Implicazioni della visita del 
Presidente israeliano Katzav in Vaticano

Secondo Jean-Marie Allafort, corrispondente a Gerusalemme di “Radio Espérance”


Giovedì prossimo, 17 novembre, Benedetto XVI riceverà in udienza in Vaticano il Presidente di Israele, Moshe Katsav, che potrebbe invitare il Papa a visitare il suo Paese. 

Jean-Marie Allafort, corrispondente da Gerusalemme dell’emittente francese “Radio Espérance”, ha dichiarato che questa visita “non è vista come un semplice incontro tra due Capi di Stato, ma piuttosto come un ulteriore passo nel cammino della riconciliazione tra gli ebrei e la Chiesa cattolica”.

Anche se Katsav rappresenta lo Stato di Israele, infatti, è “anche percepito come un alto rappresentante del popolo ebraico”.

Questa visita, ha spiegato Allafort, sarà per Israele “particolare” a causa “del passato, anche recente, dei rapporti tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico, così come tra il Vaticano e lo Stato di Israele”, e contribuirà “necessariamente” ad un loro miglioramento.

Anche se le relazioni diplomatiche tra i due Stati sono recenti e caratterizzate da “alti e bassi”, il corrispondente di “Radio Espérance”rivela che al Ministero degli Esteri israeliano “i diplomatici incaricati dei rapporti con il Vaticano sono molto soddisfatti del dialogo permanente che si è instaurato”.

“La stampa ha spesso esagerato la crisi tra Israele e il Vaticano – ha constatato Allafort –. Ci sono questioni sulle quali c’è disaccordo, come quella riguardante il muro di sicurezza intorno a Gerusalemme e nei territori occupati, o come le difficoltà che sperimentano certi religiosi provenienti da Paesi arabi o dall’Africa per ottenere i visti, ma nell’insieme Israele presta sempre più attenzione alle richieste delle autorità cristiane”.

La Chiesa cattolica, del resto, “è l’‘organizzazione mondiale’ più grande di lotta contro l’antisemitismo. Il numero di dichiarazioni, di insegnamenti e di omelie di Papi, Vescovi e sacerdoti non lascia luogo a fraintendimenti”.

Secondo il corrispondente, è necessaria una maggiore conoscenza della dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate”, il cui insegnamento teologico “è lungi dall’essere preso in considerazione da parte dei fedeli”.

“Per molti – ha osservato Allafort –, l’ebraismo è un’altra religione, come l’islam o il buddismo. Il rapporto con l’ebraismo, tuttavia, ha una natura diversa. Le implicazioni teologiche della dichiarazione ‘Nostra Aetate’ non sono conosciute, e ciò diminuisce anche l’interesse per la tradizione ebraica in ambienti cattolici”.

Quanto al modo in cui sono percepiti a Gerusalemme i gesti di Papa Benedetto XVI, come la visita alla sinagoga di Colonia o l’udienza ai grandi Rabbini di Israele, Allafort ha affermato che “quando Benedetto XVI è stato eletto Papa le reazioni in Israele sono state nell’insieme molto positive per tre motivi”.

In primo luogo, “Benedetto XVI è tedesco ed ha sperimentato, come il suo predecessore, la Seconda Guerra Mondiale”. Ciò lo porta ad essere “sensibile al genocidio del popolo ebraico e all’antisemitismo”.

Si sa, inoltre, che il Cardinale Joseph Ratzinger ha incoraggiato Giovanni Paolo II nei gesti di riconciliazione con il popolo ebraico e che, in questo contesto, il suo pontificato si iscrive dunque “in una continuità perfetta” con quello di Papa Wojtyla.

Il fatto che fosse presentato dalla stampa come un conservatore, infine, era visto in modo positivo dai Rabbini, tranquillizzati dalla sua “dimensione di teologo”.

“Con un Papa così non c’era posto per brutte sorprese…”, ha osservato Allafort.

Un fatto inatteso, tuttavia, c’è stato: “La moltiplicazione dei gesti a favore degli ebrei dall’inizio del suo pontificato”.

Il futuro delle relazioni tra l’ebraismo e la Chiesa cattolica “passa oggi anche per Israele”, ha poi commentato Allafort.

“E’ un’evoluzione fondamentale – ha constatato –. Finora, il dialogo ebraico-cattolico era promosso dalle comunità ebraiche della diaspora, soprattutto americane. Oggi si sposta fino a Gerusalemme”.

“Per Roma, Israele non è solo uno Stato, ma anche un rappresentante legittimo del popolo ebraico – ha proseguito –. Dalla visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa, nel marzo del 2000, si constata un’evoluzione in questo senso: si è creata una Commissione tra il Vaticano e i Rabbini di Israele, che si riunisce ogni sei mesi sia a Roma che a Gerusalemme”.

Il futuro tra ebrei e cattolici passa poi “per una migliore conoscenza reciproca”: bisogna quindi “studiare l’ebraismo nelle università cattoliche e nei seminari, ed approfondire la questione teologica dei rapporti tra la Chiesa e il popolo ebraico”.

“In definitiva, è arrivato il momento in cui ebrei e cristiani devono lavorare concretamente in certi progetti (umanitari, sociali, etici…) – ha concluso –. Finché il dialogo ebraico-cristiano continuerà ad essere confinato al mondo intellettuale, il suo impatto sarà limitato. I laici devono partecipare più attivamente a questo dialogo e bisogna sensibilizzare i giovani sulla questione”.


v.anche:
Resoconto sulla visita
Attese sulla visita di stato del presidente Katzav
Le ragioni di una crisi

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