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Ahmadinejad, definisce lo stato ebraico “un tumore da trasferire in Europa”. Unanime la condanna della comunità internazionale

- Intervista con Ahmad Rafat -

Dopo aver invocato qualche mese fa la cancellazione di Israele dalla carta geografica, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in una conferenza stampa a margine del summit dell’Organizzazione della Conferenza islamica a la Mecca, in Arabia Saudita, ha proposto che lo Stato ebraico, definito “un tumore”, si stabilisca in Europa, sul suolo tedesco o austriaco visto che i due Paesi sono stati responsabili dello sterminio di milioni di ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Unanime la condanna della comunità internazionale. Il portavoce del ministero degli esteri israeliano Mark Regev ha definito le dichiarazioni di Ahmadinejad ''scandalose e razziste'', mentre il Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, si à detto scioccato. Dura condanna pure dal vertice franco-tedesco di ieri a Berlino, a cui è seguita la dichiarazione preoccupata della Casa Bianca, che ha messo in relazione le parole del presidente iraniano alla delicata questione nucleare di Teheran. Una situazione difficile, dunque, per la Repubblica islamica, che cercherebbe volutamente l’isolamento sul piano diplomatico. Ne è convinto il giornalista iraniano Ahmad Rafat:

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R. – Io credo che cercare l’isolamento sia una scelta del nuovo governo iraniano il quale punta su una rottura dei rapporti costruiti faticosamente negli ultimi 16 anni da due presidenti, Rafsanjani e Khathami, e ritornare agli albori della rivoluzione dove l’Iran stava da una parte e il resto del mondo dall’altra. Credo, quindi, che Ahmadinejad non rilasci queste dichiarazioni per mancanza di esperienza internazionale, ma che sia una politica voluta con una linea che vorrebbe portare l’Iran all’isolamento e pertanto ad una rottura dei rapporti con il mondo.

D. – Sul fronte interno, quale sarà a questo punto la risposta dei moderati iraniani nei confronti del presidente?

R. – Il silenzio totale. Perché ci sono alcune linee rosse che in Iran nessuno ha il coraggio di oltrepassare. Una di queste, nel momento storico che stiamo vivendo, è il riconoscimento di Israele. Quando Ahmadinejad parlò di “cancellare Israele dalla mappa del mondo”, tutti i moderati – Khathami in testa – si limitarono a dire che non era il momento e che queste dichiarazioni non convenivano all’Iran, oppure che ad esternazioni simili, sulle linee generali della politica estera del Paese, avrebbe dovuto rispondere l’Ayatollah Khamenei, la guida della rivoluzione. Pertanto, non credo che questa volta la linea sarà diversa. Ci sarà o il silenzio o qualche dichiarazione per evitare di affrontare il problema e di condannare le dichiarazioni del presidente.

D. – Gli Stati Uniti si sono detti “preoccupati” per la posizione di Teheran nei confronti di Israele, tirando in ballo anche la delicata questione nucleare iraniana. Non si rischia di innescare una crisi senza ritorno?

R. – Il rischio c’è. E le preoccupazioni anche, perché se è vero - come sostengono le autorità della Repubblica islamica - che dichiarazioni simili su Israele le rilasciò immediatamente negli anni successivi alla vittoria della rivoluzione l’Ayatollah Khomeini, il fondatore della Repubblica islamica, è anche vero che all’epoca l’Iran non aveva iniziato un programma nucleare ed è vero che non era, come oggi, a pochi mesi o pochi anni dalla possibile costruzione di una bomba nucleare. Pertanto, le dichiarazioni minacciose di Ahmadinejad, messe in relazione con la politica nucleare, rendono nervoso l’Occidente e ovviamente spaventano Israele e alcuni Paesi arabi della regione. Non bisogna dimenticare, infatti, che non è solo Israele ad essere preoccupata della politica nucleare iraniana, ma anche i Paesi arabi del Golfo che la settimana scorsa, nel loro vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo, hanno espresso preoccupazione per questa politica.

[Fonte: Radio Vaticana 9 dicembre 2005]

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