Capitoli su Ebrei/Ebraismo

 
 


Ebrei/Ebraismo:423, 439, 488, 528, 531, 575, 578, 581ss, 597ss, 674, 702, 755, 781, 791, 839, 1096, 1226, 1328ss, 1334, 1340, 2175, 2575ss, 2767.

Una attenzione speciale deve essere data alla catechesi riguardante la religione ebraica. Infatti, la Chiesa, Popolo di Dio nella Nuova Alleanza, scrutando il suo proprio mistero, scopre il proprio legame con gli Ebrei, che Dio scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola. L'insegnamento religioso, la catechesi e la predicazione debbono formare non solo all'obiettività, alla giustizia e alla tolleranza, ma anche alla comprensione e al dialogo. Le nostre due tradizioni sono troppo apparentate per ignorarsi. È necessario incoraggiare una reciproca conoscenza a tutti i livelli. In particolare un obiettivo della catechesi è il superamento di ogni forma di antisemitismo.

Vedi: DGC 199 Vedi: CCC 839

423 Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è « venuto da Dio » (Gv 13,3), « disceso dal cielo » (Gv 3,13; 6,33), venuto nella carne; (5) infatti « il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. [...] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia » (Gv 1,14.16).


439 Numerosi ebrei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza hanno riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del « figlio di Davide » messianico promesso da Dio a Israele. (36) Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, (37) ma non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione troppo umana, (38) essenzialmente politica. (39)


488 « Dio ha mandato suo Figlio » (Gal 4,4), ma per preparargli un corpo (129) ha voluto la libera collaborazione di una creatura. Per questo, Dio, da tutta l'eternità, ha scelto, perché fosse la Madre del Figlio suo, una figlia d'Israele, una giovane ebrea di Nazaret in Galilea, « una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria » (Lc 1,26-27):

« Volle il Padre delle misericordie che l'accettazione di colei che era predestinata a essere la Madre precedesse l'incarnazione, perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna contribuisse a dare la vita ». (130)


528 L'epifania è la manifestazione di Gesù come Messia d'Israele, Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Insieme con il battesimo di Gesù nel Giordano e con le nozze di Cana, (229) essa celebra l'adorazione di Gesù da parte dei « magi » venuti dall'oriente. (230) In questi « magi », che rappresentano le religioni pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che nell'incarnazione accolgono la Buona Novella della salvezza. La venuta dei magi a Gerusalemme per adorare il re dei Giudei (231) mostra che essi, alla luce messianica della stella di Davide, (232) cercano in Israele colui che sarà il re delle nazioni. (233) La loro venuta sta a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai Giudei (234) e ricevendo da loro la Promessa messianica quale è contenuta nell'Antico Testamento. (235) L'epifania manifesta che « la grande massa delle genti » entra nella famiglia dei patriarchi (236) e ottiene la « dignità Israelitica ». (237)


531 Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della stragrande maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita di lavoro manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio, (244) vita nella comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era sottomesso (245) ai suoi genitori e che « cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini » (Lc 2,52).


575 Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un « segno di contraddizione » (346) per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama « i Giudei », (347) ancor più che per il comune popolo di Dio. (348) Certamente, i suoi rapporti con i farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono in guardia in ordine al pericolo che corre. (349) Gesù loda alcuni di loro, come lo scriba di Mc 12,34, e mangia più volte in casa di farisei. (350) Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del popolo di Dio: la risurrezione dei morti, (351) le forme di pietà (elemosina, preghiera e digiuno), (352) e l'abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. (353)


578 Gesù, il Messia d'Israele, il più grande quindi nel regno dei cieli, aveva il dovere di osservare la Legge, praticandola nella sua integralità fin nei minimi precetti, secondo le sue stesse parole. Ed è anche il solo che l'abbia potuto fare perfettamente. (354) Gli Ebrei, secondo quanto essi stessi confessano, non hanno mai potuto osservare la Legge nella sua integralità senza trasgredire il più piccolo precetto. (355) Per questo, ogni anno, alla festa dell'Espiazione, i figli d'Israele chiedono perdono a Dio per le loro trasgressioni della Legge. In realtà, la Legge costituisce un tutto unico e, come ricorda san Giacomo, « chiunque osservi tutta la Legge, ma la trasgredisca in un punto solo, diventa colpevole di tutto » (Gc 2,10). (356)


583 Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta giorni dopo la nascita. (373) All'età di dodici anni decide di rimanere nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori che egli deve occuparsi delle cose del Padre suo. (374) Vi è salito ogni anno, almeno per la Pasqua, durante la sua vita nascosta; (375) lo stesso suo ministero pubblico è stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste ebraiche. (376)

584 Gesù è salito al Tempio come al luogo privilegiato dell'incontro con Dio. Per lui il Tempio è la dimora del Padre suo, una casa di preghiera, e si accende di sdegno per il fatto che il cortile esterno è diventato un luogo di commercio. (377) Se scaccia i mercanti dal Tempio, a ciò è spinto dall'amore geloso per il Padre suo: « Non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato. I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora" (Sal 69,10) » (Gv 2,16-17). Dopo la sua risurrezione, gli Apostoli hanno conservato un religioso rispetto per il Tempio. (378)

585 Alla vigilia della sua passione, Gesù ha però annunziato la distruzione di questo splendido edificio, di cui non sarebbe rimasta pietra su pietra. (379) In ciò vi è l'annunzio di un segno degli ultimi tempi che stanno per iniziare con la sua pasqua. (380) Ma questa profezia ha potuto essere riferita in maniera deformata da falsi testimoni al momento del suo interrogatorio presso il sommo sacerdote (381) e ripetuta come ingiuria mentre era inchiodato sulla croce. (382)

586 Lungi dall'essere stato ostile al Tempio (383) dove ha dato l'essenziale del suo insegnamento, (384) Gesù ha voluto pagare la tassa per il Tempio associandosi a Pietro, (385) che aveva posto come fondamento di quella che sarebbe stata la sua Chiesa. (386) Ancor più, egli si è identificato con il Tempio presentandosi come la dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini. (387) Per questo la sua uccisione nel corpo (388) annunzia la distruzione del Tempio, distruzione che manifesterà l'entrata in una nuova età della storia della salvezza: « È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre » (Gv 4,21). (389)

III. Gesù e la fede d'Israele nel Dio unico e Salvatore

587 Se la Legge e il Tempio di Gerusalemme hanno potuto essere occasione di « contraddizione » (390) da parte di Gesù per le autorità religiose di Israele, è però il suo ruolo nella redenzione dei peccati, opera divina per eccellenza, a rappresentare per costoro la vera pietra d'inciampo. (391)

588 Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori (392) con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. (393) Contro quelli tra i farisei « che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri » (Lc 18,9), (394) Gesù ha affermato: « Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi » (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, (395) coloro che presumono di non avere bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto. (396)

589 Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l'atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo. (397) È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori, (398) li ammetteva al banchetto messianico. (399) Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Costoro non erano nel giusto quando, costernati, dicevano: « Chi può rimettere i peccati se non Dio solo? » (Mc 2,7)? Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, (400) oppure dice il vero e la sua persona rende presente e rivela il nome di Dio. (401)

590 Soltanto l'identità divina della persona di Gesù può giustificare un'esigenza assoluta come questa: « Chi non è con me è contro di me » (Mt 12,30); altrettanto quando egli dice che in lui c'è « più di Giona, [...] più di Salomone » (Mt 12,41-42), qualcosa più grande del Tempio; (402) quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo Signore, (403) e quando afferma: « Prima che Abramo fosse, Io Sono » (Gv 8,58); e anche: « Io e il Padre siamo una cosa sola » (Gv 10,30).

591 Gesù ha chiesto alle autorità religiose di Gerusalemme di credere in lui a causa delle opere del Padre che egli compiva. (404) Un tale atto di fede, però, doveva passare attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita dall'alto, (405) sotto lo stimolo della grazia divina. (406) Una simile esigenza di conversione di fronte a un così sorprendente compimento delle promesse (407) permette di capire il tragico disprezzo del sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore. (408) I suoi membri agivano così per ignoranza (409) e al tempo stesso per l'indurimento (410) dell'incredulità. (411)

In sintesi

592 Gesù non ha abolito la Legge del Sinai, ma l'ha portata a compimento (412) con una tale perfezione (413) da rivelarne il senso ultimo (414) e da riscattarne le trasgressioni. (415)

593 Gesù ha venerato il Tempio salendovi in occasione delle feste ebraiche di pellegrinaggio e ha amato di un amore geloso questa dimora di Dio in mezzo agli uomini. Il Tempio prefigura il suo mistero. Se ne predice la distruzione, è per manifestare la sua propria uccisione e l'inizio di una nuova epoca della storia della salvezza, nella quale il suo corpo sarà il Tempio definitivo.

594 Gesù ha compiuto azioni, quale il perdono dei peccati, che lo hanno rivelato come il Dio Salvatore. (416) Alcuni Giudei, i quali non riconoscevano il Dio fatto uomo, (417) ma vedevano in lui « un uomo » che si faceva Dio, (418) l'hanno giudicato un bestemmiatore.


595 Tra le autorità religiose di Gerusalemme non ci sono stati solamente il fariseo Nicodemo (419) o il notabile Giuseppe di Arimatea ad essere, di nascosto, discepoli di Gesù, (420) ma a proposito di lui (421) sono sorti dissensi per lungo tempo al punto che, alla vigilia stessa della sua passione, san Giovanni può dire: « Tra i capi, molti credettero in lui », anche se in maniera assai imperfetta (Gv 12,42). La cosa non ha nulla di sorprendente se si tiene presente che all'indomani della pentecoste « un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede » (At 6,7) e che « alcuni della setta dei farisei erano diventati credenti » (At 15,5) al punto che san Giacomo può dire a san Paolo: « Tu vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla Legge » (At 21,20).

596 Le autorità religiose di Gerusalemme non sono state unanimi nella condotta da tenere nei riguardi di Gesù. (422) I farisei hanno minacciato di scomunica coloro che lo avrebbero seguito. (423) A coloro che temevano: « Tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione » (Gv 11,48) il sommo sacerdote Caifa propose profetizzando: « [È] meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera » (Gv 11,50). Il Sinedrio, avendo dichiarato Gesù reo di morte (424) in quanto bestemmiatore, ma avendo perduto il diritto di mettere a morte, (425) consegna Gesù ai Romani accusandolo di rivolta politica, (426) cosa che lo metterà alla pari con Barabba accusato di « sommossa » (Lc 23,19). Sono anche minacce politiche quelle che i sommi sacerdoti esercitano su Pilato perché egli condanni a morte Gesù. (427)

Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù

597 Tenendo conto della complessità storica del processo a Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata (428) e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la pentecoste. (429) Gesù stesso perdonando sulla croce (430) e Pietro sul suo esempio hanno riconosciuto l'« ignoranza » (431) degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: « Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli » (Mt 27,25) che è una formula di ratificazione, (432) estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio:

Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: « Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. [...] Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura ». (433)

Tutti i peccatori furono autori della passione di Cristo

598 La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che « ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle [...] sofferenze » del divino Redentore. (434) Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, (435) la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei:

« È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti – afferma san Paolo – se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici ». (436)

« E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati ». (437)

II. La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza

«Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio»

599 La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di pentecoste: « Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio » (At 2,23). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno consegnato Gesù (438) siano stati solo esecutori passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio.

600 Tutti i momenti del tempo sono presenti a Dio nella loro attualità. Egli stabilì dunque il suo disegno eterno di « predestinazione » includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia: « Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d'Israele (439) per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse » (At 4,27-28). Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento (440) al fine di compiere il suo disegno di salvezza. (441)


674 La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia (632) al riconoscimento di lui da parte di « tutto Israele » (Rm 11,26) (633) a causa dell'indurimento di una parte (634) nella « mancanza di fede » (Rm 11,20) verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste: « Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev'essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti » (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: « Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti? » (Rm 11,15). La partecipazione totale degli Ebrei (635) alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani (636) permetterà al popolo di Dio di arrivare « alla piena maturità di Cristo » (Ef 4,13) nella quale « Dio sarà tutto in tutti » (1 Cor 15,28).


702 Dalle origini fino alla « pienezza del tempo », (49) la missione congiunta del Verbo e dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all'opera. Lo Spirito di Dio va preparando il tempo del Messia, e l'uno e l'altro, pur non essendo ancora pienamente rivelati, vi sono già promessi, affinché siano attesi e accolti al momento della loro manifestazione. Per questo, quando la Chiesa legge l'Antico Testamento, (50) vi cerca (51) ciò che lo Spirito, « che ha parlato per mezzo dei profeti », (52) vuole dirci di Cristo. Con il termine « profeti » la fede della Chiesa intende in questo caso tutti coloro che furono ispirati dallo Spirito Santo nel vivo annuncio e nella redazione dei Libri Sacri, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento. La tradizione ebraica distingue la Legge (i primi cinque libri o Pentateuco), i Profeti (corrispondenti ai nostri libri detti storici e profetici) e gli Scritti (soprattutto sapienziali, in particolare i Salmi). (53)


755 « La Chiesa è il podere o campo di Dio. (135) In quel campo cresce l'antico olivo, la cui santa radice sono stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle genti. (136) Essa è stata piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. (137) Cristo è la vera Vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui e senza di lui nulla possiamo fare (138) ». (139)


781 « In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia. Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse. Si scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò progressivamente [...]. Tutto questo però avvenne in preparazione e in figura di quella nuova e perfetta Alleanza che doveva concludersi in Cristo [...] cioè la Nuova Alleanza nel suo sangue, chiamando gente dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito ». (206)


791 L'unità del corpo non elimina la diversità delle membra: « Nell'edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi ». (231) L'unità del corpo mistico genera e stimola tra i fedeli la carità: « E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra ». (232) Infine, l'unità del corpo mistico vince tutte le divisioni umane: « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più né giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,27-28).


839 « Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio». (329) Il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico. La Chiesa, popolo di Dio nella Nuova Alleanza, scrutando il suo proprio mistero, scopre il proprio legame con il popolo ebraico, (330) che Dio « scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola ». (331) A differenza delle altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nell'Antica Alleanza. È al popolo ebraico che appartengono « l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne » (Rm 9,4-5) perché « i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! » (Rm 11,29).


1096 Liturgia ebraica e liturgia cristiana. Una migliore conoscenza della fede e della vita religiosa del popolo ebraico, quali sono professate e vissute ancora al presente, può aiutare a comprendere meglio certi aspetti della liturgia cristiana. Per gli ebrei e per i cristiani la Sacra Scrittura è una parte essenziale delle loro liturgie: per la proclamazione della Parola di Dio, la risposta a questa Parola, la preghiera di lode e di intercessione per i vivi e per i morti, il ricorso alla misericordia divina. La liturgia della Parola, nella sua specifica struttura, ha la sua origine nella preghiera ebraica. La preghiera delle Ore e altri testi e formulari liturgici hanno in essa i loro corrispettivi, come pure le stesse formule delle nostre preghiere più degne di venerazione, tra le quali il « Padre nostro ». Anche le preghiere eucaristiche si ispirano a modelli della tradizione ebraica. Il rapporto tra la liturgia ebraica e quella cristiana, ma anche le differenze tra i loro contenuti, sono particolarmente visibili nelle grandi feste dell'anno liturgico, come la Pasqua. Cristiani ed ebrei celebrano la Pasqua: Pasqua della storia, tesa verso il futuro, presso gli ebrei; presso i cristiani, Pasqua compiuta nella morte e nella risurrezione di Cristo, anche se ancora in attesa della definitiva consumazione.


1226 Dal giorno della pentecoste la Chiesa ha celebrato e amministrato il santo Battesimo. Infatti san Pietro, alla folla sconvolta dalla sua predicazione, dichiara: « Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo » (At 2,38). Gli Apostoli e i loro collaboratori offrono il Battesimo a chiunque crede in Gesù: Giudei, timorati di Dio, pagani. (25) Il Battesimo appare sempre legato alla fede: « Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia », dichiara san Paolo al suo carceriere a Filippi. Il racconto continua: « Subito il carceriere si fece battezzare con tutti i suoi » (At 16,31-33).


1328 L'insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i diversi nomi che gli si danno. Ciascuno di essi ne evoca aspetti particolari. Lo si chiama:

Eucaristia, perché è rendimento di grazie a Dio. I termini « eucharistein » (Lc 22,19; 1 Cor 11,24) e « eulogein » (Mt 26,26; Mc 14,22) ricordano le benedizioni ebraiche che – soprattutto durante il pasto – proclamano le opere di Dio: la creazione, la redenzione e la santificazione.

1329 Cena del Signore, (148) perché si tratta della Cena che il Signore ha consumato con i suoi discepoli la vigilia della sua passione e dell'anticipazione della cena delle nozze dell'Agnello (149) nella Gerusalemme celeste.

Frazione del pane, perché questo rito, tipico della cena ebraica, è stato utilizzato da Gesù quando benediceva e distribuiva il pane come capo della mensa, (150) soprattutto durante l'ultima Cena. (151) Da questo gesto i discepoli lo riconosceranno dopo la sua risurrezione, (152) e con tale espressione i primi cristiani designeranno le loro assemblee eucaristiche. (153) In tal modo intendono significare che tutti coloro che mangiano dell'unico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo. (154)

Assemblea eucaristica synaxis »), in quanto l'Eucaristia viene celebrata nell'assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa. (155)

1330 Memoriale della passione e della risurrezione del Signore.

Santo sacrificio, perché attualizza l'unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche l'offerta della Chiesa; o ancora santo sacrificio della Messa, « sacrificio di lode » (Eb 13,15), (156) sacrificio spirituale, (157) sacrificio puro (158) e santo, poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza.

Santa e divina liturgia, perché tutta la liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei santi misteri. Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto costituisce il sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.

1331 Comunione, perché, mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo; (159) viene inoltre chiamato le cose sante ta hagia; sancta ») (160) – è il significato originale dell'espressione « comunione dei santi » di cui parla il Simbolo degli Apostoli –, pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d'immortalità, (161) viatico...

1332  Santa Messa, perché la liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza, si conclude con l'invio dei fedeli (« missio ») affinché compiano la volontà di Dio nella loro vita quotidiana.

III. L'Eucaristia nell'Economia della salvezza

I segni del pane e del vino

1333 Al centro della celebrazione dell'Eucaristia si trovano il pane e il vino i quali, per le parole di Cristo e per l'invocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del Signore, la Chiesa continua a fare, in memoria di lui, fino al suo glorioso ritorno, ciò che egli ha fatto la vigilia della sua passione: « Prese il pane... », « Prese il calice del vino... ». Diventando misteriosamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione. Così, all'offertorio, rendiamo grazie al Creatore per il pane e per il vino, (162) « frutto del lavoro dell'uomo », ma prima ancora « frutto della terra » e « della vite », doni del Creatore. Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote, che « offrì pane e vino » (Gn 14,18) la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria offerta. (163)


1334 Nell'Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell'Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall'Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. (164) Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il « calice della benedizione » (1 Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell'attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.


1340 Celebrando l'ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell'Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.


2175 La domenica si distingue nettamente dal sabato al quale, ogni settimana, cronologicamente succede, e del quale, per i cristiani, sostituisce la prescrizione rituale. Porta a compimento, nella pasqua di Cristo, la verità spirituale del sabato ebraico ed annuncia il riposo eterno dell'uomo in Dio. Infatti, il culto della Legge preparava il mistero di Cristo, e ciò che vi si compiva prefigurava qualche aspetto relativo a Cristo: (114)

« Coloro che vivevano nell'antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova speranza, non più guardando al sabato, ma vivendo secondo la domenica, giorno in cui è sorta la nostra vita, per la grazia del Signore e per la sua morte ». (115)


2575 Anche qui l'iniziativa è di Dio. Egli chiama Mosè dal roveto ardente. (29) Questo avvenimento rimarrà una delle figure fondamentali della preghiera nella tradizione spirituale ebraica e cristiana. In realtà, se « il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe » chiama il suo servo Mosè, è perché egli è il Dio vivente che vuole la vita degli uomini. Egli si rivela per salvarli, ma non da solo, né loro malgrado: chiama Mosè per inviarlo, per associarlo alla sua compassione, alla sua opera di salvezza. C'è come un'implorazione divina in questa missione, e Mosè, dopo un lungo dibattito, adeguerà la sua volontà a quella del Dio Salvatore. Ma in quel dialogo in cui Dio si confida, Mosè impara anche a pregare: cerca di tirarsi indietro, muove obiezioni, soprattutto pone interrogativi, ed è in risposta alla sua domanda che il Signore gli confida il proprio nome indicibile, che si rivelerà nelle sue grandi gesta.

2576 Ora, « il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro » (Es 33,11), con un suo amico. La preghiera di Mosè è tipica della preghiera contemplativa, grazie alla quale il servo di Dio è fedele alla propria missione. Mosè « s'intrattiene » spesso e a lungo con il Signore, salendo la montagna per ascoltarlo e implorarlo, discendendo verso il popolo per riferirgli le parole del suo Dio e guidarlo. « Egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione » (Nm 12,7-8); infatti « Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra » (Nm 12,3).

2577 In questa intimità con il Dio fedele, lento all'ira e ricco di grazia, (30) Mosè ha attinto la forza e la tenacia della sua intercessione. Non prega per sé, ma per il popolo che Dio si è acquistato. Già durante il combattimento contro gli Amaleciti (31) o per ottenere la guarigione di Maria, (32) Mosè intercede. Ma è soprattutto dopo l'apostasia del popolo che egli sta « sulla breccia » (Sal 106,23) di fronte a Dio per salvare il popolo. (33) Gli argomenti della sua preghiera (l'intercessione è anch'essa un misterioso combattimento) ispireranno l'audacia dei grandi oranti del popolo ebreo, come anche della Chiesa: Dio è amore; dunque, è giusto e fedele; non può contraddirsi, deve ricordarsi delle sue meravigliose gesta; è in gioco la sua gloria, non può abbandonare questo popolo che porta il suo Nome.

Davide e la preghiera del re

2578 La preghiera del popolo di Dio si sviluppa all'ombra della dimora di Dio, cioè dell'arca dell'Alleanza e più tardi del Tempio. Sono innanzi tutto le guide del popolo – i pastori e i profeti – che gli insegneranno a pregare. Il fanciullo Samuele ha dovuto apprendere dalla propria madre Anna come « stare davanti al Signore » (34) e dal sacerdote Eli come ascoltare la parola di Dio: « Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta » (1 Sam 3,9-10). Più tardi, anch'egli conoscerà il prezzo e il peso dell'intercessione: « Quanto a me, non sia mai che io pecchi contro il Signore, tralasciando di supplicare per voi e di indicarvi la via buona e retta » (1 Sam 12,23).

2579 Davide è per eccellenza il re « secondo il cuore di Dio », il pastore che prega per il suo popolo e in suo nome, colui la cui sottomissione alla volontà di Dio, la cui lode e il cui il pentimento saranno modello di preghiera per il popolo. Unto di Dio, la sua preghiera è fedele adesione alla Promessa divina, (35) fiducia colma di amore e di gioia in colui che è il solo Re e Signore. Nei salmi, Davide, ispirato dallo Spirito Santo, è il primo profeta della preghiera ebraica e cristiana. La preghiera di Cristo, vero Messia e figlio di Davide, rivelerà e compirà il senso di questa preghiera.

2580 Il Tempio di Gerusalemme, la casa di preghiera che Davide voleva costruire, sarà opera di suo figlio, Salomone. La preghiera della dedicazione del Tempio (36) fa affidamento sulla Promessa di Dio e sulla sua Alleanza, sulla presenza operante del suo Nome in mezzo al suo popolo e sulla memoria delle mirabili gesta dell'Esodo. Il re alza le mani verso il cielo e supplica il Signore per sé, per tutto il popolo, per le generazioni future, per il perdono dei peccati e per le necessità quotidiane, affinché tutte le nazioni sappiano che egli è l'unico Dio e il cuore del suo popolo sia tutto per lui.

Elia, i profeti e la conversione del cuore

2581 Il Tempio doveva essere per il popolo di Dio il luogo dell'educazione alla preghiera: i pellegrinaggi, le feste, i sacrifici, l'offerta della sera, l'incenso, i pani della « proposizione », tutti questi segni della santità e della gloria del Dio, altissimo e vicinissimo, erano appelli e cammini della preghiera. Spesso però il ritualismo trascinava il popolo verso un culto troppo esteriore. Era necessaria l'educazione della fede, la conversione del cuore. Questa fu la missione dei profeti, prima e dopo l'Esilio.

2582 Elia è il padre dei profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo volto. (37) Il suo nome, « il Signore è il mio Dio », annuncia il grido del popolo in risposta alla sua preghiera sul monte Carmelo. (38) San Giacomo rimanda a lui, per esortarci alla preghiera: « Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza » (Gc 5,16). (39)

2583 Dopo avere imparato la misericordia nel suo ritiro presso il torrente Cherit, Elia insegna alla vedova di Zarepta la fede nella parola di Dio, fede che egli conferma con la sua preghiera insistente: Dio fa tornare in vita il figlio della vedova. (40) Al momento del sacrificio sul monte Carmelo, prova decisiva per la fede del popolo di Dio, è per la sua supplica che il fuoco del Signore consuma l'olocausto, « all'ora in cui si presenta l'offerta della sera »: « Rispondimi, Signore, rispondimi! » (1 Re 18,37); queste stesse parole di Elia sono riprese dalle liturgie orientali nell'epiclesi eucaristica. (41) Infine, riprendendo il cammino nel deserto verso il luogo dove il Dio vivo e vero si è rivelato al suo popolo, Elia, come Mosè, entra « in una caverna » finché « passi » la presenza misteriosa di Dio. (42) Ma è soltanto sul monte della trasfigurazione che si svelerà colui di cui essi cercano il volto: (43) la conoscenza della gloria di Dio rifulge sul volto di Cristo crocifisso e risorto. (44)

2584 Stando « da solo a solo con Dio », i profeti attingono luce e forza per la loro missione. La loro preghiera non è una fuga dal mondo infedele, ma un ascolto della parola di Dio, talora un dibattito o un lamento, sempre un'intercessione che attende e prepara l'intervento del Dio Salvatore, Signore della storia. (45)

I Salmi, preghiera dell'assemblea

2585 Dopo Davide, fino alla venuta del Messia, i Libri Sacri contengono testi di preghiera che testimoniano come si sia fatta sempre più profonda la preghiera per se stessi e per gli altri. (46) I salmi sono stati a poco a poco riuniti in una raccolta di cinque libri: i Salmi (o « Lodi »), capolavoro della preghiera nell'Antico Testamento.

2586 I salmi nutrono ed esprimono la preghiera del popolo di Dio come assemblea, in occasione delle solenni feste a Gerusalemme e ogni sabato nelle sinagoghe. Questa preghiera è insieme personale e comunitaria; riguarda coloro che pregano e tutti gli uomini; sale dalla Terra santa e dalle comunità della Diaspora, ma abbraccia l'intera creazione; ricorda gli eventi salvifici del passato e si estende fino al compimento della storia; fa memoria delle promesse di Dio già realizzate ed attende il Messia che le compirà definitivamente. Pregati da Cristo e attuati pienamente in lui, i salmi restano essenziali per la preghiera della sua Chiesa. (47)

2587 Il Salterio è il libro in cui la parola di Dio diventa preghiera dell'uomo. Negli altri libri dell'Antico Testamento « le parole dichiarano le opere di Dio per gli uomini e chiariscono il mistero in esse contenuto ». (48) Nel Salterio le parole del salmista esprimono, cantandole per Dio, le sue opere salvifiche. Il medesimo Spirito ispira l'opera di Dio e la risposta dell'uomo. Cristo unirà l'una e l'altra. In lui, i salmi non cessano di insegnarci a pregare.

2588 Le espressioni multiformi della preghiera dei salmi nascono ad un tempo nella liturgia del Tempio e nel cuore dell'uomo. Si tratti di un inno, di una preghiera di lamentazione o di rendimento di grazie, di una supplica individuale o comunitaria, di un canto regale o di pellegrinaggio, di una meditazione sapienziale, i salmi sono lo specchio delle meraviglie di Dio nella storia del suo popolo e delle situazioni umane vissute dal salmista. Un salmo può rispecchiare un avvenimento del passato, ma è di una sobrietà tale da poter essere pregato in verità dagli uomini di ogni condizione e di ogni tempo.

2589 Nei salmi si scorgono alcuni tratti costanti: la semplicità e la spontaneità della preghiera; il desiderio di Dio stesso attraverso tutto e con tutto ciò che nella creazione è buono; la situazione penosa del credente il quale, nel suo amore preferenziale per il Signore, è esposto a una folla di nemici e di tentazioni; e, nell'attesa di ciò che farà il Dio fedele, è certo del suo amore e si consegna alla sua volontà. La preghiera dei salmi è sempre animata dalla lode ed è per questo che il titolo della raccolta si addice pienamente a ciò che essa ci consegna: « Le Lodi ». Composta per il culto dell'assemblea, ci fa giungere l'invito alla preghiera e ne canta la risposta: « Hallelu-Ia! » (Alleluia), « Lodate il Signore! ».

« Che cosa vi è di più bello del salmo? Bene ha detto lo stesso Davide: "Lodate il Signore, poiché bello è il salmo. Al nostro Dio sia lode gioiosa e conveniente". Ed è vero! Il salmo infatti è benedizione del popolo, lode a Dio, inno di lode del popolo, applauso generale, parola universale, voce della Chiesa, canora professione di fede... ». (49)


2767 Questo dono inscindibile, delle parole del Signore e dello Spirito Santo che le vivifica nel cuore dei credenti, è stato ricevuto e vissuto dalla Chiesa fin dalle origini. Le prime comunità pregano la Preghiera del Signore « tre volte al giorno », (15) in luogo delle « Diciotto benedizioni » in uso nella pietà ebraica. 


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