IV Giornata Europea della Cultura Ebraica, 
momento di conoscenza e tolleranza
Edizione 2003 - Soncino (Cremona)


UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE

È un luogo comune che l’arte figurativa occupi tradizionalmente un posto del tutto secondarlo nella cultura ebraica, a causa del secondo dei dieci Comandamenti che proibisce l’uso di immagini. A prescindere dal fatto che la proibizione della Torah riguarda non solo le immagini di uomini o altri esseri viventi ma di tutte le immagini di ciò che si trova sotto al cielo, i fatti storici sembrano almeno in parte contraddire la rigorosità assoluta di tale interdizione.

Dobbiamo liberarci dalla concezione errata secondo la quale l’artista si limiterebbe a rappresentare quasi fotograficamente gli oggetti della realtà mentre persino nelle raffigurazioni classiche, che tutti si illudono di capire a prima vista, si tratta in realtà di un linguaggio che va tradotto o interpretato articolandolo in concetti accessibili alla nostra coscienza. 

Questa considerazione vale in modo particolare per l'arte moderna che ha saputo sviluppare con simbolismi propri un linguaggio che opera al tempo stesso sulla emotività e sulla razionalità di colui che la ammira.

Noi, che apparteniamo al pubblico, diventiamo così una specie di collaboratori dell'artista perché qualunque linguaggio implica un dialogo fra colui che trasmette il messaggio e colui che lo recepisce. In questa logica, nei lavori realizzati dal maestro Bonaldi mi pare che venga affermata la necessità capitale per l'uomo di non vivere a livello della natura ma di superarla, necessità non di disprezzarla ma di controllarla, di dominarla e di non accontentarsi di imitarla. Se per esempio, il corpo umano è supposto venire al mondo compiuto, perfetto, al contrario per la Torah questo corpo è incompleto. 

La circoncisione o brit mila, alleanza della carne, interviene a perfezionare scoprendo l'organo della procreazione, ma non si perfeziona aggiungendo bensì togliendo, privando, come nella scultura. Un bambino diventa ebreo soltanto all'ottavo giorno di vita, quando ha compiuto una settimana (quindi uno shabbat) più un giorno, quando ha superato lo statuto naturale del sette (la perfezione naturale: i sette giorni della settimana o le sette note musicali do-re-mi-fa-sol-la-si, per tutti i popoli, non soltanto per il popolo ebreo) per elevarsi al registro dell'otto, simbolo, nella tradizione ebraica, del marchio umano sulla natura. Il segreto del popolo ebraico è che non vive a livello del sette, dell'istinto, ma a livello dell'istinto controllato dalla ragione, dunque il livello dell'otto.

E' pure importante non dimenticare che il messaggio dell'artista ebreo non invita mai al culto idolatrico, la avodà zarà, ma è un'esortazione a crescere nella comune espressione di un antico dolore e di una nuova sofferenza che vogliamo però leggere come l’inizio della nostra redenzione. In questa direzione l'opera che ci presenta Giovanni Bonaldi è una sollecitazione, un regalo, un passaggio dal lutto alla speranza, dalla tenebra alla luce.

Amos Luzzatto
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Roma, 20 maggio 2003



 
 
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