Luca 3: tra storia e teologia Alcune precisazioni Questa volta vogliamo soffermarci su di un semplice capitolo, Luca 3, per constatare come i vangeli, specialmente quello di Luca, vogliano trattare di storia, ma secondo le modalità di un’interpretazione teologica. In altri termini, essi non intendono offrire una serie di dettagli concreti, quali la nostra sensibilità storiografica oggi pretenderebbe, pena la falsificazione ideologica; essi vogliono piuttosto presentare la realtà storica della persona di Gesù e dell’evento centrale della storia della salvezza, in chiave teologica: la fede si è fatta racconto storico. Non si tratta d’invenzione né tanto meno di frode ideologica, ma di una modalità legittima di raccontare la verità di e su Gesù, diversamente da quello che un saggio moderno di storia si propone. Lo storico moderno fa della scienza storiografica, non delle affermazioni di fede; i vangeli sono invece delle dichiarazioni di fede in forma di racconto storico. Ora, coloro che hanno scritto i vangeli erano persone vissute nel I sec. d.C., perlopiù di origine ebraica, eccetto probabilmente Luca che la tradizione più antica vuole di origine sira, più precisamente di Antiochia. L’epoca e la cultura d’origine hanno influenzato fortemente la formulazione della fede dei vangeli. Senza dubbio, con l’evento di Gesù Cristo si è verificato qualcosa di unico e d’irripetibile, che trascende la comprensione umana; tuttavia, proprio per la funzione salvifica di tale evento, esso doveva essere manifestato in qualche modo al mondo, ed essendosi verificato nell’ambito della storia Uno sguardo di fede nel cuore della storia Lc 3,1: “Era l' anno quindicesimo del regno di Tiberio Cesare: Ponzio Pilato governava la Giudea, Erode era tetrarca della Galilea e suo fratello Filippo dell' Iturea e della Traconitide; Lisania governava la provincia dell' Abilene, 2 mentre Anna e Caifa erano i sommi sacerdoti. In quel tempo la parola di Dio fu rivolta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 Egli allora percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati. 4 Si realizzava così ciò che è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Ecco, una voce risuona nel deserto: Preparate la strada per il Signore, spianate i suoi sentieri! 5 Le valli siano riempite, le montagne e le colline siano abbassate; le vie tortuose siano raddrizzate, i luoghi impervi appianati. 6 Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio»”. Il racconto ci porta immediatamente in un’epoca storica ben precisa, quella del dominio dell’impero romano sulla Palestina, così come leggiamo anche in Lc 2,1-3. I dati sono precisi e sicuramente l’evangelista, ben informato, intende dare anche ai suoi lettori informazioni precise, per avvertirli che quanto andrà esponendo ha un supporto verificabile e autentico. Immediatamente però, senza apparente soluzione di continuità, il modo di narrare si trasfigura nel racconto di fede, formulato in linguaggio biblico. Proprio in quel tempo, “la parola di Dio” si fa presente a Giovanni Battista nel deserto, secondo l’espressione e l’intendimento degli antichi profeti. Così troviamo in Geremia: “A lui fu rivolta la parola del Signore” (1,2). Non si dimentichi che Geremia è stato evocato ancora precedentemente dall’angelo, all’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni, il quale sarebbe stato ricolmo di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (vedi Lc 1,15 e Ger 1,5). Ma anche in Osea 1,1 si legge: “La parola del Signore che fu rivolta a Osea, figlio di Beeri…”, e in Ezechiele 1,3: “La parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzì”. Luca, introducendo la parola di Dio nella storia degli uomini, compie l’opera di uno storico, il quale, con gli occhi della sua fede, cerca di leggere ed interpretare con categorie bibliche il mistero di quel che è avvenuto nell’epoca di Gesù. Giovanni Battista da un lato continua la linea dei profeti, come la madre aveva continuato quella delle antiche matriarche bibliche, dall’altro porta a compimento le profezie, come viene subito affermato, citando Isaia 40,3-5. L’antico profeta aveva parlato di un’era nuova per il popolo di Dio, Israele, un’era annunciata nel deserto da una voce ispirata da Dio, il quale non avrebbe cessato di farsi presente nella storia con un secondo Esodo, con una seconda liberazione e una seconda alleanza. I pochi versetti lucani che abbiamo considerato finora, ci mettono di fronte alla grande verità cristiana: quel che l’utero d’Israele ha concepito e sviluppato nella sua lunga storia è venuto a maturazione ed è nato con Gesù e con la sua missione salvifica. Il cuore delle attese messianiche dell’AT viene ora a pulsare nella comunità dei credenti in Cristo. Con quest’intendimento, Luca però non vuole tagliare i legami tra il popolo dell’attesa e quello della realizzazione della salvezza. Al contrario, egli, pur dovendo sottolineare la novità e la superiorità dell’evento cristiano, si sforza, come si è visto nei primi due capitoli (vedi il nostro articolo precedente), di “apparentare” l’Antico e il Nuovo Testamento, di metterli in necessaria comunicazione, in modo che sia lo stesso antico popolo di Dio che si continua nel nuovo, non attraverso “la carne e il sangue”, ma attraverso la fede (ricorda il mutismo di Zaccaria e la esaltazione di Maria). Che la nuova appartenenza sia definita dalla fede, lo dimostrano le parole di Giovanni, durante il suo ministero di predicazione nel deserto: “Dimostrate con i fatti che vi siete veramente convertiti e non cominciate a dire tra di voi: «Noi come padre abbiamo Abramo»”. Io vi dico che Dio è capace di suscitare veri figli ad Abramo anche da queste pietre”. I figli di Abramo non sono solo quelli secondo il sangue, bensì anche e soprattutto quelli che vivono di fede, come l’antico patriarca (cf. Gen 15,6). La predicazione del profeta Giovanni diffusa nei vv. 7-18 è un esempio eloquente di questa verità teologica, la quale, come si è detto, non intende dividere, ma unire più profondamente l’antico e il nuovo. È quanto esplicita al v. 18 la denominazione della predicazione di Giovanni come vangelo: “E con altre esortazioni ancora egli annunciava al popolo la Buona Novella (= il vangelo)”. Il messaggio dell’AT è il messaggio evangelico sulle labbra di Giovanni. Tale continuità viene espressa in modo mirabile nei due episodi che seguono. Giovanni, a causa della verità evangelica, che è anche giustizia, viene imprigionato da Erode Antipa (vv. 19-20). Egli così scompare dalla scena, per lasciare il posto al “battezzato nello Spirito Santo”, al “Figlio di Dio” (vv. 21-22). Come erano state accomunate le nascite dei due personaggi nei primi due capitoli, così sono ora accomunate dal passaggio del testimone dall’uno all’altro; e come dell’uno si sottolineava però la superiorità rispetto all’altro, così di Gesù viene subito data nei vv. 23-38 la genealogia, che è una vera e propria dichiarazione dogmatica sul mistero della persona di Gesù. L’Atteso dal popolo di Dio è vero uomo e vero Dio. È vero uomo a partire da suo padre Giuseppe su su fino ad Adamo, dopo il quale egli viene confessato Figlio di Dio. Anche qui abbiamo una stupenda affermazione teologica. Quella creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio di cui parla Gen 1,27, trova nell’affermazione lucana che l’uomo Gesù è Figlio di Dio la più completa e la più alta interpretazione. | indietro | | home | | inizio pagina | |