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La memoria della Shoah: «Tristezza e pentimento»
Mimmo Muolo su Avvenire 8 settembre 2007
Sotto un grande ombrello bianco, senza
curarsi della pioggia che cade abbondante, Benedetto XVI si ferma per qualche
minuto in silenziosa preghiera davanti al monumento di Judenplatz. Ha voluto
inserire questo momento (unica tappa interreligiosa nel suo pellegrinaggio in
Austria) «per mostrare - come ha spiegato poco prima in aereo, rispondendo alle
domande dei giornalisti - la nostra tristezza, il nostro pentimento e anche la
nostra amicizia con i fratelli ebrei e per andare avanti in questa grande unione
che Dio ha creato con il suo popolo».
Ora qui, con il suo atteggiamento, il Papa che in poco più di due anni ha già
visitato una sinagoga (a Colonia, agosto 2005) e reso omaggio alle vittime della Shoah nel più terribile campo di concentramento nazista (Auschwitz, maggio 2006)
rende concreta quell'intenzione. E in un certo senso la estende anche ai secoli
precedenti, soprattutto con la sottolineatura del «pentimento», che si ricollega
direttamente a quanto qui si commemora e fa tesoro della purificazione della
memoria, tanto cara a Giovanni Paolo II.
La Judenplatz, infatti, è un luogo della memoria unico nel suo genere, dal
momento che ospita, oltre al Monumento della Shoah, gli scavi che hanno portato
alla luce una sinagoga medioevale e il museo del giudaismo. Sulle piastrelle
incastonate nel pavimento intorno al grande parallelepipedo grigio che si spicca
al centro della piazza sono incisi i nomi delle località in cui persero la vita
gli oltre 65mila ebrei austriaci assassinati dai nazisti tra il 1938 e il 1945.
Ma una targa in tedesco e in inglese ricorda anche altri ebrei ingiustamente
perseguitati. Sono quelli di Vienna, i quali «scelsero una morte volontaria al
tempo della persecuzione del 1420-21, per sfuggire al battesimo forzato che essi
temevano. Altri, circa 200, furono bruciati vivi in un rogo a Erdberg. I
predicatori cristiani di quel tempo - prosegue l'iscrizione - diffondevano idee
superstiziose anti-ebraiche e si scagliavano contro gli ebrei e la loro fede.
Sotto questa influenza, i cristiani di Vienna accettarono il crimine senza
resistenza, lo approvarono e lo perpetrarono. In questo modo, la distruzione del
ghetto di Vienna nel 1421 era già un presagio minaccioso degli eventi che
sarebbero accaduti in tutta Europa al tempo della dittatura nazionalsocialista.
I Papi medievali - aggiunge la lapide - combatterono senza successo contro
questa superstizione antiebraica, e singoli credenti si schierarono invano
contro l'odio razzista dei nazionalsocialisti. Ma erano troppo pochi. Oggi, la
cristianità si pente per la sua partecipazione alle responsabilità per la
persecuzione degli ebrei e riconosce la sua colpa».
Il gesto di Papa Ratzinger, dunque, dà forza a questo «pentimento», una parola
che evidentemente egli non ha usato a caso. Il Pontefice arriva nella Judenplatz
alle 13,30, subito dopo la cerimonia alla Mariensaule di piazza Am Hof e trova
ad attenderlo il gran rabbino di Vienna e il presidente della Comunità ebraica.
Nonostante il tempo brutto, l'accoglienza è calorosa. Vigorose strette di mano e
grandi sorrisi, mentre l'arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schönborn,
fa le presentazioni. Poi il Papa e il gran rabbino si portano a una decina di
metri dal monumento e si raccolgono in preghiera, al termine della quale
Benedetto XVI si inchina verso il monumento.
Prima di andare via il Papa saluta un gruppo di ebrei superstiti e si
intrattiene ancora qualche minuto con loro. Poi risale sulla Papamobile e
prosegue il suo pellegrinaggio sul tema «Guardare a Cristo». Il che, come aveva
detto poco prima Schönborn, significa «guardare anche alle nostre radici».
Pietro era ebreo. Maria è ebrea e Gesù suo figlio è ebreo attraverso di lei».
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