo compito sarà quello di unificare i popoli e le
religioni, salvaguardando la specificità di ciascuno nell'unità
territoriale del paese grazie a un'equa ripartizione delle competenze.
I popoli
della regione, malgrado le bramosie e le bravate dei loro dirigenti e dei
loro politici, sono sfiniti e chiedono grazia, come chiede grazia la terra
lacerata dal conflitto. Ora più che mai è il momento di resistere ai
ciechi estremismi di ogni frangia. Questa pace, così difficile da
realizzare, finirà per vincere sia le pesantezze e le lacerazioni della
storia sia i potenti interessi di coloro che di tale conflitto ancora
vivono.
Riconciliatevi,
ebrei, cristiani e musulmani, a Gerusalemme e in tutto il Medio Oriente, e
creerete, alle soglie del terzo millennio, una comunità unificata da una
fede comune, dal medesimo dialogo e dalla stessa speranza, quella
dell'Alleanza predicata da Mosè e da Gesù e promessa da Mu#hammad.
Intorno al centro gerosolimitano di tale confederazione, si riuniranno a
far parte tutti coloro che si sentono legati alla sua storia o ai suoi
ideali di giustizia e di pace. Sarà necessaria tutta questa potenza
spirituale, viva e unica, per vincere i pericoli mortali, ahimé molto
concreti, che minacciano la terra, nostra madre. In tal modo, la tecnica
giuridica moderna servirà a che si compia l'antica profezia di Isaia, che
previde, più di duemila anni fa, la gloria di Gerusalemme, luogo di
riconciliazione dell'Oriente e dell'Occidente, del Nord e del Sud:
Rallegratevi
con Gerusalemme,
esultate per essa quanti la amate.
Sfavillate di gioia con essa
voi tutti che avete partecipato al suo lutto.
"Ecco
io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità;
come un torrente in piena
la ricchezza dei popoli"
(Isaia 66,
10, 12 e segg.).
[*]
Fonte: Fondazione Giovanni Agnelli, http://www.fga.it/
|