Due voci ebree per il discorso del Papa ad Auschwitz
31 maggio 2006
Si tratta di due
testi, uno di Etty Hillesum e, l'altro, il commento di Marina
Valensise su un articolo di Benedetto Carucci Viterbi, pubblicato da
il Foglio. Due voci che ci regalano una ermeneutica profonda. in un
coro di critiche comprensibili per la drammaticità del contesto, ma
certamente non costruttive.
torna su
Dal Diario di Etty
Hillesum, volontaria a Birkenau
a cura di LnR
È bello ricordare, in
riferimento alla visita e al discorso pronunciato da Benedetto XVI, le
parole meravigliose scritte da Etty Hillesum poco tempo prima di partire
volontaria per poi morire proprio in questo luogo in cui il Papa ha parlato e pregato:
"Una cosa, mio Dio,
diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare
noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi
stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche
l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi,
mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori
devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far
molto per modificare le circostanze attuali ma anch'esse fanno parte di
questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi
sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio
cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi
aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. Esistono
persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo
aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento - invece di salvare te,
mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli
di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il
proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si
può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia". (Etty
Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi 1996) - Un
altro stralcio dal Diario...
Etty non PRETENDE
risposte da Dio ma, anche di fronte
alla notte più buia che sta per incombere, accetta il mistero di questa
presenza-assenza.
Che il Signore ci conceda
il coraggio e la forza di difendere sempre la sua casa nel nostro cuore
e di comprendere e amare la Sua onnipotente debolezza....
Per
Carucci il discorso di Auschwitz "pone teologicamente fine
all'antisemitismo cristiano"
di Marina Valensise
Roma. Semplice e potente,
il discorso di Benedetto XVI ha colpito Benedetto Carucci Viterbi. Il
rabbino romano che insegna esegesi biblica al Collegio rabbinico e da
tre anni tiene corsi di introduzione all’Ebraismo alla Pontificia
università gregoriana, è severo nel giudizio. Ne ha fatto una lettura
circostanziata, l’ha trovato “interessante, complesso, di spessore
notevole”. Alla fine, però, dopo varie glosse e interrogativi
talmudici, ha dovuto ammettere: “Sul piano teologico, contiene un’affermazione
forte, che pone fine a duemila anni di antisemitismo cristiano”. Cos’altro
dice infatti il Papa di Roma quando, nel cuore del suo discorso di
Auschwitz, cita le parole del Salmo e parla di “quei criminali
violenti”, che “con l’annientamento di questo popolo ebraico,
intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai
stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in
eterno?”.
Risponde rav Carucci leggendo il discorso di Ratzinger passo
passo: “Il Papa riconosce che il popolo ebraico è una testimonianza
del Dio che ha parlato all’uomo. E nel far questo, porta alle estreme
conseguenze lo sterminio nazista, come un paganesimo esasperato,
negazione del piano del divino. La negazione di Israele, insomma, è una
negazione di Dio, che induce l’uomo a ergersi ad arbitro assoluto e di
fatto ad arbitro dominatore. La vera morte di Dio dunque per lui non è
alle spalle del nazismo, ma di fronte al nazismo. Il nazismo uccide Dio,
il Papa sta dicendo che il nazismo uccide Dio attraverso il tentativo di
distruzione del popolo di Israele. È un’altissima dichiarazione di
rispetto e riconoscimento. Mette fine a una guerra durata duemila anni”.
Di fronte a simili considerazioni, le divergenze e il contenzioso
teologico passano in secondo piano. Certo, per Carucci, il fatto che il
successore di Pietro, rappresentante di Cristo in terra, abbia citato
solo ed esclusivamente l’Antico Testamento, resta un motivo di
riflessione, prossimo alla perplessità. A cominciare dal silenzio di
Dio, un tema costitutivo nella tradizione biblico-rabbinica. “Il primo
riferimento, spiega Carucci, è un testo della Bibbia che dice ‘chi è
come te fra gli dei’: si trova nella cantica del Mare, che gli ebrei
cantano dopo aver traversato il Mar Rosso, quando escono dall’Egitto
per andare nella Terra promessa. Quel verso, incongruente visto che per
l’ebraismo non ci sono altri dei, ha subìto una rielaborazione dovuta
al gioco di una quasi omografia tra le due parole, tant’è che la
tradizione talmudica legge: ‘chi è come te tra i muti’. Per noi è
sinonimo di grandezza. Dio viene definito come colui che si contiene, al
punto da non esprimersi, da restare ammutolito di fronte alla sofferenza
del popolo”. Vuol dire che Dio, che per l’Antico Testamento è
innanzitutto legge, dovere, ferocia e severità, abbandona il suo
popolo? “No – risponde Carucci – Vuol dire che Dio fa forza su se
stesso e preferisce restare ammutolito, per non intervenire nelle
vicende degli uomini, lasciando a essi piena responsabilità di fronte
alla sofferenza, in quanto costitutiva dell’uomo nel mondo è una
sostanziale libertà, che ovviamente ha un prezzo”.
È questo per
Carucci il nocciolo della questione del silenzio di Dio. “È vero
che nelle fonti biblico- ebraiche citate dal Papa, e nella letteratura
rabbinica che le rielabora, questo tema compare, come pure quello del
nascondimento del volto di Dio, ma ciò per gli ebrei interpella
innanzitutto la responsabilità umana, non quella divina. Il silenzio di
Dio, in altri termini, comporta l’assoluta responsabilità dell’uomo”.
Volevano strappare le nostre radici comuni “Dov’era Dio in quei
giorni?” si è domandato il Papa davanti alle lapidi di Auschwitz. “Perché
Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione,
questo trionfo del male?”. E ha citato il Salmo 44, il lamento dell’Israele
sofferente, quasi a suffragare l’intento di riconciliazione,
ricacciando la responsabilità del male nell’orbita del paganesimo.
“Quando il Papa dice che con la distruzione di Israele volevano
strappare anche la radice su cui si basa la fede cristiana è un fatto
rilevante, che potrebbe essere interpretato in modo duplice:
sostituendola con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo,
del forte, mentre il silenzio di Dio che per la tradizione ebraica è un
atto di forza che Dio fa su se stesso, quando decide di non mostrarsi,
viene interpretata come assenza di Dio, come sopraffazione dell’uomo
di Israele e di altre genti. Tant’è vero che i nazisti dicevano ‘Gott
mit Uns’”.
Infine, altro aspetto incomprensibile per noi cristiani,
la contabilità del rancore, il rendiconto degli atti di Dio che gli
ebrei da pari a pari esigono da lui: “È presente nella Bibbia, e si
continua sin nella letteratura hassidica. Il Papa però si ferma sulla
soglia quando dice non possiamo giudicare, ‘Non possiamo scrutare il
segreto di Dio’. Nella tradizione rabbinica invece, la giustizia del
giusto consiste proprio nel chiedere conto a Dio della sua giustizia.
‘Forse che il giudice di tutta la terra non farà giustizia? ‘Sarebbe
un modo di autoprofanarti’ dice Abramo rivolgendosi a Dio alla vigilia
della distruzione di Sodoma, quando basterebbero dieci giusti per
risparmiarne tutti gli abitanti. Il baratro di Auschwitz non ha avuto di
fronte uomini giusti a sufficienza per fare lo stesso.
Nessuno vuole
imputare responsabilità collettive, resta però la domanda sul silenzio
umano di fronte al silenzio di Dio. Ma esiste anche un altro versante in
cui, dopo Auschwitz, si è mantenuta sino all’estremo limite la fede
in Dio”.
____________
[Fonte: UCEI 31 maggio 2006]
v.anche
Discorso di
Benedetto XVI ad Auschwitz, 28 maggio 2006
Stralcio
dall'Udienza generale del 31 maggio