IL FOGLIO di mercoledì 4 maggio 2005
pubblica in prima pagina un'intervista a Oded Ben Hur, ambasciatore
d'Israele alla Santa Sede, sulle prospettive del pontificato di Benedetto
XVI per ciò che riguarda i rapporti con Israele e l'ebraismo.
All’ambasciata
d’Israele presso la Santa Sede l’arrivo sul soglio pontificio del
cardinale Joseph Ratzinger ha suscitato un compiacimento che l’understatement
diplomatico maschera a stento. Una soddisfazione che offre a Oded Ben Hur,
ambasciatore israeliano, il segno di quanto siano migliorate le relazioni
tra Vaticano e Gerusalemme.
Ben Hur è arrivato a Roma
subito dopo la crisi scoppiata con l’occupazione della basilica della
Natività a Betlemme da parte di un gruppo di terroristi palestinesi con
il conseguente assedio della chiesa dell’esercito israeliano. In quei
giorni concitati, molti nel governo di Gerusalemme si sono resi conto
dell’errore fatto dopo il 1993, quando il successo dell’accordo per il
reciproco riconoscimento non è stato seguito da un’intensa attività
diplomatica per stringere le relazioni con la Santa Sede, definendo i
protocolli d’intesa e creando le linee di comunicazione ufficiali e
ufficiose. Il lavoro è stato poi avviato e ha portato molti frutti,
grazie anche all’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della
Congregazione della Fede.
L’ambasciatore Ben Hur lo ha incontrato
quattro volte negli ultimi due anni: “Nella prima visita, nell’ottobre
del 2003, ho chiesto di verificare se fosse possibile inserire una pagina
della Dichiarazione Nostra Aetate nel nuovo Compendio del Catechismo, che
Giovanni Paolo II aveva deciso di ridefinire in modo più sintetico, circa
un centinaio di pagine, in sostituzione al migliaio inserite nel 1992”.
La risposta di Ratzinger era stata: “Ambasciatore, lo farò”. Il
rilievo di questo passaggio è cruciale.
La Dichiarazione Nostra Aetate
del 1965, rifacendosi direttamente a San Paolo e agli Atti degli Apostoli,
ha formalmente dichiarato contrario alla Dottrina ogni elemento di
antigiudaismo (a partire dall’accusa di deicidio per la crocefissione di
Cristo) e di antisemitismo, impegnando la Chiesa a contrastarli. “Il
problema – spiega Oded Ben Hur – è che nei quaranta anni successivi,
lo spirito della Nostra Aetate ha sicuramente impregnato l’azione dei
vertici della Chiesa, ma ha stentato a permeare l’intero corpo
ecclesiastico, soprattutto ai livelli più bassi.
Inserirne i passaggi più
espliciti nel Compendio del Catechismo e ispirare al suo messaggio la
stessa istruzione dei nuovi sacerdoti nei seminari è quindi un passaggio
pieno di conseguenze positive”. Nelle due visite successive, il
cardinale Ratzinger aveva assicurato che quel cammino era ormai
intrapreso, sino a quando, nell’ultimo incontro nell’aprile del 2004,
l’ambasciatore isreliano ha saputo che il nuovo Compendio sarebbe stato
pronto per la fine del 2005, proponendo pertanto che fosse ufficializzato
proprio il 28 ottobre di quest’anno, data in cui cade il quarantesimo
anniversario della Nostra Aetate.
La risposta del cardinale Ratzinger è stata illuminante: “Ambasciatore,
è la Provvidenza che l’ha mandata qui”. “Io credo – afferma Ben
Hur – che questo cambiamento avrà un impatto enorme su tutta la platea
degli Stati e della cultura religiosa non solo cristiana, ma anche e
soprattutto islamica.
Vedere la Chiesa di Roma che nel suo Catechismo
ribadisce il suo impegno contro l’antigiudaismo e l’antisemitismo avrà
sicuramente un benefico effetto di riflessione e forse – si spera –
anche di trascinamento. È un avvenimento cui diamo molto peso. Ho
suggerito al governo israeliano e alle autorità religiose ebraiche di
celebrarlo con una solenne dichiarazione – anche di reciprocità – e
con iniziative in più di 40 Stati a maggioranza cattolica di tutto il
mondo”.
Naturalmente, l’ambasciatore Ben Hur presso la Santa Sede non
rappresenta l’ebraismo quale religione, ma lo stesso Stato di Israele.
Proprio per questo è forte la sua attesa positiva sul pontificato di
Benedetto XVI. “È molto difficile leggere e capire la situazione
mediorientale senza avere interiorizzato la Bibbia, che è in un certo
qual modo il codice che aiuta a comprendere il contesto. Benedetto XVI è
un insigne biblista. Mi fermo qui”.
Tra le tante energie che oggi la
Chiesa impegna per un suo ruolo propositivo in medio oriente, Ben Hur
apprezza particolarmente “un altro insigne biblista, il cardinale Carlo
Maria Martini, che risiede oggi a Gerusalemme ed è un infaticabile
costruttore di ponti, di legami e di dialogo. Ha inoltre un ruolo forte
sulle comunità ecclesiali, come Comunione e Liberazione e
Sant’Egidio”.
In conclusione, c’è la sensazione che certe rigidità
e certe diffidenze che hanno segnato negli ultimi decenni i rapporti tra
Vaticano e Israele – non soltanto durante la crisi della Natività –
siano ormai una vicenda conclusa. La stessa reiterata fiducia riposta da
tanti esponenti locali della gerarchia a Yasser Arafat è oggi alle
spalle. Addirittura in qualche ecclesiastico, forse, si sta stimolando un
vago sentimento di autocritica.
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[Fonte: Il Foglio del 4 maggio 2005]